Lavoro intermittente dimissioni
Un contratto di lavoro intermittente, al pari di ogni rapporto contrattuale, può essere risolto prima del termine.
Sei stato assunto con contratto di lavoro intermittente e hai ricevuto una proposta di lavoro migliore? Vorresti dimetterti e vuoi sapere cosa devi fare? Il lavoro intermittente è una tipologia di lavoro molto flessibile nella quale il lavoratore viene chiamato a lavorare dal datore di lavoro a singhiozzo, solo in casi di effettiva necessità da parte dell’azienda.
Al pari di ogni rapporto contrattuale, anche nel lavoro intermittente le parti possono decidere di uscire dal contratto. Come devono essere esercitate, nel lavoro intermittente, le dimissioni
Indice
Cosa si intende per lavoro intermittente?
Le esigenze che spingono un’impresa ad assumere un dipendente possono essere di varia natura. In alcuni casi, si tratta di esigenze stabili e durevoli nel tempo in quanto l’azienda avrà bisogno della prestazione lavorativa di quel lavoratore per un lasso di tempo prolungato ed indefinito.
In altri casi, invece, l’esigenza di avere quel dipendente in servizio è solo temporanea ed emerge solo in particolari momenti che possono essere legati all’andamento stagionale della domanda di beni e servizi, a specifiche campagne promozionali e pubblicitarie, a ricorrenze e feste, etc.
Questa tendenza è particolarmente evidente nel settore turistico dove, ovviamente, le aziende turistiche hanno bisogno del personale solo in certi momenti dell’anno in cui si concentra il flusso dei turisti.
Per rispondere alle esigenze di flessibilità nella gestione del personale, tra gli altri istituti, è stato introdotto il contratto di lavoro intermittente, detto anche lavoro a chiamata o job on call. Si tratta della forma più flessibile di impiego conosciuta nel nostro ordinamento. Di fatto, con il contratto a chiamata, il datore di lavoro chiama il lavoratore quando gli serve e lo retribuisce solo nei giorni di effettivo lavoro.
Infatti, il contratto di lavoro intermittente è il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente [1].
Se assumi un lavoratore a chiamata, dunque, non devi pagarlo in modo fisso e continuativo, anche in giornate in cui magari c’è poco lavoro. Puoi chiamarlo quando necessario e retribuirlo solo quando lavora effettivamente.
Lavoro a chiamata: i limiti
Il lavoro intermittente potrebbe sembrare la soluzione a tutti i problemi di gestione discontinua del personale. Tuttavia, non è così. Questo contratto, infatti, si può utilizzare solo se ricorrono specifiche circostanze indicate dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
In particolare, il lavoro intermittente è attivabile in caso di:
- ipotesi soggettiva: il contratto di lavoro intermittente può, in ogni caso, essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età, purchè le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni;
- ipotesi oggettive previste dai contratti collettivi di lavoro: la legge prevede che il lavoro intermittente possa essere attivato secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno. Le ipotesi di utilizzo del lavoro a chiamata possono essere individuate dai contratti collettivi sia nazionali, che territoriali che aziendali;
- ipotesi oggettive di legge: in attesa dell’emanazione di un apposito decreto da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, continua ad essere applicabile la tabella delle occupazioni discontinue o di semplice attesa allegata ad un regio decreto del 1923 [2].
Al di fuori di queste ipotesi, il lavoro intermittente non può mai essere utilizzato.
Inoltre, il lavoro intermittente è del tutto vietato:
- per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
- presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente, ovvero presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
- ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.
Se un’azienda assume un dipendente pur in presenza di un divieto, il rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato. Stessa conseguenza scatta se l’azienda utilizza il lavoratore a chiamata per un numero complessivo di giornate di effettivo lavoro superiore a 400 nell’arco di un triennio.
Lavoro a chiamata: le due tipologie
La legge prevede due distinte tipologie di lavoro a chiamata che si differenziano per la presenza, o meno, dell’obbligo del lavoratore di rispondere alla chiamata del datore di lavoro.
Nel contratto di lavoro intermittente con obbligo di risposta alla chiamata, il lavoratore si obbliga, in caso di chiamata del datore di lavoro a rispondere positivamente e recarsi a lavorare.
