Successione del coniuge e diritti sulla casa familiare in comproprietà con un estraneo

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In caso di morte del coniuge, al coniuge superstite non spetta il diritto di abitare la casa familiare, se questa apparteneva al defunto in comproprietà con un terzo estraneo.

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A prescindere dal fatto che il coniuge defunto abbia o meno redatto un testamento, al coniuge superstite spetta, per legge [1], in aggiunta a quanto ricevuto a titolo di eredità, il diritto di abitare la casa adibita a residenza familiare, nonché di usare i beni mobili che la corredano (come il mobilio o quant’altro serva ad agevolare l’abitabilità della casa, mentre sono esclusi i beni che hanno formato oggetto di investimento, come i quadri di valore, o quelli che servono per l’attività lavorativa). Tuttavia, affinché il diritto sorga, la casa deve essere in

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comproprietà tra i due coniugi, o di proprietà del solo coniuge venuto a mancare.

Si pensi a marito e moglie che hanno vissuto per tutta la vita nella casa di proprietà del marito. Alla morte di costui, apertasi la successione, è pieno interesse della moglie, a prescindere da ogni vicenda successoria che interessi il bene, di non vedersi privata della sua quotidianità e della casa in cui sono custoditi tutti i suoi ricordi. Sarebbe uno stravolgimento non di poco conto! Il discorso cambia, invece, se la casa era di proprietà del marito, ad esempio insieme a sua sorella, soggetto del tutto estraneo al ménage familiare.

Perché la legge riconosce al coniuge superstite questi diritti?

I diritti in parola sono riconosciuti al coniuge superstite per tutelare un suo interesse economico, quello di disporre di un’abitazione, e un suo

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interesse morale, legato alla conservazione dei rapporti affettivi con la casa familiare, oltre che al mantenimento del tenore di vita pregresso, delle relazioni sociali (si pensi alle visite di cari amici di famiglia) e degli status symbol di cui godeva durante il matrimonio (si pensi a case di un certo pregio architettonico). Se i coniugi hanno avuto a loro disposizione più case, il diritto di abitazione non spetta su ciascuna di esse, ma solo su quella ove si è svolta prevalentemente la vita familiare (il coniuge superstite, pertanto, non potrà vantare il diritto di abitazione sulla casa ove la famiglia si recava per la villeggiatura pochi mesi all’anno).

Presupposti per il sorgere dei diritti

Presupposto necessario per il sorgere dei diritti è l’esistenza di un valido rapporto coniugale (per cui, il diritto spetta anche al coniuge separato, perché solo con il divorzio si ottiene lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio), ma anche la piena titolarità della casa da parte del coniuge defunto.

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Che succede se la casa è, in parte, di un terzo estraneo alla famiglia?

Se la casa era in comproprietà con un terzo estraneo, per la Cassazione [2] al coniuge superstite non spetterebbero né il diritto di abitare la casa coniugale, né il diritto di usarne i mobili.

Ciò si spiega sia in relazione al tenore letterale della norma che riconosce i diritti di uso e abitazione, che parla proprio di una casa di proprietà del defunto o comune a marito e moglie; sia perché, in un’ipotesi del genere, non potrebbe realizzarsi l’intento del legislatore di assicurare al coniuge superstite un godimento pieno dei diritti in esame (godimento che, a ben vedere, sarebbe notevolmente limitato dalla presenza di altre persone che vantano diritti sulla casa o sui mobili, così lontane dall’abitudinario ménage del nucleo familiare).

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