Mantenimento figlio con invalidità: fino a che età?

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I portatori di handicap vengono trattati, ai fini del mantenimento, come i figli minorenni.

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Un nostro lettore ci chiede fino a che età è dovuto il mantenimento al figlio con invalidità. Lo stesso ci dice di essere stato riconosciuto invalido al 75%, ma di aver sentito dire che, alla soglia dei 35 anni, si perde ogni contributo da parte dei genitori.

Obbligo di mantenimento dei figli: fino a che età?

I genitori devono mantenere i figli fino a quando questi non sono indipendenti dal punto di vista economico.

In caso di separazione o divorzio, il genitore non convivente è obbligato a concorrere al mantenimento del figlio sempre fino a quando è minorenne, ma anche dopo il raggiungimento della

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maggiore età se non dà prova che il figlio abbia raggiunto l’indipendenza economica.

La legge non specifica fino a che età sia dovuto il mantenimento, ma la giurisprudenza dice che è dovere comunque del figlio, nel frattempo, far di tutto per rendersi indipendente. Come? Formandosi, ossia studiando, o cercando un impiego. Quindi, il figlio che, anche maggiorenne, non lavora non per colpa sua va mantenuto. Viceversa, se il figlio sta in panciolle, non studia e non cerca un impiego, perde il mantenimento già a partire dai 18 anni.

In buona sostanza, il figlio, dalla maggiore età in poi, non può stare con le mani in mano.

Tuttavia, secondo la Cassazione, se un giovane di 30-35 anni – a seconda del suo percorso formativo – non guadagna ancora, si può presumere che ciò non sia dovuto alla crisi del mercato occupazionale ma a sua colpa, alla sua pigrizia o alla sua insofferenza a determinati lavori. Non è pensabile, secondo il ragionamento dei giudici, che fino a quest’età non si abbia mai ricevuto un’occasione di lavoro. Anche perché il giovane non può fare lo schizzinoso, specie di questi tempi. E quindi, al di là delle sue aspirazioni, deve trovare il modo per rendersi indipendente dalla madre e dal padre.

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Mantenimento figlio disabile: fino a che età per chi ha un handicap?

Il discorso è diverso per chi ha un’invalidità. Sappiamo come spesso tale condizione fisica possa comportare una discriminazione sul piano lavorativo. Il che significa che non si può applicare ad essi lo stesso metro di giudizio previsto per i figli maggiorenni “abili”. E, difatti, l’articolo 337-septies del Codice civile stabilisce che ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori, data la condizione di non autosufficienza del figlio. Il che significa che questi hanno sempre diritto ad essere mantenuti.

Sarà comunque il giudice, in caso di controversia tra le parti, a definire se, sulla base del grado e del tipo di invalidità del giovane, questi abbia una ridotta capacità lavorativa.

Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano tutte le disposizioni dettate in favore dei minorenni, ad eccezione di quelle relative all’affidamento

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, trattandosi di soggetti maggiorenni che, per legge, hanno piena capacità di agire e non sono quindi da ritenere incapaci. Le decisioni più importanti per la loro vita le prenderanno loro stessi, eventualmente con l’assistenza di un amministratore di sostegno.

In tema di mantenimento del figlio con disabilità, la giurisprudenza ha anche detto che, in caso di divorzio, il genitore con cui non convive il figlio maggiorenne portatore di handicap (nella specie, una pressoché assoluta disabilità fisica e mentale) è tenuto non solo a concorrere al suo mantenimento, ma anche ad assolvere, in concorso con l’altro genitore, ai compiti di cura, accudimento e assistenza, a mezzo della previsione di specifiche modalità di visita periodica.

Anche sotto un profilo penale, il figlio maggiorenne portatore di handicap è tutelato. Secondo i giudici, integra il reato di «violazione degli obblighi di assistenza famigliare» la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza ai figli minorenni oppure ai maggiorenni “inabili al lavoro”: l’inabilità al lavoro del figlio maggiorenne è condizione imprescindibile per la configurabilità del reato e, a tal fine, per “inabile al lavoro” deve intendersi colui che risulti avere una riduzione permanente della capacità lavorativa nella misura pari o superiore al 74 per cento.

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