Quando è possibile la compensazione delle spese processuali?

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Principio di soccombenza nel processo civile: cos’è e come funziona? Quando il giudice può compensare le spese di giudizio tra le parti?

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Il processo civile è come un duello in cui si affrontano due o più contendenti. Al termine della sfida, il giudice stabilisce il verdetto e condanna il soccombente, non solo costringendolo a soddisfare la richiesta degli avversari, ma anche a pagare le spese legali e giudiziali sostenute da questi ultimi. Detto in maniera meno cavalleresca, nel giudizio civile vale l’elementare regola secondo cui chi perde paga. Questo principio, però, può essere messo in discussione dal giudice.

Quando è possibile la compensazione delle spese processuali?

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Per compensazione si intende che ciascuna parte paga le spese che sono state necessarie per costituirsi in giudizio (contributo unificato, marche, notifiche, ecc.), compresa ovviamente la parcella del proprio avvocato.

Quando il giudice compensa le spese significa che non segue il criterio della soccombenza, ma la diversa regola secondo cui ciascuno paga il proprio. In pratica, il soccombente non deve pagare le spese processuali né quelle legali alla controparte. Perché? Quando il giudice decide di compensare le spese? Vediamo cosa dicono la legge e la giurisprudenza.

Soccombenza nel giudizio civile: cos’è?

Per poter parlare della compensazione delle spese processuali dobbiamo innanzitutto spiegare cos’è e come funziona la soccombenza nel giudizio civile.

Come anticipato in premessa, secondo il principio di soccombenza, la parte processuale che perde deve corrispondere le

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spese di giudizio e quelle legali sostenute dalla controparte vittoriosa.

Una parte processuale è soccombente (cioè, perde il giudizio) quando la sua domanda viene rigettata dal giudice oppure quando viene accolta quella della controparte.

Soccombenza: come funziona?

Secondo la legge [1], il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme agli onorari di difesa.

Il discorso è molto semplice: nel decidere il giudizio, il magistrato accolla alla parte che perde anche le spese sostenute dalla parte vittoriosa.

Le spese in questione sono:

Se il giudice, però, accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta stessa, salva l’eventuale necessità di procedere a compensazione.

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In pratica, la legge consente al giudice di imputare le spese processuali alla parte vittoriosa, se questa alla fine l’ha spuntata con un risultato non superiore a quello che avrebbe ottenuto se avesse accettato la proposta conciliativa del giudice. Facciamo un esempio.

Tizio cita in giudizio Caio per una somma pari a 10mila euro. Il giudice, durante la prima udienza, propone una conciliazione a 5mila euro. Tizio non accetta e decide di andare avanti. Al termine del processo, il giudice riconosce a Tizio una somma non superiore a 5mila euro, condannandolo a pagare alla controparte soccombente le spese di giudizio maturate successivamente alla proposta conciliativa disattesa.

Insomma, la legge consente di far pagare le spese processuali alla parte vittoriosa che ha inutilmente proseguito il giudizio, se non ha ottenuto più di quanto gli era stato proposto in sede conciliativa. Chi non si accontenta, paga.

Compensazione delle spese: come funziona?

Secondo la legge [2], il giudice può compensare le spese processuali

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(parzialmente o per intero) in tre ipotesi:

Nel primo caso, il giudice può stabilire che ciascuna parte paghi le rispettive spese legali e processuali se entrambe hanno perso il giudizio.

Tizio cita in giudizio Caio chiedendo il risarcimento del danno. Caio si costituisce e spiega domanda riconvenzionale chiedendo a propria volta il risarcimento a Tizio. Il giudice decide che entrambe le richieste sono infondate.

Nella seconda ipotesi, il giudice può compensare le spese processuali perché la parte soccombente ha perso la causa in ragione di una circostanza assolutamente nuova e, fino a quel momento, estranea alla giurisprudenza. Si tratta di ipotesi rare, per lo più collegate a eventi eccezionali oppure a leggi appena entrate in vigore.

Tizio chiede lo sfratto per morosità di Caio. Questi si difende sostenendo che, a causa della pandemia da Covid-19, la sua attività è stata costretta a chiudere e, pertanto, non ha potuto godere della locazione dell’immobile adibito ad attività commerciale né ha i soldi per poter pagare. Il giudice dà ragione a Caio ma compensa le spese perché la pandemia è evento assolutamente nuovo.

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Infine, il giudice può compensare le spese processuali, stabilendo che ciascuno paga i costi di giustizia e la parcella dell’avvocato, se c’è stata una modifica dell’orientamento giurisprudenziale in merito alla questione giuridica di cui si dibatte.

In altre parole, il giudice si esprime per la compensazione delle spese quando la parte soccombente abbia confidato nella consolidata precedente interpretazione giurisprudenziale che, però, è stata sconfessata in tempi più recenti.

Tizio vuole sfrattare il suo inquilino Caio perché moroso. Caio si difende appellandosi a una recentissima sentenza resa dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione secondo cui, se l’inquilino è moroso per cause a lui non imputabili, non può essere mandato via.

Deroghe alla soccombenza: altri casi

Oltre che nell’ipotesi di compensazione e di rifiuto della proposta conciliativa ragionevole, il giudice può derogare al principio di soccombenza in altre due circostanze:

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