Entrare nel profilo Facebook di un’altra persona è un reato grave

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Accesso abusivo a sistema informatico e violazione della corrispondenza e della privacy: la legge punisce con pene che arrivano fino a tre anni di reclusione chi si intrufola nell’altrui account di un social network.

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Facebook, e in generale tutti i social network, sono l’ultima evoluzione del web 2.0. e della comunicazione; ma non per questo si sottraggono all’applicazione delle tradizionali norme del diritto, nonostante queste ultime siano state create diversi decenni fa. Certo, la legge, quando nasce, non pensa a tutte le possibili sfumature e trasformazioni che la realtà può subire nel corso tempo. Proprio per questo ogni norma è “generale” e “astratta”: affinché possa essere applicata a infiniti casi concreti.

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E così è anche con Facebook. Chi entra nel profilo utente di altri soggetti, procurandosi la password in modo illecito o forzando il sistema, molto probabilmente ignora che la sua condotta è già stata prevista da una norma del codice penale [1] e che, pertanto, sta commettendo un reato assai grave.

La leggerezza con cui, a volte, viene compiuta tale azione è anche imputabile all’opinione comune che l’ha quasi dipinta come un “gesto eroico”: rompere le serrature informatiche di un profilo è un’attività che non tutti sono in grado di compiere. E probabilmente si è diffuso in giro un certo rispetto per chi ha le chiavi di tale sapere. Prova ne è il timore reverenziale che si ha nei confronti di certe nebulose e quasi mistiche figure di hackers.

Ad ogni modo, l’accesso nel profilo sociale altrui è pur sempre un crimine, un reato grave che viola, peraltro, anche uno dei dettati della Costituzione: quello della segretezza della corrispondenza, se si pensa che, all’interno dell’account Facebook, si possono trovare i messaggi privati ricevuti e inviati con altri utenti.

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La legge penale punisce in modo severo la condotta di chi si intrufola nel profilo altrui. Si tratta del reato di “accesso abusivo a sistema informatico” per il quale può scattare la pena della reclusione fino a ben tre anni. Addirittura, la pena può arrivare a cinque anni se il reo ha distrutto, danneggiato o interrotto i dati, le informazioni o quant’altro presente all’interno del profilo.

La legge [1], in questi casi, stabilisce che chiunque si introduca abusivamente in un sistema informatico o telematico, protetto da misure di sicurezza come una password, oppure vi si mantenga contro la volontà espressa o tacita del titolare, è punito con la reclusione fino a tre anni.

Il reato scatta a prescindere dalla finalità perseguita dall’intruso. Pertanto, potrebbe anche semplicemente trattarsi di un uomo che cerca, nel profilo della moglie, eventuali prove di infedeltà; oppure di un impulso di gelosia; o ancora di uno scherzo; o di un atto di hackeraggio senza ragioni.

Insomma, bisognerebbe prestare molta attenzione a ciò che si fa con il computer: non sempre ciò che consentito dalla tecnica lo è anche per il diritto.

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