Nuova legge sul divorzio: cosa cambia?

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Separazione e divorzio. La famiglia viene considerata come una società dove, allo scioglimento, si valutano gli apporti conferiti dai suoi membri che ne hanno arricchito il patrimonio: così cambiano le regole.

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C’è chi sta pagando da anni un assegno di divorzio e non vede l’ora di liberarsene. E chi invece riceve un mantenimento insufficiente a mandare avanti i figli e vorrebbe vederlo aumentare. C’è chi sta per separarsi e, nella scelta tra una consensuale o una giudiziale, intende prima comprendere quanto le novità in materia di separazione e divorzio possano influire sul suo caso. In questi giorni, stanno arrivando numerose email che ci chiedono cosa cambia con la nuova legge sul divorzio

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. Il riferimento è alla sentenza delle Sezioni Unite dell’11 luglio scorso [1], quella che ha corretto il tiro della famosa sentenza Grilli della Cassazione di quasi un anno prima [2] e che ha definito come si calcola l’assegno divorzile all’ex coniuge. Non parliamo quindi di una nuova legge sul divorzio, ma di un nuovo – anche se molto autorevole – orientamento giurisprudenziale che influirà sulle successive cause. Qual è la differenza? Che se fosse stata una legge si sarebbe applicata a tutti i cittadini in automatico (o meglio, ai casi da essa contemplati), mentre la sentenza riguarda solo le parti in causa. Tuttavia c’è un discorso da tenere in considerazione: quando a interpretare la legge sono – come nel caso dell’altro giorno – le Sezioni Unite della Cassazione siamo dinanzi a un indirizzo che costituirà un faro per i successivi processi. E quindi è verosimile pensare – anzi è auspicabile, ai fini della stessa certezza del diritto – che i giudici, d’ora in poi, si rifacciano a questa nuova interpretazione. Vediamo dunque
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cosa cambia in materia di separazione e divorzio.

Nuova legge sulla separazione: cosa cambia?

Come abbiamo detto, non si tratta di una legge, ma di una sentenza. Peraltro le Sezioni Unite hanno parlato solo del divorzio; per cui, in materia di separazione, non cambia assolutamente nulla. Ciò significa che marito e moglie, nel momento in cui intendono separarsi con un accordo, lo possono fare davanti al giudice o, a determinate condizioni, davanti al sindaco o con un accordo firmato davanti ai rispettivi avvocati.

In particolare si può ricorrere alla separazione consensuale in Comune quando la coppia non ha avuto figli o i figli non sono portatori di handicap o sono diventati autosufficienti. Inoltre è necessario che l’accordo non preveda trasferimenti di beni, con esclusione solo dell’assegno di mantenimento. Se mancano questi requisiti ci si può separare con la negoziazione assistita dei rispettivi avvocati o in tribunale.

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Veniamo alle dolenti note: come si calcola l’assegno di mantenimento? Il giudice deve ricostruire il tenore di vita che aveva la coppia quando ancora era sposata e fare in modo che il reddito del coniuge più “ricco” vada a compensare quello del più “povero” affinché quest’ultimo possa – nei limiti ovviamente del possibile – continuare a godere dello stesso potere di acquisto che aveva quando ancora era sposato. Una situazione solo tendenziale perché è noto che, con la separazione, i costi si duplicano e si va incontro a maggiori spese. Con la conseguenza che sarà impossibile che i due usufruiscano del medesimo tenore di vita.

In ogni caso, scopo dell’assegno di mantenimento è di ridurre le disparità tra i coniugi e fare in modo che lo stipendio più alto vada a compensare quello più basso eliminando tra i due le differenze.

Nuova legge sul divorzio: cosa cambia?

Rispondiamo ora a chi ci chiede cosa cambia con la nuova legge sul divorzio. Anche qui – lo ribadiamo ancora una volta a scanso di equivoci – non siamo in presenza di una nuova normativa ma solo di una sentenza. Una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione. La sentenza ha influito sui criteri di calcolo dell’assegno divorzile, quello cioè che viene corrisposto quando la coppia, dopo sei mesi dalla separazione consensuale o un anno da quella giudiziale, decide di divorziare. Vediamo allora quali sono le novità.

