Licenziamento per giusta causa: servono prove concrete?
Se una persona viene licenziata per giusta causa il datore di lavoro deve presentare delle prove concrete o basta solo la sua parola?
Un nostro lettore ci chiede se, ai fini del licenziamento per giusta causa, il datore è tenuto a fornire prove concrete o se sia sufficiente la mera comunicazione formale del recesso immediato, senza preavviso, per porre fine al contratto di lavoro. In altri termini, basta la parola del datore per il licenziamento? Il dipendente ha diritto a chiedere su quali prove si fonda tale decisione? Cerchiamo di fare il punto della situazione.
Indice
Lettera di licenziamento: il datore deve fornire le prove?
La lettera di contestazione che segna l’
Tuttavia, tale comunicazione non deve anche allegare le prove su cui le contestazioni si fondano.
Ad ogni modo, proprio al fine di argomentare meglio le difese, il dipendente ha il diritto di chiedere al datore i documenti, gli atti, le testimonianze e tutti gli altri elementi su cui si basano le sue affermazioni.
Del resto, in caso di licenziamento per giusta causa, il datore di lavoro ha l’obbligo di fornire prove concrete a supporto dello stesso. Non è sufficiente la sola parola dell’imprenditore o dei suoi preposti.
L’articolo 5 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, stabilisce chiaramente che: «L’onere della prova della sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento spetta al datore di lavoro». Questo significa che il datore deve dimostrare, con elementi concreti e oggettivi, i fatti che giustificano il licenziamento per giusta causa.
Tuttavia, la necessità di fornire tale prova sorge solo in caso di contestazione del dipendente: quindi in un eventuale giudizio di opposizione al licenziamento.
La giurisprudenza è unanime nel confermare questo principio. Ad esempio, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, nella sentenza n. 1759/2023, ha ribadito che:
«Il datore di lavoro ha l’onere di provare i fatti costituenti la giusta causa posti a base del licenziamento; deve, pertanto, dimostrare che i fatti addebitati al lavoratore sussistano, nel senso che siano effettivamente accaduti, e che configurino un inadempimento degli obblighi contrattuali discendenti dal rapporto di lavoro di tale intensità da impedire la prosecuzione del rapporto».
Il diritto di accesso agli atti del procedimento disciplinare
Il dipendente ha il diritto di chiedere al datore di lavoro i documenti, gli atti, le testimonianze e tutti gli altri elementi su cui si fondano le motivazioni disciplinari del licenziamento. Secondo la giurisprudenza e numerosi CCNL, il lavoratore deve essere
Inoltre, sebbene non vi sia un obbligo generale per il datore di lavoro di fornire tutta la documentazione aziendale, il lavoratore può richiedere tali documenti nel corso del giudizio ordinario di impugnazione del licenziamento (Tribunale Reggio di Calabria, sez. LA, sentenza n. 871/2022). Questo diritto è parte delle garanzie procedurali che permettono al lavoratore di difendersi adeguatamente contro le accuse mosse.
Come si dimostra la giusta causa nel licenziamento?
Che tipo di prova serve per un licenziamento giusto? Per dimostrare la giusta causa nel licenziamento, il datore di lavoro deve fornire prove oggettive circa l’illecito disciplinare.
Le prove necessarie devono riguardare sia l’elemento materiale che quello psicologico del comportamento del dipendente. In particolare, è necessario accertare se la sua condotta sia tale da ledere gravemente la fiducia del datore, rendendo impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro.
La giurisprudenza richiede una valutazione della gravità dei fatti addebitati al lavoratore, considerando la portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, le circostanze in cui sono stati commessi e l’intensità dell’elemento intenzionale.
Inoltre, la proporzionalità tra la gravità del comportamento contestato e la sanzione applicata deve essere valutata, tenendo conto degli elementi concreti del caso specifico, della natura e qualità del rapporto di lavoro, e della posizione delle parti.
La contrattazione collettiva può prevedere specifiche cause di licenziamento, ma spetta comunque al giudice valutare la proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità del fatto.
Il datore di lavoro può procurarsi solo le prove acquisite nel rispetto dell’altrui privacy e delle norme sancite dallo Statuto dei Lavoratori. Ricordiamo che i controlli a distanza non sono ammessi se non previo accordo con i sindacati o autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, salvo che non siano stati acquisiti fondati sospetti su condotte illecite del lavoratore. In quest’ultimo caso è ammesso l’uso di una telecamera nascosta, senza avvisi (sono i cosiddetti “controlli difensivi”).
Il datore potrebbe anche avvalersi della testimonianza di dipendenti, clienti o delle risultanze delle indagini di un investigatore privato.
L’accesso ad e-mail e il controllo degli altri strumenti aziendali in dotazione del lavoratore è ammesso, senza bisogno di previo accordo sindacale, a patto che sia stata data preventiva informazione di ciò al dipendente.