L’errore sulla norma tributaria

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La grave incertezza sull’interpretazione delle norme: processo tributario, rilevanza dell’errore da parte del contribuente sulla norma, la non applicabilità delle sanzioni non penali previste da leggi tributarie.

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L’art. 8 del d.lgs. 546/1992, nel riprodurre sostanzialmente quanto statuito dall’art. 39bis del d.P.R. 636/1972, consente alla Commissione tributaria di dichiarare non applicabili le sanzioni non penali previste dalle leggi tributarie nei casi in cui vi sia una grave incertezza sull’interpretazione della norma a fondamento della pretesa dell’Amministrazione finanziaria.

Invero, analoga norma si ritrova, oltre che nello Statuto del Contribuente di cui alla l. 212/2000, nel comma 2 dell’art. 6 del d.lgs. 472/1997 che estende a tutto il sistema tributario il principio di esclusione da punibilità per obiettiva incertezza sulle norme, precedentemente operante solo per le imposte sul reddito, ex art. 55 u.c. del d.P.R. 600/1973, e per l’IVA, ex art. 48 u.c. del d.P.R. 633/1972 (Cfr. Corte di Cassazione sent. del 10 luglio 1999, n. 7272). Tuttavia, mentre la norma di cui al d.lgs. 472/1997 anticipa al momento dell’irrogazione della sanzione l’applicazione dell’esimente da parte degli uffici finanziari, nella previsione di cui al citato art. 8 la possibilità di ritenere non applicabili le sanzioni in presenza di tale obiettiva incertezza è rimessa ai giudici in sede contenziosa, anche in mancanza di domanda di parte (in tal senso Cass. sez. trib. sent. del 21-3-2001, n. 4053).

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La Suprema Corte, con sentenza 24670/2007 ha delineato, astrattamente, i confini di tale «incertezza della norma», stabilendo che: «le sanzioni non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da incertezza normativa oggettiva tributaria, cioè dal risultato equivoco dell’interpretazione delle norme tributarie accertato dal giudice, anche di legittimità». In seguito, la Corte di Cassazione ha anche affermato che: «il significato di una norma è oggettivamente incerto, quando l’interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza non sia appagante, in termine di certezza, poiché oscillante tra risultati differenti e non univoci» (Cass. 21777/2014).

Nell’ambito del processo tributario, secondo un consolidato orientamento dei giudici di legittimità (Cass. 4031/2012, 7502/2009), sarà onere del contribuente-ricorrente provare l’incertezza della norma per ottenere la disapplicazione delle sanzioni amministrative. Diretto corollario di tale orientamento è rappresentato dal fatto che è da escludere la possibilità che, il giudice di merito, d’ufficio, possa decidere sull’applicabilità delle sanzioni.

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Deve, tuttavia, darsi conto, in questa sede, di una pronuncia della Suprema Corte in relazione all’inapplicabilità delle sanzioni in presenza di errore sulla norma tributaria, pronuncia che sembra, in certo qual senso, discostarsi da quanto sin qui sostenuto. I giudici, infatti, hanno affermato: «Allorquando il giudice di primo grado non emetta alcuna pronuncia in tema di sanzioni ed il contribuente non proponga alcuna impugnazione sul punto, il giudice di secondo grado può soltanto disporre la loro (eventuale) riduzione in rapporto alla riduzione dell’imposta dovuta, ma non potrà dichiararne la totale inapplicabilità, ai sensi dell’art. 8 del d.lgs. 546/1992» (Cass. 19848/2005). In questo senso pare si sia voluto limitare l’esercizio del potere di dichiarare l’inapplicabilità delle sanzioni alle sole Commissioni provinciali, imponendo, invece, al giudice di secondo grado di attenersi scrupolosamente alle richieste di parte. Probabilmente la Corte ha preferito valorizzare il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato di cui all’art. 112 c.p.c., piuttosto che favorire un comportamento «distratto» del contribuente, che continui a persistere anche in appello.

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