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Innanzitutto viene confermato – come già l’anno scorso la Cassazione aveva detto [2] – che scopo dell’assegno divorzile non è quello di garantire “rendite parassitarie” al coniuge che, pur avendo le condizioni di età e di salute, non vuole lavorare. Viene inoltre ribadito che scopo dell’assegno non è neanche ricostruire lo stesso tenore di vita che aveva la coppia prima di divorziare; in pratica significa che lo stipendio più alto non va diviso tra i due ex coniugi. Chi sposa un milionario non avrà per questo un’aspettativa superiore rispetto a chi ha sposato una persona di modeste condizioni. In altre parole, non è la ricchezza dell’ex coniuge a determinare la misura dell’assegno divorzile, ma altri paramenti. Vediamo quali sono.

Bisogna, per prima cosa, escludere – come invece aveva detto un anno fa la Suprema Corte – che l’assegno divorzile serva solo a garantire l’autosufficienza del coniuge più debole economicamente ossia la sua indipendenza. Bisogna tenere conto di una serie di altre circostanze che possono influire sull’ammontare dell’importo, tra cui l’

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età del richiedente e la durata del matrimonio. Tanto più è stata breve l’unione, tanto inferiore può essere la misura del mantenimento. Ma ciò che può cambiare l’entità dell’assegno divorzile è il contributo dato alla famiglia dal coniuge che richiede il sostegno. L’esempio classico è quello della moglie che rinuncia alla carriera pur di badare alla casa e ai figli, consentendo così al marito di concentrarsi sulla carriera e di guadagnare di più. La famiglia viene così considerata una sorta di società dove, alla divisione della stessa, si valutano gli apporti forniti dai soci durante la sua esistenza.

Dunque, il giudice deve valutare le condizioni economico-patrimoniali delle parti, ma deve anche accertare «se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti in funzione dell’assunzione di un ruolo trainante endofamiliare, in relazione alla durata» del matrimonio.

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Il diritto all’assegno divorzile verrà d’ora innanzi escluso in tutti quei casi in cui, pur sussistendo astrattamente una (rilevante) sproporzione tra le posizioni economico-patrimoniali delle parti, l’ex coniuge richiedente abbia i mezzi per condurre una vita autonoma e non abbia contribuito in maniera significativa alla formazione del patrimonio familiare o dell’altro coniuge, poiché in tal caso la disparità non dipende dalle scelte di vita fatte dai coniugi durante il matrimonio.

Cosa cambia per chi ha già divorziato?

E per chi si è già separato o divorziato cosa cambia?

Per chi si è già separato, le nuove regole si applicheranno non appena inizierà la causa di divorzio.

Per chi invece ha già divorziato le cose non mutano perché la sentenza che ha fissato a suo tempo l’assegno di divorzio non può essere oggetto di revisione a seguito di un mutamento di interpretazione su fatti già valutati. Secondo infatti la giurisprudenza ciò che consente la revisione dell’assegno di divorzio sono fatti sopravvenuti. Pertanto, se dovessero sopraggiungere nuove circostanze tali da rimettere in gioco i redditi delle parti, in quella sede si potrà esigere una sentenza che tenga conto della nuova interpretazione.

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Sacrificare la carriera per i figli o i figli alla carriera?

Ci piace terminare l’articolo con le parole di C. Gonzales: “Un dono per tutta la vita” che, in questo momento in cui si fa tanto di parlare di sacrificio delle donne tornerà utile.

«Se volete portare vostro figlio in braccio, fatelo.

Se volete smettere di lavorare per mesi o per anni per crescerlo, o rifiutare una magnifica opportunità di lavoro all’estero per stare con la vostra famiglia, fatelo.

Ma solo se volete. Se non volete, non fatelo.

Dire: ”Ho sacrificato la mia carriera per stare con mio figlio” è assurdo tanto quanto: “Ho sacrificato la relazione con mio figlio per la carriera”.

Non sono sacrifici, sono scelte.

Vivere è scegliere, le giornate hanno solo ventiquattro ore e chi fa una cosa non può farne un’altra contemporaneamente. Scegliete quello che in ogni momento vi sembra opportuno, e basta. Chi fa quel che vuole non sta rinunciando, sta riuscendo, non si sacrifica, ma trionfa».

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