Uso telefono personale per scopi lavorativi: risposta a contestazione

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Ho ricevuto con raccomandata a mano una lettera di contestazione disciplinare per aver contattato una signora mentre ero a lavoro. Premetto che i messaggi che mi sono contestati, seppur fatti dal mio cellulare personale, poiché quello aziendale era momentaneamente scarico, erano solo di natura lavorativa e non vi erano altre allusioni private. Pertanto non ravvedo una lesione d’immagine dell’azienda.

Chiedo pertanto di ricevere una lettera o indicazioni di risposta da inviare all’Azienda in risposta alla lettera di contestazione disciplinare.

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La casistica giurisprudenziale affronta in maniera quasi esclusiva il caso contrario, e cioè l’utilizzo del telefono aziendale per scopi personali

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, giustificando il licenziamento nei casi più gravi. Esistono pronunce anche in merito all’uso del cellulare personale per scopi privati: una sentenza del Tribunale di Milano (sent. del 10 ottobre 2006) ha affermato che è legittimo il licenziamento disciplinare nei confronti del lavoratore che usa il cellulare aziendale in maniera impropria al di fuori delle finalità istituzionali e per scopi futili in danno economico del datore di lavoro, per di più destinando a tale pratica una parte dell’orario di lavoro.

Se ne desume che non è vietato in assoluto portare con sé, sul posto di lavoro, il proprio cellulare, purché non se ne faccia un uso smodato che sottragga tempo all’attività.

Dalla lettura di questi orientamenti se ne deduce l’ammissibilità dell’uso del proprio telefono se è indispensabile per scopi lavorativi. In effetti, leggendo la lettera di contestazione allegata, non viene rimproverato il mero impiego del cellulare personale, quanto l’utilizzo che se n’è fatto: secondo l’azienda, sarebbero state effettuate chiamate non attinenti l’ambito lavorativo. In buona sostanza, dunque, la contestazione riguarda

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l’utilizzo del mezzo per fini extralavorativi.

Una sentenza piuttosto recente della Corte di Cassazione (sent. n. 3133/2019) ha stabilito che è legittimo il licenziamento del lavoratore (e sussiste la lesione all’immagine dell’azienda) se questi ha effettuato molti accessi a Facebook, sottraendo tempo al lavoro (nel caso concreto, si parlava di circa seimila accessi ad internet estranei all’ambito lavorativo, di cui almeno 4.500 circa col profilo personale Facebook).

Di contro, altra giurisprudenza (Trib. Firenze, 7 gennaio 2008, n. 1218) ha ritenuto illegittimo il licenziamento irrogato nei confronti di un dipendente che su 163 giorni nei quali ha effettuato almeno un collegamento a internet in orario di lavoro, ha dedicato a tale attività mediamente circa 56 minuti giornalieri. Il licenziamento è stato annullato anche sul presupposto che il datore di lavoro aveva sempre consentito un accesso alla rete internet per motivi extra lavorativi, sia pure nei limiti della ragionevolezza e purché il sistema non fosse tenuto occupato per tempi eccessivi.

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Dalla breve disamina giurisprudenziale operata sinora si comprende come il punto centrale sia il tempo sottratto all’attività lavorativa a causa dell’utilizzo improprio di mezzi aziendali o personali. Nel caso esposto, nessun tempo è stato rubato al lavoro, né è immediatamente desumibile un danno all’immagine aziendale.

In effetti, nel caso illustrato, più che cercare precedenti giurisprudenziali occorrerà sostenere energicamente le proprie ragioni, insistendo sul fatto che la telefonata (effettuata con proprio cellulare perché quello aziendale era momentaneamente scarico) aveva finalità meramente lavorative, corroborando tale affermazione con quanti più elementi è possibile: ad esempio, se la Sig.ra era già stata contattata in precedenza, si potrà asserire che la stessa aveva già ricevuto chiamate dall’azienda e che quelle effettuate si inserivano in questo solco.

Ovviamente, se si tratta di comunicazioni scritte, è opportuno fornirne copia al datore, in modo che si possa provare concretamente la bontà delle proprie ragioni.

Alla luce di quanto sopra detto, sulla scorta delle informazioni in possesso, si potrebbe scrivere una risposta alla contestazione così come illustrato di seguito, nell’apposito box.

Articolo tratto da una consulenza dell’avvocato Mariano Acquaviva

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