Il prete è tenuto al segreto professionale?
Il sacerdote è vincolato al segreto professionale? Un prete può denunciare il reato che gli è stato confessato?
Il segreto professionale riguarda fatti confidenziali appresi durante il proprio servizio. Al ricorrere di determinate condizioni la legge consente di mantenere il massimo riserbo su tali circostanze anche qualora si dovesse essere chiamati a testimoniare in giudizio: in un’ipotesi del genere, la reticenza sarebbe giustificata e non farebbe incorrere nel reato di falsa testimonianza. Il prete è tenuto al segreto professionale? Vediamo cosa stabilisce la legge.
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Il sacerdote è vincolato al segreto professionale?
Secondo la legge (art. 200 cod. proc. pen.; art. 249 cod. proc. civ.), i
Ciò significa che il segreto professionale del sacerdote decade solo se, in ragione del proprio ufficio, ha appreso fatti per i quali vige l’obbligo di denuncia.
Si tratta di ipotesi residuali nelle quali rientrano reati contro lo Stato puniti con l’ergastolo (stragi, ecc.), possesso di denaro falso, rinvenimento di esplosivi o smarrimento di un’arma (per la lista completa, si legga l’articolo dal titolo Denunciare è obbligatorio?).
D’altronde, anche al di fuori di queste ipotesi, il segreto professionale non è un obbligo ma una facoltà; nel caso di specie, spetta al sacerdote rifiutare di rispondere opponendo il segreto professionale, con il giudice che, se non è convinto pienamente, può disporre che vengano effettuati gli accertamenti necessari per verificare se effettivamente sussiste il diritto di astensione.
Vale la pena di precisare che il segreto professionale di cui parla la legge è ben più esteso del segreto confessionale del diritto canonico, per cui in esso vanno ricomprese anche le notizie confidenziali apprese dal sacerdote al di fuori della confessione ma pur sempre nell’esercizio del ministero religioso (Cass., 14 febbraio 2017, n. 6912).
Da tale segreto sono quindi esclusi tutti i fatti conosciuti dal sacerdote nell’ambito di attività sociali, anch’esse tipicamente svolta dagli ecclesiastici.
Il prete può denunciare un reato che gli è stato confessato?
Come appena ricordato, il prete non è obbligato al segreto professionale; ciò tuttavia non significa che il sacerdote sia tenuto a sporgere denuncia tutte le volte in cui un fedele, rivoltosi a lui in confessione, gli abbia rivelato di aver commesso un crimine ma solo che, qualora nel corso di un processo dovesse essere richiesta la sua testimonianza, questi non potrebbe rifiutarsi di renderla e, anzi, verrebbe condannato qualora dovesse mentire o tacere (art. 372 cod. pen.).
Dunque, il sacerdote non è obbligato a denunciare un reato che gli è stato riferito in confessione oppure di cui ha avuto conoscenza al di fuori di essa: come detto, infatti, l’obbligo di sporgere denuncia sussiste solo in pochissimi casi.
D’altra parte, il sacerdote non è un pubblico ufficiale e, pertanto, non è tenuto a denunciare i reati che accadono in sua presenza.
Cosa succede se si viola il segreto professionale?
Un sacerdote, venuto a conoscenza durante la confessione di un delitto gravissimo (omicidio, ecc.), potrebbe decidere di violare il proprio segreto e di sporgere denuncia alle autorità; in questa circostanza, le conseguenze vanno analizzate sotto un duplice profilo:
- secondo il diritto canonico (canone 983, §1), il “sigillo sacramentale è inviolabile,” per cui la condotta del ministro di culto sarebbe illegittima;
- secondo il diritto penale (art. 622), la violazione del segreto professionale costituisce reato, a meno che non vi sia una giusta causa, la cui sussistenza è rimessa alla valutazione del giudice. Di certo la “giusta causa” in questione sussiste nel caso di testimonianza in giudizio, altrimenti la norma contrasterebbe con la facoltatività dell’astensione.