Quando una sentenza diventa irrevocabile?

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Cosa significa “sentenza passata in giudicato” e quando una sentenza diventa definitiva e non più impugnabile.

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Spesso ci si chiede quando una sentenza diventa irrevocabile. E la ragione è facilmente intuibile: difatti, da tale momento, non può più essere impugnata (ossia non la si può più mettere in discussione).

Nel sistema giuridico italiano, una sentenza diventa irrevocabile quando non è più possibile impugnarla con i mezzi di gravame ordinari.

Cosa significa irrevocabilità

L’irrevocabilità di una sentenza implica che la stessa assume carattere definitivo e non può essere più modificata o revocata. Essa produce effetti vincolanti per tutte le parti in causa e per l’autorità giudiziaria.

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Che significa sentenza passata in giudicato?

La verità è che anche i giudici possono sbagliare. Anzi, a leggere le statistiche, ciò accade molto spesso. Tant’è vero che è elevato – rispetto a quello che ci si attenderebbe – il numero di sentenze riformate in appello (ossia in secondo grado) o in Cassazione (ultimo grado di giudizio).

«Se la giustizia può sbagliare, vuol dire anche che non è certa» starà molto probabilmente commentando tra sé il lettore. Su questo bisognerebbe spendere fiumi di parole e non è questa la sede più appropriata. Una cosa però è sicura: chi non si ritiene soddisfatto da una sentenza può, entro determinati limiti di tempo, chiederne la revisione da parte di un altro giudice. Lo può fare per un numero di volte limitato (in appello e, per determinati tipi di vizi, in Cassazione).

Quando sono esauriti tutti i mezzi di impugnazione o sono scaduti i termini per impugnare si dice che la sentenza diventa irrevocabile o, per usare una terminologia “legale”, «passa in giudicato

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». In poche parole, anche se clamorosamente errata e ingiusta, la sentenza è definitiva e non può più essere modificata. Ma procediamo con ordine e vediamo quando una sentenza diventa irrevocabile.

Quali sono i termini per impugnare?

Quando si parla di una sentenza «passata in giudicato» o irrevocabile si intende una pronuncia contro la quale sono stati esperiti tutti i mezzi di impugnazione o questi non sono più proponibili per il decorso dei termini. Ricordiamo che i termini per impugnare la sentenza sono:

Tali termini iniziano a decorrere da quando la sentenza viene notificata alla controparte. Pertanto, dal momento che essa prima viene notificata, prima decorrono i termini, e quindi prima diventa definitiva, è interesse di chi ha vinto la causa procedere alla notifica della pronuncia alla parte soccombente, affinché quest’ultima abbia meno tempo per improntare un’impugnazione.

Se la sentenza però non viene notificata il termine è di

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sei mesi, che decorre dal giorno in cui la stessa viene depositata in cancelleria da parte del giudice.

Se questo termine cade durante il periodo che va dal 1° al 31 agosto, il conteggio si sospende e torna a decorrere dal 1° settembre. Ad esempio, una sentenza notificata il 16 luglio può essere impugnata fino al 15 settembre.

Un’esigenza di certezza dei rapporti giuridici determina la necessità che il provvedimento del giudice, con il quale il processo è – sia pure solo parzialmente – definito (sentenza), produca effetti non più suscettibili di modifica. Tale esigenza, però, va contemperata con l’esigenza di ottenere una migliore giustizia, rendendo sempre possibile la modifica del provvedimento stesso.

Pertanto il Codice di procedura stabilisce [1] che si intende «passata in giudicato» la sentenza contro la quale non è più possibile alcun mezzo di impugnazione, il che – come detto – può avvenire in due casi:

Quali sono gli effetti della sentenza irrevocabile?

La

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sentenza divenuta irrevocabile è:

Anche se il Codice parla di «sentenza», è chiaro che tale norma si riferisce a tutti i provvedimenti del giudice che passano in giudicato come ad esempio un decreto o un’ordinanza.

Non c’è bisogno che una sentenza diventi definitiva per essere vincolante e obbligatoria. Difatti, già dopo la pubblicazione della sentenza di primo grado questa obbliga le parti ad adeguarsi al suo contenuto. Ciò vale anche se pende il giudizio di appello, salvo che il giudice di secondo grado non abbia – su ricorso della parte soccombente in primo grado– sospeso l’esecutività della pronuncia. Questo principio va sotto il nome di «immediata esecutività delle sentenze di primo grado».

Da un punto di vista sostanziale, la sentenza passata in giudicato ha degli effetti che non si ripercuotono sulla collettività (come può essere invece per una legge), ma solo tra le parti in causa. Inoltre, se una di queste ultime cede a terzi il proprio diritto (si pensi al diritto di proprietà su una casa oggetto di lite giudiziaria), il contenuto della pronuncia vincola anche i successivi titolari (gli «aventi causa», secondo la dizione del Codice). Non solo. La sentenza vincola anche gli eredi delle parti in causa, nel momento in cui diventeranno titolari del diritto controverso.

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La «cosa giudicata» impone alle parti l’obbligo di osservare quanto stabilito dal giudice, quasi come se fosse una legge vigente solo nei loro confronti.

Anche una sentenza definitiva però può cadere in prescrizione se chi ha vinto il giudizio non esercita il diritto riconosciutogli dal giudice entro 10 anni. Facciamo l’esempio di una pronuncia che abbia accertato il credito di una persona nei confronti di un’altra. Se il creditore non compie un atto nei confronti del debitore (che può essere un precetto, un pignoramento o l’invio di una semplice messa in mora) per 10 anni consecutivi, non potrà fare più nulla e il suo diritto di credito si prescriverà per sempre.

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