Distanze tra pareti finestrate

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La distanza prevista dal codice civile tra costruzioni è di tre metri ma i regolamenti comunali possono prevedere distanze superiori.

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L’articolo 873 del codice civile prescrive che nei regolamenti locali può essere stabilita una distanza maggiore di tre metri quale distacco per gli edifici. Una questione particolare interessa la distanza tra pareti finestrate come disciplinata nel D.M. 2 aprile 1968 n. 1444. L’articolo 9 di tale decreto prescrive:

“Le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;

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2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;

3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all’altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.

Le distanze minime tra fabbricati — tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) — debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all’altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all’altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.”

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Il D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, in applicazione dell’art. 41 quinquies legge urbanistica (come modificato dall’art. 17 legge Ponte), detta i limiti di densità, altezza, distanza tra i fabbricati.

All’art. 9, comma 1 n. 2, con disposizione tassativa ed inderogabile, viene disposto che negli edifici ricadenti in zone territoriali diverse dalla zona A, è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di dieci metri tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti. Tale prescrizione, stante la sua assolutezza ed inderogabilità, risultante da fonte normativa statuale, sovraordinata rispetto agli strumenti urbanistici locali, comporta che, nel caso di esistenza sul confine tra due fondi di un fabbricato avente il muro perimetrale finestrato, il proprietario dell’area confinante che voglia, a sua volta, realizzare una costruzione sul suo terreno deve mantenere il proprio edificio ad almeno dieci metri dal muro altrui, con esclusione, nel caso considerato, di possibilità di esercizio della facoltà di costruire in aderenza, esercitabile soltanto nell’ipotesi di inesistenza sul confine di finestre altrui (Cassazione civile, sez. II, 26 luglio 2002, n. 11013).

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L’attenzione si è posta in particolare con riferimento alla distanza tra pareti finestrate. Ci si è chiesti in particolare se la disposizione dei 10 metri tra pareti finestrate sia opponibile nei rapporti tra privati.

Secondo l’ultimo orientamento in tema di distanze tra costruzioni, il principio secondo il quale la norma di cui all’articolo 9 D.M. 2 aprile 1968 n. 1444, imponendo limiti edilizi ai Comuni nella formazione di strumenti urbanistici, non è immediatamente operante nei rapporti tra privati, va interpretato nel senso che la adozione, da parte degli enti locali, di strumenti urbanistici contrastanti con la norma citata comporta l’obbligo, per il giudice di merito, non solo di disapplicare le disposizioni illegittime, ma anche di applicare direttamente la disposizione del ricordato articolo 9, divenuta, per inserzione automatica, parte integrante dello strumento urbanistico in sostituzione della norma illegittima disapplicata (Cassazione civile, sez. II, 10 gennaio 2003, 158). Questa tesi apparentemente limita l’ambito di applicazione del citato articolo 9 alle sole amministrazioni: in effetti attraverso il meccanismo della sostituzione automatica delle norme regolamentari non conformi con le disposizioni del più volte richiamato articolo 9 si finisce, di fatto, con l’applicare l’articolo 9 direttamente ai rapporti tra privati.

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