Recensione negativa su Google: è legale?

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Confine tra diritto di critica e diffamazione: quando il giudizio personale diventa reato. Recensioni false e recensioni veritiere.

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Le recensione negativa online è legale? Il diritto di critica si scontra spesso con il diritto all’onore e alla reputazione. Chi vuol parlare male di un’altra persona o dell’attività commerciale altrui deve sempre attenersi ai fatti e rispettare la cosiddetta “continenza”: il commento deve cioè essere composto e non risolversi in un attacco gratuito alla persona.

L’attuazione di tali principi, pacifici in teoria, diventa complicata nella prassi, specie quando si ha a che fare con un uso scomposto e diretto del linguaggio, in particolare quello moderno sui social network.

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Proprio internet ha posto il problema di definire il punto di confine tra diritto di critica e diffamazione tutte le volte in cui si effettua una recensione negativa. E di posti dove lasciare recensioni la rete è piena: dalle piattaforme di marketplace agli stessi siti internet dei produttori, per finire a Google My Business, lo spazio messo a disposizione dal famoso motore di ricerca per pubblicare le “schede profilo” delle attività commerciali e professionali.

Chi si avventura a scrivere una recensione lo fa, però, il più delle volte animato da un preciso proposito vendicativo o da gratitudine. E, nel primo caso, è molto facile incorrere in esagerazioni, sulla spinta dell’emotività. Siamo fuori dall’ambito delle recensioni false che tuttavia non costituiscono illecito se esprimono un giudizio positivo (si pensi ai tanti recensori pagati appositamente per lasciare i propri apprezzamenti allo scopo di pubblicizzare un’azienda). Qui, siamo invece in presenza di recensioni veritiere che, tuttavia, esorbitano dal diritto di critica. Di qui, il dubbio:

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la recensione negativa su Google è legale?

La questione è stata di recente posta all’attenzione del tribunale di Siena che, con una recente sentenza [1], ha fornito un interessante vademecum sull’argomento.

Secondo i giudici toscani, la recensione negativa apparsa sulla piattaforma internet Google My Bussines, finalizzata a criticare la prestazione resa da un professionista, non integra gli estremi del reato di diffamazione solo se, pur utilizzando un linguaggio gergale e figurato, nonché toni aspri e polemici, risulta funzionale alla critica perseguita, senza trasmodare nell’immotivata aggressione alla persona. In buona sostanza, bisogna attenersi ai fatti e non eccedere mai.

C’è da dire che chi decide di pubblicizzare la propria immagine su di una piattaforma social o su un marketplace conosce – o meglio, dovrebbe conoscere – il regolamento interno e già si prefigura, in partenza, la possibilità di ricevere recensioni negative. Decide dunque di “stare al gioco” in cambio di visibilità. Non è possibile pensare di mettersi in bella mostra solo dinanzi alle recensioni buone per poi aggredire chi la pensa diversamente.

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È chiaro: la recensione deve innanzitutto essere veritiera. Si può ragionevolmente dolere della recensione negativa chi riceve una recensione falsa, eseguita da una persona che magari non ha mai usufruito dei servizi dell’azienda o che ha l’unico obiettivo di discreditare l’attività altrui.

In secondo luogo, il linguaggio, anche se diretto, non può rivolgersi in un attacco all’altrui moralità o dignità personale. Un conto è dire che un ristorante è caro o non cucina bene, un’altra che il titolare è un truffatore.

Come difendersi dalle recensioni negative? Se la recensione negativa travalica il diritto di critica è possibile perseguire il suo autore in due modi: o con una querela penale, rivolta ad ottenere la punizione del colpevole per il reato di diffamazione o con un’azione civile per ottenere il risarcimento del danno. La domanda di risarcimento del danno può essere presentata anche nel corso del processo penale, tramite la costituzione di parte civile.

Il caso deciso dai giudici senesi riguarda un’espressione, utilizzata in una

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recensione negativa su Google MyBusiness, del seguente tenore: «C’è sempre una fregatura da parte mia non lo consiglierei a nessuno». La professionista titolare dello studio aveva perciò intrapreso un’azione civile con cui domandava la condanna del cliente al pagamento del risarcimento dei danni.

Il cliente si difendeva ancorandosi al diritto di critica, che riteneva di aver esercitato in maniera legittima, esprimendo la propria personale opinione sull’operato professionale dello studio di consulenza del lavoro.

Fin dove si può spingere il diritto di critica? La critica comporta necessariamente l’esposizione di un punto di vista soggettivo; non si può pertanto pretendere che sia obiettivo ed asettica. Pertanto, al fine di valutare se una critica sia o meno diffamatoria è necessario compiere un’ulteriore valutazione del complessivo contegno e del contesto dialettico in cui sono state pronunciate le frasi potenzialmente infamanti.

Per passare dalla critica alla diffamazione è necessario che le espressioni usate dal cliente abbiano un grado di offensività intrinseco, come nel caso in cui si utilizzino parole scurrili e dispregiative.

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Se tali presupposti mancano, le espressioni verbali del cliente, pur urtando la sensibilità del soggetto recensito perché aspre e forti, non possono essere considerate illecite. Come detto, del resto, nel momento in cui il professionista, esercitando un’attività aperta al pubblico, inserisce il suo profilo su internet accetta il rischio di poter risultare destinatario di recensioni negative da parte di un cliente insoddisfatto.

In questa prospettiva, la Cassazione penale si è espressa escludendo la punibilità di un linguaggio gergale e figurato, con toni aspri e polemici a condizione che la modalità di espressione sia proporzionale e funzionale nella considerazione complessiva degli interessi e dei valori compromessi.

La critica deve essere quindi continente, ossia proporzionata e funzionale alla comunicazione dell’informazione, senza mai tradursi in frasi inutilmente umilianti e infamanti o in aggressione verbale alla volta del soggetto criticato.

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