Mantenimento ex moglie con la casa coniugale

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Se il giudice assegna la casa coniugale all’ex moglie, l’assegno di mantenimento viene ridotto?

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A quanto ammonta l’assegno di mantenimento all’ex moglie con la casa coniugale? Se il giudice decide di accordare a quest’ultima il cosiddetto “diritto di abitazione” all’interno del tetto familiare, l’uomo può sperare di pagare un assegno mensile più basso? La risposta è affermativa e proviene dalla giurisprudenza.

Secondo i giudici [1], l’assegnazione della casa coniugale rientra nel calcolo delle disponibilità economiche di cui si deve tenere conto nel momento in cui si calcola la capacità reddituale dei coniugi e, quindi, anche le sue eventuali necessità. In buona sostanza, la casa fa reddito.

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A questo punto, non rileva il fatto che mantenere un appartamento implichi dei costi, a volte anche onerosi, come le utenze e le spese condominiali, che sono a carico di chi vi vive. Il fatto di aver mandato via il proprietario, costringendolo a pagare un affitto o a stipulare un nuovo mutuo per trovare una sistemazione, riduce il potere di acquisto di quest’ultimo e migliora invece quello dell’ex coniuge.

In buona sostanza, quindi, tutte le volte in cui il giudice è chiamato a quantificare l’assegno di mantenimento da versare all’ex moglie, tra i vari elementi che è chiamato a valutare ai fini della quantificazione dell’assegno stesso, vi è anche l’assegnazione della casa coniugale.

Si ricorda, a tal fine, che il diritto di abitazione all’interno della casa di proprietà esclusiva dell’altro coniuge o in comunione dei beni viene concesso dal tribunale solo a condizione che il coniuge beneficiario sia anche quello presso cui i figli andranno a vivere. L’assegnazione della casa è infatti subordinata alla presenza di

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figli minori, portatori di handicap o maggiorenni non ancora autosufficienti e sussiste fin quando questi – al di là se ancora conviventi con il genitore – non avranno le disponibilità economiche per rendersi autonomi e pagare, a loro volta, il canone di affitto di un immobile.

Il diritto di abitazione viene meno anche quando il beneficiario decide di abbandonare tale collocazione per vivere altrove (come nel frequente caso di trasferimento) o quando sono i figli ad andare via stabilmente (l’assenza per frequentare un corso fuori sede non viene ritenuta sufficiente).

Altra questione da tenere in considerazione è la determinazione dell’assegno di mantenimento. Ci sono due valutazioni da fare: la prima è quella del “se”, la seconda è quella del “quanto”. In ordine al primo step, il giudice accorda gli alimenti solo a patto che il coniuge richiedente presenti un reddito più basso rispetto all’ex coniuge e tale divario non dipende da sua colpa. Non viene quindi assegnato il mantenimento quando il coniuge è ancora giovane, ha una capacità lavorativa, è formato, è sano ed è in grado di trovare un’occupazione. Così come non viene assegnato il mantenimento quando l’ex non dimostra di far di tutto per occuparsi (iscriversi alle liste di collocamento, inviare il cv, partecipare a bandi e concorsi, ecc.).

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Una volta deciso il “se”, il giudice ne quantifica l’importo. E su questo tiene conto, da un lato, di tutte le fonti di reddito – mobiliari e immobiliari – del richiedente e, dall’altro, di quelle del coniuge obbligato (ad esempio, mutuo da pagare, affitto, ecc.).

Mantenimento ridotto dunque alla moglie separata che ha ottenuto l’assegnazione della casa coniugale, di proprietà del marito, perché nella quantificazione dell’assegno conta ogni attività valutabile dal punto di vista economico.

Quando il coniuge che assume di non avere mezzi sufficienti chiede il mantenimento in sede di separazione, l’adeguatezza deve essere verificata in base al tenore di vita offerto dalle potenzialità economiche dei coniugi durante il matrimonio: si tratta dell’elemento che condiziona tanto la qualità delle esigenze quanto l’entità delle aspettative per il richiedente. E dunque bisogna tenere conto anche degli incrementi, positivi o negativi, dei redditi ascrivibili alle parti verificatisi nel corso del giudizio: con la separazione, infatti, non viene meno la solidarietà economica tra i coniugi, che comporta la condivisione delle reciproche fortune durante la convivenza.

L’importo del mantenimento deve essere determinato considerando, oltre che i redditi delle parti, le concrete possibilità di lavoro, i cespiti patrimoniali e pure i beni che al momento non producono reddito. Bisogna dunque tenere conto della disponibilità della casa familiare in capo al beneficiario dell’assegno, che costituisce un’utilità valutabile dal punto di vista patrimoniale.

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