Cosa fare se non viene rispettata la garanzia?

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Contestazione prodotto difettoso: come difendersi dal venditore che non vuole sostituire l’oggetto rotto o non funzionante.

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In caso di prodotto difettoso non è sempre facile far valere la garanzia. Può infatti succedere che il negoziante assuma strumentalmente che il guasto non dipenda dal prodotto in sé ma dall’uso che di esso ne è stato fatto dopo l’acquisto. Con questa scusa, il consumatore si vede voltare le spalle dallo stesso rivenditore a cui invece avrebbe diritto a rivolgersi. È così costretto a intraprendere un giudizio di risarcimento o, quando il prezzo pagato è irrisorio rispetto alle spese processuali, a rinunciare ai propri diritti. Ma cosa prevede la legge in tali ipotesi?

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Cosa fare se non viene rispettata la garanzia?

Sotto un profilo normativo l’acquirente riceve una solida tutela dall’ordinamento. E se anche, in casi come questo, l’aula di tribunale non è sempre la soluzione migliore per risolvere il problema (per via dei lunghi tempi e dei costi che un processo implica), è sempre possibile fare ricorso a uno sportello di mediazione o all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), a seguito di apposita segnalazione.

Ma procediamo con ordine e vediamo cosa fare se non viene rispettata la garanzia.

Come funziona la garanzia?

Quando l’acquirente interviene nella vendita in veste di consumatore (acquistando cioè il prodotto per uso personale e non connesso alla propria attività lavorativa), la garanzia funziona nel seguente modo.

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La durata della garanzia è sempre di 2 anni dalla consegna del prodotto. Sono nulle le clausole contrattuali che stabiliscono un termine inferiore.

Nel caso in cui l’acquirente rilevi un difetto di produzione nell’arco dei due anni in cui opera la garanzia, deve farne immediata denuncia al venditore. Tale denuncia non può essere effettuata più tardi di 60 giorni dalla scoperta del vizio del prodotto. In caso contrario, la garanzia decade.

La denuncia può essere spedita con raccomandata a.r. o pec.; nulla però esclude che possa avvenire anche a voce, ad esempio con la restituzione materiale del prodotto difettoso, con l’unica difficoltà però, in caso di contestazioni, di dimostrare il rispetto dei termini.

La denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto i vizi (ad esempio, prendendo in consegna il prodotto per la sua riparazione) oppure li ha occultati in malafede al momento della vendita.

La garanzia riconosce all’acquirente il diritto a chiedere, a propria insindacabile scelta, la

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riparazione del prodotto (entro tempi ragionevolmente brevi) oppure la sua sostituzione con un prodotto identico o di valore non inferiore.

Se entrambe queste soluzioni sono materialmente impossibili (come nel caso di un prodotto uscito fuori produzione per il quale non ci sono pezzi di ricambio) o antieconomica (come nel caso di sostituzione di un motorino elettrico che, da solo, vale tutto il prezzo del prodotto), l’acquirente può scegliere liberamente tra la risoluzione del contratto (ossia la restituzione dei soldi spesi dietro riconsegna del prodotto) oppure una riduzione del prezzo di vendita (quindi, un parziale rimborso, conservando però per sé il prodotto difettoso).

Viceversa, se l’acquisto del prodotto avviene per l’uso collegato all’attività lavorativa (circostanza riscontrabile, ad esempio, quando viene comunicata la propria partita Iva per l’emissione di fattura e la detrazione fiscale del costo dai redditi di lavoro), i termini si riducono. In particolare, la garanzia non è più di 2 anni ma di

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1 anno soltanto. Inoltre, il termine per la denuncia è di 8 giorni dalla scoperta del vizio (e non di 60).

Come si fa valere la garanzia?

Per far valere la garanzia è sufficiente rivolgersi al venditore. È quest’ultimo, e non il produttore, a dover provvedere a quanto necessario per la riparazione o la sostituzione del prodotto difettoso o, quando ciò non sia possibile, al rimborso dei soldi.

Quindi, il negoziante non può invitare il cliente a spedire l’oggetto al centro assistenza, dovendosene prendere cura lui stesso; né può chiedergli un compenso per l’eventuale riparazione, neanche a titolo di rimborso spese o di costi fissi per la gestione della pratica.

Come dimostrare che il difetto preesisteva?

Non capita di rado che il venditore, allo scopo di negare la garanzia, disconosca il difetto del prodotto assumendo che si sarebbe verificato per colpa dell’acquirente e dell’uso improprio che questi ne ha fatto.

