Assegno di mantenimento all’ex: chiarimenti della Cassazione

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In tema di diritto all’assegno divorzile, l’attitudine dell’ex coniuge al lavoro assume rilievo solo se viene riscontrata un’effettiva sopravvenuta possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già sulla base di mere valutazioni astratte e ipotetiche.

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Quando si tratta di analizzare il diritto dell’ex coniuge all’assegno di mantenimento – impropriamente chiamato con il termine “alimenti” – bisogna tenere conto di una serie di circostanze, prima tra tutte la disparità di reddito tra i due ex coniugi.

Il giudice deve cioè fissare un assegno mensile che sia proporzionato al reddito del coniuge obbligato e compatibile con la necessità di sopravvivenza anche di quest’ultimo. Sicché, sarebbe illegittima – scrive la

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Cassazione in una recente ordinanza [1] – una quantificazione che non sia proporzionata ma che tenga conto di criteri astratti, del tutto avulsi dal caso specifico. In buona sostanza, il giudice non deve tenere conto solo delle necessità del coniuge meno abbiente ma anche delle concrete possibilità dell’altro, tenuto a versare l’importo.

Ad esempio, se il coniuge obbligato al pagamento dovesse andare in pensione o vedere ridotta la propria capacità lavorativa a seguito di una malattia invalidante, questi avrebbe diritto ad una riqualificazione dell’assegno in misura proporzionale alle sue mutate capacità economiche. E ciò vale sia per gli alimenti dovuti all’ex che ai figli, nonostante a questi ultimi spetti il diritto di mantenere lo stesso tenore di vita che avevano quando ancora i genitori erano uniti [2].

I chiarimenti della Cassazione in materia di assegno di mantenimento non finiscono qui.

Altro importante chiarimento riguarda la possibilità di una revisione dell’assegno di mantenimento se il coniuge obbligato ha una nuova famiglia e, in particolare, dei

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figli nati da una successiva unione. C’è chi ritiene che, in questi casi, l’assegno in favore della precedente famiglia debba essere cancellato. La Cassazione [3] però nega tale interpretazione. Secondo la Corte, si può parlare tutt’al più di una riduzione dell’importo – visto e considerato che il diritto a farsi una famiglia viene riconosciuto dalla Costituzione – ma mai di un totale azzeramento, specie quando ci sono in mezzo dei minori.

«Il diritto alimentare del coniuge beneficiario non è recessivo (ossia non è di minore importanza, n.d.R.) rispetto a quello dei nuovi figli».

Insomma, per chi avvia una nuova convivenza ed ha altri figli, c’è l’obbligo di mantenere entrambe le famiglie.

Invece, per l’ex moglie beneficiaria del mantenimento, il diritto all’assegno mensile viene meno se è proprio quest’ultima ad iniziare una stabile convivenza con un’altra persona. I figli, invece, restano sempre sul groppone del padre naturale.

Ulteriore chiarimento da parte della Cassazione, in tema di assegno di mantenimento, riguarda la cosiddetta

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meritevolezza del coniuge beneficiario. La Cassazione, nelle note sentenze emesse tra il 2017 e il 2018 che hanno rivoluzionato la concezione del mantenimento, ha insegnato che il contributo dell’ex coniuge più benestante spetta solo se il richiedente dà prova di non potersi mantenere da solo, di non essere cioè autosufficiente. Il che ricorre quando, ad esempio, ha superato i 50 anni d’età perdendo così ogni legame con il mondo occupazionale, se le sue condizioni di salute sono precarie tanto da impedirgli di lavorare, se per tutto il tempo dell’unione coniugale – d’accordo con il coniuge – si è dedicato alla casa, ai figli e al ménage domestico (il riferimento è alla casalinga) e, in ultimo, se riesce a provare di aver cercato un posto ma di non esserci riuscito a causa delle condizioni avverse del mercato. A quest’ultimo fine bisognerà dimostrare di aver inviato il proprio curriculum ad aziende, di essersi iscritto all’ufficio di collocamento, di aver partecipato a bandi e concorsi e così via. Di converso, hanno ribadito i giudici supremi, il coniuge che può lavorare ma che non lo fa per propria indolenza non ha diritto al mantenimento.
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A quest’ultimo riguardo, la Cassazione sottolinea il fatto che l’attitudine del coniuge al lavoro assume rilievo solo se viene riscontrata in termini di «effettiva possibilità di svolgimento di un’attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale ed ambientale, e non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche». In buona sostanza, non basta dire che l’ex moglie è ancora giovane e sana per dire che non abbia diritto al mantenimento in quanto “abile al lavoro”. Se infatti quest’ultima dà prova di aver tentato di rendersi indipendente – ad esempio, accettando lavori a termine, part-time o partecipando a concorsi – e, ciò nonostante, è rimasta senza stipendio, l’assegno di mantenimento va versato.

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