Bollette telefono: così le compagnie guadagnano 20 cent ad abbonato
Le spese di spedizione della bolletta del telefono sono addebitate al cliente, facendo così parte della base imponibile soggetta ad Iva; ma per la compagnia tali spese sono esenti dall’Iva.
Quasi 20 centesimi ad abbonato: a tanto ammonta il guadagno extra che le compagnie del telefono riescono a lucrare su ogni bolletta spedita ai propri clienti. Il tutto, secondo la Cassazione – che si è appena pronunciata sul caso – è pienamente legittimo [1]. Com’è possibile? Eccolo spiegato qui di seguito.
Le compagnie telefoniche ci fanno sottoscrivere, all’atto dell’abbonamento, un contratto con il quale accettiamo di pagare, insieme ai consumi, anche i costi per la spedizione della bolletta
Certo, si potrà dire: 20 centesimi non sono nulla per ogni italiano (in un anno sono circa 2,40 euro, visto che le bollette sono diventate mensili). Ma pensate a quanto ammonta l’importo per ogni abbonato!
Indice
La vicenda
Tutto nasce dal ricorso che, un abbonato a una nota compagnia telefonica, aveva presentato in Tribunale chiedendo la restituzione degli importi da lui corrisposti a titolo di IVA sulle spese di spedizione postali delle bollette telefoniche, in quanto non dovute. Il giudice gli ha dato ragione, ma la società telefonica ricorreva così in Cassazione sostenendo la violazione e falsa applicazione di legge
Bolletta gonfiata di Iva non dovuta
Già in passato la Cassazione ha avuto modo di analizzare le condizioni generali del contratto di telefonia tra clienti e compagnie, confermando che le spese di spedizione postale hanno natura di costo da addebitare al consumatore. In particolare, la Corte ha detto che la spesa di spedizione postale della fattura affrontata dalla compagnia, riferendosi ad un servizio necessario per l’esecuzione del contratto con l’utente deve necessariamente essere ricompresa nella base imponibile; e ciò anche se tale società non ne affronti il costo con applicazione dell’IVA trattandosi di spesa in regime di esenzione [3].