Autoerotismo in pubblico: conseguenze legali

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Assolto un uomo per essersi masturbato dinanzi a una donna: ecco perché non è reato.

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Ha fatto discutere la notizia di un uomo assolto dall’accusa di aver praticato autoerotismo all’interno di un vagone ferroviario proprio davanti a una donna. Il procedimento penale si è così concluso con il proscioglimento con formula piena.

Descritta in questo modo, la sentenza potrebbe essere mal interpretata e portare a ritenere che masturbarsi in pubblico sia consentito. Ma non è affatto così. Non necessariamente ciò che non è reato va ritenuto automaticamente lecito. Il nostro ordinamento prevede diverse forme di illeciti oltre a quelli penali: gli illeciti civili, quelli amministrativi e quelli tributari. E, nel caso di specie, si tratta di individuare, con precisione, quale norma punisce tale condotta.

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Procediamo dunque con ordine e vediamo quali sono le conseguenze legali dell’autoerotismo in pubblico.

L’atto di masturbarsi è un atto osceno se consumato in luogo pubblico.

Come a tutti noto, gli atti osceni in luogo pubblico, un tempo reato, sono stati depenalizzati nel 2016. Ora tale condotta è un semplice illecito amministrativo per il quale si applica una sanzione pecuniaria che va da un minimo di 5.000 euro a un massimo di 10.000 euro. La sanzione viene irrogata dal Prefetto a cui la polizia invia la segnalazione. Il termine di prescrizione è di 5 anni dal momento in cui l’illecito è stato commesso.

Quindi chi si masturba in un treno, in un parco, in un pullman, nell’autobus, finanche dentro la propria auto ma senza oscurare i finestrini viene “multato” dalla polizia. La sanzione non ha alcun impatto sulla fedina penale proprio perché un processo penale non viene mai tenuto. Nessuna conseguenza o strascico quindi sulla reputazione del colpevole, proprio al pari di un verbale per eccesso di velocità (essendo anch’esso infatti una sanzione di tipo amministrativo).

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Attenzione però: l’atto di autoerotismo diventa reato se consumato in un «luogo abitualmente frequentato da minori». Si deve trattare non già di un posto dove i minori possono casualmente trovarsi (come appunto potrebbe anche essere il vagone di un treno) ma di uno destinato specificamente ai bambini o dove questi comunque possono recarsi abitualmente e con maggiore frequenza rispetto agli altri siti. Non è tale il parco comunale ma lo è la villetta con gli scivoli o il parcheggio della scuola.

Ecco perché dunque è stata esclusa la responsabilità penale per l’uomo finito sotto processo per la masturbazione compiuta all’interno di un treno e sotto gli occhi di una donna. Fondamentale l’osservazione che il vagone non è un luogo abitualmente frequentato da minori. Come chiarito dalla Cassazione nella sentenza in commento [1], per «luogo abitualmente frequentato da minori» non si intende un sito semplicemente aperto o esposto al pubblico dove si possa trovare un minore, bensì un luogo nel quale, sulla base di un’attendibile valutazione statistica, la presenza di più soggetti minori di età ha «carattere sistematico». Invece, «l’interno di un

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vagone ferroviario in movimento per l’ordinario servizio viaggiatori non può essere ritenuto un luogo abitualmente frequentato da minori», precisano i magistrati.

Sempre secondo la Cassazione, la piscina comunale è un luogo abitualmente frequentato da minori. Le motivazioni di tale sentenza [2] ci offrono la possibilità di comprendere ulteriormente quando masturbarsi in pubblico è reato.

«In tema di atti osceni, le piscine aperte al pubblico, nel cui ambito rientra quella comunale, pur essendo destinate ad un pubblico indifferenziato per genere e per età, registrano certamente sulla base dei dati dell’esperienza comune, una forte presenza di minori essendo i soggetti che per motivi prettamente ludici, legati alla stessa età infantile, sono fortemente attirati dalla possibilità di immergersi in acqua e prediligono perciò i luoghi in cui vi sia la possibilità di farlo. Non è perciò necessario che si tratti di esercizio o struttura esclusivamente riservati ai minori atteso che, prevedendo il dato testuale della norma in esame che la condotta si svolga in un luogo “abitualmente frequentato da minori”, è sufficiente che esso registri sulla base di una “attendibile valutazione statistica”; se, infatti, deve escludersi la configurabilità della fattispecie criminosa quando si tratti di luoghi in cui la presenza di minori sia soltanto occasionale, ne consegue, per converso, che quando tale presenza sia abituale, ancorché non esclusiva si verta comunque nell’ambito di luoghi abitualmente frequentati da minori (confermata, nella specie, la condanna per atti osceni per un uomo che aveva mostrato a due bambine, all’interno di una piscina comunale, i propri genitali)».

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Ed ancora, sempre la Cassazione [3] ha detto che i luoghi abitualmente frequentati da minori al cui interno o nelle cui vicinanze deve essere commesso il fattaccio sono quelli riconoscibili come tali per vocazione strutturale (come le scuole, i luoghi di formazione fisica e culturale, i recinti creativi all’interno dei parchi, gli impianti sportivi, le ludoteche e simili), ovvero per elezione specifica, di volta in volta scelti dai minori come punto abituale di incontro o di socializzazione, ove si trattengono per un termine non breve (come un muretto sulla pubblica via, i piazzali adibiti a luogo ludico, il cortile condominiale). Nella specie, l’agente commetteva atti osceni sulla pubblica via e in prossimità di un giardino pubblico, ma la mancata verifica circa la presenza di giochi o di altre attività ludiche per bambini in quello specifico parco non consentiva di accertare che il luogo del commesso reato fosse “abitualmente frequentato da minori.

Quindi, è bene sapere che non è lecito masturbarsi in un luogo pubblico come all’interno del vagone di un treno ma da tale condotta non derivano conseguenze penali. Ci sarà una sanzione pecuniaria e null’altro.

Contro la sanzione – che come anticipato sopra deve essere notificata al trasgressore a cura della Prefettura, entro 5 anni dall’illecito – è possibile comunque fare ricorso al Prefetto stesso nei 60 giorni successivi. Contro l’eventuale ordinanza di rigetto della Prefettura si può ricorrere al giudice di pace entro 30 giorni.

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