Se l'avvocato chiede troppo

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L’avvocato può chiedere al proprio cliente onorari maggiori di quelli liquidati in sentenza?

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Hai incaricato un avvocato di difenderti in un processo particolarmente complesso. Prima di firmargli il mandato hai concordato con lui un compenso per l’opera da svolgere e, raggiunto l’accordo, gli hai versato un anticipo. Sono trascorsi diversi anni da allora e adesso che hai vinto la causa puoi finalmente dormire sereno. Si apre però un nuovo fronte: quello del pagamento dell’avvocato, il quale pretende il resto della parcella a suo tempo concordata. Dal canto tuo, vorresti riconoscergli di meno: quanto il giudice gli ha liquidato nella sentenza attraverso la condanna alle spese processuali nei confronti dell’avversario. Ti accorgi solo ora, infatti, che il prezzo che ti aveva preventivato all’epoca è di gran lunga superiore alle tariffe professionali vigenti. Sentendoti truffato, gli proponi così una soluzione bonaria, ma lui non ne vuole sapere e, anzi, minaccia di farti causa. Che fare

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se l’avvocato chiede troppo?

Il tuo caso è stato risolto, proprio di recente, da due ordinanze della Cassazione emesse a sette giorni di distanza l’una dall’altra [1]. Le pronunce si occupano del delicato tema relativo ai compensi dei legali. Compensi che – lo ricordiamo a quanti lo avessero dimenticato – sono stati ormai liberalizzati dal famoso Decreto Bersani. Ecco dunque come stanno le cose.

A quanto ammonta la parcella dell’avvocato?

L’avvocato e il cliente possono concordare qualsiasi importo quale corrispettivo per l’assistenza giudiziale (la difesa in un processo, un recupero crediti, un divorzio, ecc.) o stragiudiziale (la redazione di un contratto, una pratica per un risarcimento dall’assicurazione, ecc.). Non esistono più le tariffe minime (se non nei confronti delle banche, delle assicurazioni e delle grosse società per le quali vige il divieto di scendere al di sotto di un “

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equo compenso”).

Questo significa che, innanzitutto, per stabilire quale sia il compenso da pagare all’avvocato bisogna verificare gli accordi tra le parti. Anzi, l’avvocato è obbligato a fornire al proprio assistito un preventivo scritto che può essere modificato in corso di causa solo se sopraggiungono elementi che non potevano essere previsti prima (ad esempio una difesa divenuta più complicata a seguito della chiamata in giudizio di altri soggetti).

Questo preventivo è quindi l’elemento da cui partire per sapere a quanto ammonta la parcella dell’avvocato.

Se però le parti non hanno concordato alcun compenso, sarà il giudice a quantificare l’importo da pagare, attenendosi alle tariffe stabilite con un Decreto Ministeriale del 2014. Lo puoi trovare in questo articolo Quanto costa fare una causa?

L’avvocato può chiedere di più rispetto a quanto liquidato dal giudice?

Immaginiamo allora che il giudice abbia liquidato un compenso, a titolo d rimborso delle spese legali, che sia inferiore rispetto a quanto prima pattuito tra avvocato e cliente. Cosa succede in questi casi? A prevalere è ancora una volta l’accordo tra le parti. La condanna dell’avversario alle spese processuali servirà a coprire – ma, a questo punto, solo in parte – i costi del processo sostenuti dal vincitore. Il quale però, per il resto, dovrà attingere dalla tasca propria. Nell’esempio da cui siamo partiti, non basta al cliente eccepire il fatto che il giudice abbia liquidato un onorario inferiore per sottrarsi agli impegni presi al conferimento del mandato. Vorrà dire che sarà rimborsato solo parzialmente dall’avversario.

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L’avvocato può sempre pretendere dal cliente onorari maggiori di quelli liquidati in sentenza. L’avvento dei parametri, peraltro, non ha mutato la situazione dal momento che il legale resta comunque estraneo al giudizio che dispone il pagamento delle spese in proprio favore.

La sentenza che opera la liquidazione delle spese nell’ambito dei rapporti tra le parti non può superare e prevalere sugli accordi contratti tra cliente e avvocato. Senza contare poi che la sentenza che ha liquidato le spese non ha efficacia nei confronti del legale dal momento che lo stesso non è parte del giudizio e non può dedurre specifiche considerazioni.

La Suprema corte ha affermato che la misura degli oneri dovuti dal cliente al proprio avvocato prescinde dalle statuizioni del giudice contenute nella sentenza che condanna la controparte alle spese e agli onorari di causa e deve essere determinata in base a criteri diversi da quelli che regolano la liquidazione delle spese tra le parti. Solo l’inequivoca rinuncia

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del legale al maggiore compenso può impedirgli di pretendere onorari maggiori e diversi da quelli liquidati in sentenza. Tale rinuncia però non può essere desunta dalla semplice accettazione della somma corrisposta dal cliente per spese, diritti e onorari, nella misura liquidata in sentenza e posta a carico dell’altra parte, quando non risulti in concreto che la somma è stata accettata a saldo di ogni credito.

E se l’avvocato chiede troppo?

Che succede dunque se l’avvocato chiede un compenso superiore ai minimi tariffari del Decreto Ministeriale? Lo abbiamo già detto. Se non c’è stato un previo accordo tra le parti, firmato al momento del mandato, prevalgono le tariffe professionali del DM 2014 (di solito più basse). Se invece è stato concordato un compenso, prevale quest’ultimo. Quindi le pattuizioni tra le parti risultano preminenti su tutti gli altri criteri di liquidazione e il compenso va determinato in base alla tariffa «ed adeguato all’importanza dell’opera soltanto in mancanza di convenzione».

In materia di onorari del difensore è valida la convenzione tra professionista e cliente che stabilisce la misura degli onorari stessi in misura superiore al massimo tariffario, in quanto vige il principio di ammissibilità e validità di convenzioni con oggetto i compensi dovuti dai clienti agli avvocati, «anche con previsione di misure eccedenti quelle previste dalle tariffe forensi».

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