Dichiarazione stato di abbandono: cos’è e come funziona?
Le violenze domestiche giustificano sempre il dare in adozione il figlio? Che cosa deve valutare il giudice per decidere lo stato di adottabilità?
Ogni bambino ha diritto di stare con la propria famiglia; quando però questa non è adatta a crescerlo ed educarlo, allora interviene la legge sancendo lo stato di adottabilità del minorenne. Funziona così, in estrema sintesi, l’adozione secondo l’ordinamento italiano. Con questo articolo vedremo cos’è e come funziona la dichiarazione di stato di abbandono.
Come diremo a breve, lo stato di abbandono è il presupposto fondamentale affinché il giudice possa dichiarare adottabile un minorenne. Questa valutazione è però rimessa al magistrato, il quale deve valutare attentamente le condizioni familiari in cui versa il bambino.
È chiaro che un minorenne completamente abbandonato a sé stesso potrà essere dichiarato adottabile; cosa succede, al contrario, se il bambino ha dei genitori ma questi sono violenti? Cos’è e come funziona lo stato di abbandono? Scopriamolo insieme.
Indice
Adozione minorenni: cos’è?
L’adozione di minorenni è quell’istituto giuridico che consente a una persona che non ha ancora compiuto i diciotto anni di poter vivere con una famiglia diversa da quella biologica.
Poiché l’adozione presuppone che un minore lasci i propri genitori naturali per vivere con altre persone, la legge stabilisce attentamente i casi in cui ciò può avvenire. Vediamo di cosa si tratta.
Stato di abbandono: cos’è?
Lo stato di abbandono è il requisito fondamentale dell’adozione dei minorenni. In pratica, solo il minore dichiarato “abbandonato” può essere adottato da altra famiglia.
Secondo la legge [1], sono dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale i minori in situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti, purché la mancanza di assistenza non sia dovuta a causa di forza maggiore di carattere transitorio.
Insomma: il giudice può dichiarare lo stato di adottabilità di un minore solo se questi sia stato abbandonato dalla propria famiglia.
Lo stato di abbandono non presuppone che il minore viva per strada: anche il bambino che vive in casa propria, però nella totale noncuranza dei genitori, può essere dichiarato in stato di abbandono, se il giudice accerta che i familiari non sono in grado o non vogliono badare al minore.
Lo stato di abbandono va quindi attentamente valutato dal giudice, magari anche grazie all’aiuto dei servizi sociali e di altri professionisti (come meglio vedremo nell’ultimo paragrafo), e rappresenta il presupposto per l’adozione del bambino.
Non c’è stato di abbandono se i genitori o gli altri familiari non possono prendersi cura del minore per
La legge specifica altresì che la situazione di abbandono sussiste anche quando i minori si trovano presso istituti di assistenza o in comunità di tipo familiare, ovvero siano in affidamento familiare.
Povertà: giustifica lo stato di abbandono?
La semplice ristrettezza economica non legittima di per sé lo stato di abbandono, che si verifica solo quando sussiste un’indigenza tale da compromettere in maniera seria e irreversibile il processo di formazione, sviluppo e crescita del minore.
Violenza domestica: giustifica lo stato di abbandono?
Un altro motivo che potrebbe giustificare lo stato di abbandono del minore e la sua conseguente adottabilità è la presenza di violenze domestiche. Si pensi al marito violento che picchia la moglie e i figli, oppure ai parenti che commettono abusi sessuali sui nipoti.
In ipotesi del genere, l’allontanamento dalla famiglia a favore dell’adozione potrebbe essere un’ottima soluzione per tutelare il benessere psicofisico del minore.
Tuttavia, secondo il recente orientamento della Corte europea dei diritti dell‘uomo (cosiddetta Cedu) [2], l’adottabilità del minore nel caso di violenze domestiche deve essere l’ultimo rimedio in assoluto.
In altre parole, la Corte europea ritiene che, anche in presenza di abusi tra le mura di casa, il minore debba essere dichiarato in stato di abbandono (e quindi adottabile) solamente nelle ipotesi in cui non sia impossibile intervenire diversamente, ad esempio allontanando di casa il genitore o il familiare violento.
La Corte di Strasburgo ha dunque condannato l’Italia per l’incapacità di adottare soluzioni meno radicali delle dichiarazioni dello stato di abbandono e dell’adottabilità dei figli di famiglie di stranieri, indigenti, disabili, vittime di violenza domestica, fondate, per lo più, sui rapporti dei servizi sociali.
Secondo i giudici europei, il rapporto tra figli e genitori è sacro e c’è bisogno di maggiore delicatezza e cura nel decidere di tagliarlo, adottando soluzioni meno radicali che dare il minore in adozione.
Servizi sociali e stato di abbandono del minore
Secondo la Corte europea, non devono essere i servizi sociali a decidere lo stato di abbandono di un minore.
In altre parole, il giudice non può affidarsi esclusivamente sulla relazione dei servizi sociali, ma deve adeguatamente motivare la propria decisione avvalendosi anche delle competenze degli psicologi e dei giudici onorari, scelti tra persone che non hanno necessariamente una laurea e che possono essere anche semplici volontari in associazioni che operano nel sociale.
Insomma: il giudice, nello stabilire lo stato di abbandono e la condizione di adottabilità del minore, non può “appiattire” la propria decisione alla relazione dei servizi sociali, ma deve effettuare un’analisi più approfondita, avvalendosi della competenza ed esperienza dei professionisti che sono in grado di valutare con maggiore precisione l’impatto che può avere il distacco definitivo del minore dalla propria famiglia di origine.
La prossima riforma del processo civile [3] potrebbe, almeno in parte, risolvere questi problemi, favorendo l’istituzione di un tribunale ad hoc per le persone, i minori e la famiglia, formato esclusivamente da giudici togati.