Affidamento figlio: che succede se i genitori vivono lontani

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Affidamento condiviso del minore e distanza geografica dei genitori: la frequentazione del padre può non essere paritaria in presenza di serie ragioni.

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Non è raro che, dopo la separazione o il divorzio, gli ex coniugi vadano a vivere in città diverse. La situazione si complica quando ci sono dei figli minori. A questi infatti va garantito il «diritto alla bigenitorialità», ossia a mantenere solidi legami sia con il padre che con la madre. Questo diritto si traduce nella previsione di un calendario di incontri periodici tra i bambini e il genitore “non collocatario” (quello cioè che non convive con i figli), calendario stabilito d’intesa dai genitori o, in assenza di accordo, dal tribunale.

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Ebbene, proprio con riferimento all’affidamento del figlio, che succede se i genitori vivono lontani? La questione è stata posta al vaglio della Cassazione. Con una recente ordinanza [1] la Suprema Corte ha di nuovo chiarito come conciliare le esigenze del minore a una vita tranquilla con quelle del genitore non collocatario a vedere il proprio figlio quando questo risiede a diversi chilometri di distanza.

Ecco cosa hanno detto i giudici.

La collocazione e l’affidamento del figlio

È bene innanzitutto fare una precisazione terminologica. Quando si parla di affidamento del figlio minore si intende l’attribuzione del potere/dovere dei genitori a prendere le decisioni più importanti per la vita, la crescita, l’educazione e l’istruzione del giovane. Si pensi alla scelta della scuola, all’autorizzazione per i viaggi all’estero, ecc.

L’affidamento è, di regola, congiunto: viene cioè attribuito sia al padre che alla madre. L’

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affidamento condiviso, invece – ossia quello attribuito a un solo genitore – scatta solo nei casi di grave impedimento che può derivare dall’incapacità di uno dei genitori o dalla sua pericolosità per il minore.

Diverso dal concetto di affidamento è quello di collocazione. La collocazione indica soltanto il luogo – o meglio la residenza – ove il figlio stabilirà la propria dimora abituale. E questa, come noto, è di preferenza quella della madre.

La collocazione però va conciliata con il diritto dell’altro genitore a vedere periodicamente i figli secondo un calendario che può essere concordato di volta in volta dai genitori o, in caso di disaccordo, prefissato dal giudice della separazione o del divorzio.

Distanza geografica dei genitori e diritto di visita

Come si concilia il diritto di visita del genitore non collocatario con l’eventuale distanza geografica rispetto all’abitazione dell’ex coniuge?

Secondo la Cassazione, se è vero che, in mancanza di serie ragioni ostative, la condivisione deve comportare una frequentazione dei genitori tendenzialmente paritaria, è altrettanto vero che, qualora la distanza esistente tra i luoghi di vita dei genitori imponga al minore di sopportare tempi e sacrifici di viaggio tali da comprometterne gli studi, il riposo e la vita di relazione, il giudice può individuare un assetto, nella frequentazione, che si discosti da questo principio tendenziale. E ciò al fine di assicurare al bambino la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena.

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In pratica, la distanza è un dato di fatto che deve essere preso in considerazione dal giudice, nel definire il calendario degli incontri, in modo tale che essa non ricada sul figlio, costringendo questo a stancanti e continui viaggi.

I Giudici della legittimità, fermo restando il principio della bigenitorialità – da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi – ribadiscono che, in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto del modo in cui i genitori hanno svolto in passato il proprio ruolo, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione, nonché della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire.

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L’affidamento condiviso, che rappresenta la scelta preferenziale in caso di disgregazione dell’unità familiare, è volto a garantire al minore un rapporto continuativo ed equilibrato con ciascuno dei genitori. L’esistenza di una mera conflittualità tra padre e madre non preclude il ricorso a tale forma di affidamento, ma solo se si mantenga nei limiti di un tollerabile disagio per la prole, mentre giustifica l’affidamento esclusivo ove si esprima in forme tali da porre in serio pericolo l’equilibrio e lo sviluppo psico-fisico dei minori.

Come già detto in passato dalla stessa Cassazione [2], in tema di affidamento condiviso del minore, la regolamentazione dei rapporti con il genitore non convivente non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori, ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice del merito. Il magistrato, partendo dall’esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, deve tenere anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all’esplicazione del loro ruolo educativo. Pertanto, nell’interesse del minore e in presenza di serie ragioni il giudice può individuare un assetto nella frequentazione che assicuri al bambino la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena.

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