La legge però dice che, nei primi 6 mesi dall’acquisto, è il venditore a dover fornire la prova che il prodotto era perfettamente integro e funzionante al momento della consegna; non spetta quindi a chi compra dover dimostrare la preesistenza del vizio.

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Viceversa, una volta scaduti i 6 mesi, le sorti si ribaltano e l’onere della prova ricade sull’acquirente.

La Cassazione [1] ha, di recente, dato ragione ad una persona che, solo dopo una settimana dall’acquisto di un televisore, aveva riscontrato un difetto di funzionamento (la rottura del display) e che, ciò nonostante, si era visto respingere dal venditore qualsiasi assistenza in quanto, al momento dell’acquisto, il bene era stato visionato da entrambe le parti senza il riscontro di alcun problema.

Non spetta al consumatore però dimostrare né la causa effettiva del difetto di funzionamento, né il nesso tra la responsabilità del venditore e il vizio emerso dopo diverso tempo dall’acquisto del bene.

Del resto, trattandosi di vizio tecnico, risulterebbe troppo oneroso per il consumatore, in fase di presentazione della denuncia di non conformità del prodotto, fornire la prova della causa del vizio, ciò che richiederebbe l’accesso a dati tecnici del prodotto nonché un’assistenza tecnica specializzata, che invece si trovano nella più agevole disponibilità del venditore.

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Unico onere del cliente è quello di denunciare entro due mesi dalla scoperta il difetto riscontrato. E, in caso di vizio tecnico, il cliente non può essere privato della garanzia solo perché ha controllato il bene al momento dell’acquisto.

Cosa fare se il venditore sostiene che il difetto dipende dall’uso improprio del prodotto?

Come detto sopra, il difetto di conformità consente al consumatore di esperire vari rimedi: egli potrà in primo luogo proporre al venditore la riparazione oppure la sostituzione del bene con uno di valore non inferiore; solo in secondo luogo, qualora tali soluzioni siano impossibili o antieconomiche, potrà richiedere una congrua riduzione del prezzo oppure la risoluzione del contratto con rimborso integrale del prezzo speso (e restituzione, in questo caso, dell’oggetto acquistato).

Resta fermo che, per poter usufruire dei diritti citati, il consumatore ha l’onere di denunciare al venditore il difetto di conformità nel termine di due mesi decorrenti dalla data della sua scoperta.

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Una volta accertata la tempestività della denuncia del vizio effettuata entro due mesi dalla scoperta e, trattandosi di vizio che si è manifestato entro sei mesi dalla consegna del bene, scatta automaticamente la presunzione di responsabilità a carico del venditore. Presunzione che questi può vincere solo dimostrando la conformità del bene consegnato rispetto al contratto di vendita.

Cosa fare se non viene rispettata la garanzia?

L’illegittimo rifiuto di prestare la garanzia pur a fronte di un prodotto difettoso non è un illecito penale per il quale poter sporgere denuncia-querela, ma un semplice illecito civile. Pertanto l’acquirente, anche dinanzi alla malafede del venditore e alla sua piena consapevolezza del torto, può solo agire contro di lui dinanzi al giudice civile. Giudice che poi lo condannerà non solo al risarcimento del danno ma anche al rimborso delle spese legali sostenute per il giudizio.

Il punto è che, il più delle volte, il prezzo speso non vale i costi da sostenere per il processo: contributo unificato, notifiche, bolli e soprattutto la parcella per l’avvocato. Cosa fare in questi casi? Esistono due soluzioni.

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La prima consiste nel rivolgersi a un organismo di mediazione. Ce ne sono tanti in tutte le città e si possono trovare sugli elenchi telefonici, alcuni di questi gestiti dal locale Consiglio dell’ordine degli avvocati. Si tratta di organismi gestiti da privati il cui compito è quello di trovare una composizione tra le parti in conflitto. Vi si accede con una richiesta in cui si espone la vicenda. L’organismo di mediazione convoca la controparte per tentare una soluzione bonaria. Se questa riesce, il verbale ha la stessa forza di una sentenza.

Quanto ai costi, per la prima riunione, le parti devono versare 40 euro a testa. Se poi la conciliazione riesce, il mediatore avrà diritto a un compenso in percentuale al valore della lite (quindi, in questo caso, molto basso). A tal proposito, però, sarà bene prendere visione dei prezzi sul sito dell’organismo di mediazione o rivolgendosi direttamente alla segreteria dello stesso.

Una seconda soluzione per “convincere” il venditore a prestare la dovuta garanzia è di presentare una segnalazione all’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato (Agcm) denunciando appunto la vicenda. Questa potrà applicare delle sanzioni nei confronti del responsabile, senza però intervenire nei rapporti tra questo e il consumatore.

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