Ascensore esterno: distanza finestre

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Il condomino può installare l’ascensore esterno al fabbricato anche se riduce la veduta e non rispetta le distanze?

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Nei condomini senza ascensori si pone prima o poi l’esigenza di tutelare i soggetti più deboli, in particolare gli anziani e i portatori di handicap che non possono fare le scale a piedi.

L’abbattimento delle barriere architettoniche può essere deliberato in assemblea con la maggioranza dei partecipanti alla riunione a condizione che rappresentino anche la metà dei millesimi. Se non si dovesse raggiungere questo quorum, il disabile resta libero di svolgere i lavori sulle parti comuni dell’edificio sostenendone però l’intero costo. In tal caso, solo lui – e gli eventuali condomini che avranno partecipato alla spesa – potrà utilizzare l’impianto.

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Immaginiamo ora che l’edificio sia particolarmente datato e che la sua dimensione non consenta di realizzare un ascensore nella tromba delle scale. A questo punto, si dovrà necessariamente sfruttare la facciata esterna dell’edificio. Si porrà allora il problema della distanza dalle finestre dell’ascensore esterno. Cosa dice la legge a riguardo? Un chiarimento in proposito è stato fornito, proprio di recente, dalla Cassazione [1]. Ecco cosa ha detto la Suprema Corte in merito.

Ogni condomino è libero di installare l’ascensore esterno al fabbricato anche se riduce la veduta di alcuni e non rispetta le distanze dalle proprietà contigue. L’impianto, infatti, deve considerarsi funzionale ad assicurare la vivibilità dell’appartamento secondo le moderne concezioni in tema di igiene. Senza contare poi che il principio di solidarietà condominiale impone di facilitare l’eliminazione delle barriere architettoniche.

L’installazione di un ascensore esterno deve, però, essere rispettosa delle regole contenute all’

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articolo 1102 del Codice civile in forza delle quali, seppur è vero che ogni condomino può usare la cosa comune, realizzandovi anche delle opere, non può però alterarne la destinazione e impedire agli altri condomini di farne parimenti uso secondo il loro diritto. Rispettati tali paletti, ogni condomino può apportare al palazzo, a proprie spese, le modificazioni necessarie per il miglior godimento del proprio appartamento (si pensi all’apertura di una seconda porta sul pianerottolo).

La vicenda decisa dai giudici riguarda un condomino che aveva installato un ascensore esterno ad una distanza troppo ravvicinata dalle finestre e dai balconi di alcuni appartamenti, riducendone così la possibilità di affaccio e di veduta.

Benché in primo e in secondo grado l’uomo abbia subito una sonora sconfitta, la Cassazione ha rovesciato le sorti del giudizio. La Corte ha fatto notare, infatti, che l’esiguità dello spazio a disposizione per l’ascensore non consentiva il rispetto delle distanze di tre metri dalle costruzioni così come imposto dalla normativa in materia di proprietà confinanti.

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Secondo la Suprema Corte, l’affermazione circa la violazione delle distanze appare avulsa da ogni riferimento al caso di specie, nel quale i lavori per l’installazione dell’ascensore erano dichiaratamente volti all’eliminazione delle barriere architettoniche. In particolare, ha proseguito la Cassazione, i giudici di primo e secondo grado non hanno adeguatamente apprezzato che l’installazione dell’ascensore o di altri congegni, con le caratteristiche richieste dalla normativa tecnica, idonei ad assicurare l’accessibilità, l’adattabilità e la visitabilità degli edifici, costituisce elemento che deve essere necessariamente previsto dai progetti relativi alla costruzione di nuovi edifici, ovvero alla ristrutturazione di interi fabbricati. Da tale indicazione si può desumere che l’esistenza dell’ascensore può senz’altro definirsi funzionale ad assicurare la vivibilità dell’appartamento, cioè è assimilabile, quanto ai principi volti a garantirne l’installazione, agli impianti di luce, acqua, riscaldamento e similari.

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Ai fini della legittimità dell’intervento innovativo è sufficiente, peraltro, che lo stesso produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell’abitazione.

In questo contesto, ha concluso la Cassazione, ove il giudice constati il rispetto dei limiti di cui all’articolo 1102 Codice civile, deve ritenersi legittima l’opera realizzata anche senza il rispetto delle norme dettate per regolare i rapporti tra proprietà contigue, sempre che venga rispettata la struttura dell’edificio condominiale.

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