La disponibilità offerta deve essere remunerata versando al lavoratore la cosiddetta indennità di disponibilità, ossia, un importo mensile, divisibile in quote orarie, che ristora il lavoratore dal disagio determinato dal vincolo di risposta.
L’indennità di disponibilità è soggetta a contributi previdenziali ed assistenziali ed il suo ammontare deve essere definito dai Ccnl. In ogni caso, l’ammontare dell’indennità di disponibilità non può essere inferiore al 20% della retribuzione minima prevista per dipendenti di pari livello dal Ccnl di settore.
Nel caso di contratto di lavoro intermittente senza obbligo di risposta alla chiamata
In questa tipologia di contratto, vista l’assenza di alcun vincolo, il lavoratore, nei periodi di non lavoro, non matura il diritto ad alcun trattamento economico nè normativo e non rappresenta, dunque, un costo per l’azienda.
Lavoro intermittente: il contratto a chiamata
La legge prevede che il contratto di lavoro intermittente debba essere stipulato in forma scritta ai fini della prova e debba contenere i seguenti elementi:
- durata e ipotesi, oggettive o soggettive, che consentono la stipulazione del contratto a chiamata;
- luogo e modalità della disponibilità, eventualmente garantita dal lavoratore, e del relativo preavviso di chiamata del lavoratore, che non può essere inferiore a un giorno lavorativo;
- trattamento economico e normativo spettante al lavoratore per la prestazione eseguita e relativa indennità di disponibilità, ove prevista;
- forme e modalità, con cui il datore di lavoro è legittimato a richiedere l’esecuzione della prestazione di lavoro, nonchè modalità di rilevazione della prestazione;
- tempi e modalità di pagamento della retribuzione e della indennità di disponibilità;
- misure di sicurezza necessarie in relazione al tipo di attività dedotta in contratto.
Lavoro intermittente e dimissioni
Il lavoro intermittente può essere concluso sia a tempo indeterminato che a tempo determinato. Questa distinzione è importante, tra le altre cose, per stabilire la disciplina delle
In linea generale, infatti, nel nostro ordinamento, le dimissioni sono legittime solo se avvengono nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Ne consegue che, in caso di contratto a chiamata a tempo determinato, le eventuali dimissioni del lavoratore intermittente possono essere considerate illegittime ed il datore di lavoro potrebbe chiedere il risarcimento del danno derivante da questa decisione illegittima del lavoratore.
Di certo, vista la natura discontinua della prestazione di lavoro, non è affatto facile per il datore di lavoro dimostrare il danno ricevuto dalle dimissioni del lavoratore a chiamata. Nel caso di un contratto a chiamata a tempo indeterminato, invece, le dimissioni del lavoratore intermittente sono sempre legittime.
Occorre, tuttavia, considerare che la legge [3] prevede che il lavoratore rassegni le dimissioni rispettando il periodo di preavviso previsto dal contratto collettivo applicato.
Per verificare la durata del periodo di preavviso
- se il Ccnl ha previsto delle ipotesi oggettive di uso del lavoro a chiamata, spesso nella disciplina contrattuale viene indicata anche la durata del preavviso in caso di dimissioni;
- in mancanza di una disciplina specifica nel Ccnl, e non essendoci una norma di riferimento, si può ipotizzare di verificare la durata del preavviso per un dipendente di pari livello di inquadramento riproporzionando l’anzianità di servizio alla durata effettiva delle chiamate intercorse in esecuzione del rapporto di lavoro a chiamata.
Occorre anche chiedersi se il lavoratore a chiamata debba rispettare la procedura telematica di invio delle dimissioni introdotta dalla legge [4]. La risposta è affermativa. Anche per il lavoratore a chiamata, infatti, vi è il rischio delle dimissioni in bianco.
Il lavoratore deve, dunque, presentare le dimissioni con la procedura telematica prevista dalla legge o direttamente, entrando nel sito Cliclavoro con le proprie credenziali, oppure rivolgendosi agli intermediari autorizzati, come Ispettorato del lavoro, patronati, consulenti del lavoro, sindacati.