Cosa deve fare il dipendente in caso di fallimento del datore di lavoro

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In caso di fallimento del datore di lavoro, il lavoratore ha due diverse e concorrenti strade per ottenere il pagamento di quanto ancora non gli sia stato versato.

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1. Richiesta di intervento al Fondo di Garanzia presso l’INPS.

Tale richiesta si può fare solo per ottenere il pagamento del:

– Trattamento di fine rapporto di lavoro (cosiddetto TFR) non corrispostogli dal datore di lavoro;

– retribuzioni spettanti per gli ultimi tre mesi di rapporto di lavoro, purché rientrino nei dodici mesi anteriori alla data della domanda di fallimento [1].

Requisiti per l’intervento del Fondo di garanzia sono dunque:

a) la cessazione del rapporto di lavoro subordinato;

b) l’apertura di una procedura concorsuale.

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La domanda di intervento del Fondo (per la quale non c’è necessariamente bisogno di un avvocato) deve essere presentata dal lavoratore o dai suoi eredi alla sede dell’INPS nella cui competenza territoriale l’assicurato ha la propria residenza; se avanzata ad una Sede diversa essa verrà trasferita d’ufficio a quella territorialmente competente.

La domanda può essere presentata sul modello appositamente predisposto (TFR/CL – SR50 – lo potete prelevare da qua ) oppure in carta semplice, purché vengano riportate tutte le informazioni contenute nel citato modello.

La domanda va controfirmata dal Curatore della procedura fallimentare. I tempi per ottenere il pagamento sono relativamente brevi (se rapportati ai tempi della giustizia italiana).

2. Richiesta di insinuazione allo stato passivo del fallimento

Conviene sempre che, per tutti i restanti crediti non coperti dal Fondo di Garanzia, il lavoratore depositi anche una domanda, indirizzata al Tribunale ove si è aperto il fallimento, in cui chieda di essere

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ammesso al passivo: cioè di essere iscritto nelle liste dei creditori tra i quali saranno ripartiti i ricavi del fallimento. Anche per tale attività non è obbligatorio farsi assistere da un legale. È sufficiente dimostrare il proprio credito (per es. con buste paga, CUD, lettera di assunzione, ecc.).

Generalmente è lo stesso Curatore del fallimento, subito dopo l’apertura della procedura, a inviare a tutti i creditori (compresi quindi gli ex dipendenti) una lettera in cui li invita a presentare domanda di ammissione allo stato passivo e spiega loro come fare.

Dopo la domanda e la successiva udienza per l’ammissione al fallimento, i lavoratori verranno pagati con gli eventuali ricavi derivanti dalla vendita dei beni dell’impresa fallita. Condizione perché ciò avvenga è che, ovviamente, vi siano beni da liquidare o che le aste vadano a buon fine: una condizione di tutt’altro facile avveramento, atteso che gran parte dei fallimenti si chiudono sempre per mancanza di moneta con cui pagare i creditori intervenuti.

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È proprio per evitare, al lavoratore, il rischio di rimanere insoddisfatto qualora tali vendite non si realizzino, che è stato istituito il Fondo di Garanzia di cui abbiamo appena parlato.

Nell’ipotesi in cui la procedura fallimentare riesca a realizzare dei ricavi dalla vendita dei beni dell’impresa, i ricavi serviranno per pagare i creditori. I lavoratori, però, saranno pagati in via privilegiata rispetto agli altri creditori intervenuti nel fallimento (in proposito, si dice che essi vantano un “privilegio”). I lavoratori hanno la precedenza rispetto a ogni altro credito privilegiato.

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