Trattati UE: l’Italia potrebbe recedere unilateralmente?
L’Italia potrebbe recedere unilateralmente da tutti i Trattati europei? Come potrebbe farlo?
Dal punto di vista giuridico la via assieme più breve e legalmente corretta per recedere da quella serie di obblighi che la cronaca di solito riconnette all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea è quella che lo stesso Trattato sull’Unione europea prevede all’articolo 50 (come introdotto a seguito del Trattato di Lisbona in vigore dal 1° dicembre 2009).
Questa norma, azionata dal Regno Unito di Gran Bretagna ed Irlanda del Nord per recedere dalla sua adesione all’Unione europea, è azionabile ovviamente anche dall’Italia conformemente alle proprie norme costituzionali.
Ciò significa che in qualsiasi modo la
– sia predisposta ed approvata, ai sensi dell’articolo 138 della Costituzione, una legge costituzionale che, eventualmente anche modificando l’articolo 117 della Costituzione nella parte in cui fa riferimento all’ordinamento comunitario, autorizzi il Governo della Repubblica a formalizzare dinanzi alle Istituzioni comunitarie (in particolare al Consiglio europeo) il recesso dell’Italia dall’Unione e ad avviare con le stesse l’iter necessario per addivenire all’accordo per definire le modalità del recesso (secondo quanto prescrive l’articolo 50 del Trattato sull’Unione europea e l’articolo 218, par. 3, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, infatti, il recesso di uno Stato membro può essere unilaterale solo se entro due anni dalla presentazione dell’istanza di recesso al Consiglio europeo non si addivenga ad un accordo di recesso e non si chieda, di comune accordo, di prorogare il
– sia presentata al Consiglio europeo, nei termini e secondo le modalità e le forme stabiliti dalla legge costituzionale suddetta, la formale richiesta di recesso dell’Italia dall’Unione;
– sia avviata dal Governo italiano la trattativa per la stipula dell’accordo di recesso con l’Unione europea (trattativa di cui il Governo dovrà costantemente tenere informato il Parlamento anche perché il termine per la stipula dell’accordo di recesso è di due soli anni salva proroga concordata tra le parti);
– sia costituita un’apposita struttura interna (nelle forme anche di un eventuale Ministero ad hoc) che curi le trattative per la stipula dell’accordo di recesso sulla base di un mandato parlamentare costantemente aggiornato (mandato parlamentare che potrà assumere le forme, eventualmente, della originaria legge costituzionale e di eventuali successive leggi costituzionali o decreti leggi a seconda dell’andamento delle trattative per la stipula dell’accordo di recesso);
– parallelamente sia costituita un’apposita
– sia istituita una apposita commissione mista governativa e parlamentare per negoziare contemporaneamente la fine della
– sia prevista attraverso, se necessario, la stessa commissione bicamerale sopra citata, la definizione delle normative più utili per attribuire le attività di controllo, tecniche o scientifiche effettuate dalle agenzie europee a corrispondenti nuove agenzie italiane o ad agenzie italiane già esistenti (si pensi ad esempio all’agenzia europea dell’ambiente, all’autorità europea per la sicurezza alimentare, all’agenzia europea per la sicurezza aerea ecc.);
Se al termine dei due anni previsti dall’articolo 50 del Tue l’accordo con l’Unione europea per definire le modalità di recesso (come sarebbe altamente auspicabile) fosse raggiunto, il recesso diventerebbe operativo all’atto dell’entrata in vigore della legge dal Parlamento nazionale che ne autorizzasse la ratifica come per ogni altro trattato di natura politica ai sensi dell’articolo 80 della Costituzione.
Con il recesso l’Italia non sarebbe più legalmente
Cesserebbero quindi di avere efficacia i Trattati di modifica degli originari Trattati europei (Lisbona, Nizza, Amsterdam, Maastricht) ed anche tutti gli accordi che siano espressione della Unione economica e monetaria che ha come moneta l’euro (fondata sull’articolo 3, par. 4, del Tue) e che costituiscano e regolino il mercato interno (instaurato in base all’articolo 3, par. 3, del Tue).
In conclusione:
1) si sconsiglia l’indizione con legge costituzionale di un referendum di indirizzo per sondare l’opinione popolare in merito all’uscita dall’Unione europea (per i problemi che un tale referendum porrebbe considerati i limiti contenuti nell’articolo 75 della Costituzione); se proprio la maggioranza politica necessitasse del
2) si precisa che l’eventuale problema posto dall’articolo 81 si risolverebbe cancellandone la modifica introdotta con legge costituzionale n. 1 del 2012 (se, cioè, si ritenesse che il vincolo del pareggio di bilancio attualmente vigente fosse un ostacolo alle politiche da attuare per affrontare la fase di recesso e di successiva stabilizzazione economica interna, il vincolo andrebbe rimosso con la stessa legge costituzionale di autorizzazione a formalizzare l’intenzione di recesso dall’Unione europea).
Articolo tratto dalla consulenza resa dall’avv. Angelo Forte