Com’è l’Europa che vorrebbe Giorgia Meloni

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Giorgia Meloni

Meloni parla di principio di sussidiarietà, del troppo potere in mano alla Commissione europea e svela le sue perplessità sulla comunità europea.

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Già verso la fine della campagna elettorale, e poi immediatamente dopo la sua vittoria alle elezioni del 25 settembre, Giorgia Meloni si è aperta a un atlantismo e a un europeismo che non sono mai stati troppo suoi, ma a cui si è dovuta adeguare per poter essere la Presidente del Consiglio di tutti, accettata da quella comunità internazionale da cui spesso, in passato, ha preso le distanze. La Premier non nasconde, però, le critiche a un’Unione Europea che spesso non ha trovato il suo consenso nelle decisioni prese.

«La mia idea di Europa è quella di un’Europa confederale in cui viga il principio di sussidiarietà. Non faccia Bruxelles quello che può fare meglio Roma, non agisca Roma lì dove, da soli, non si è competitivi». Così Giorgia Meloni a Bruno Vespa nel libro ‘La grande tempesta. Mussolini, la guerra civile. Putin, il ricatto energetico. La Nazione di Giorgia Meloni. «Abbiamo avuto

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un’Europa invasiva nelle piccole cose e assente nelle grandi materie. Non converrebbe lasciare agli Stati nazionali il dibattito sul diametro delle vongole e occuparsi invece a livello comunitario dell’approvvigionamento energetico? Definirci atlantisti, ma non europeisti mi pare francamente un’idiozia. Oggi tutto è estremamente ideologico. Passa la vulgata che sei europeista se sei federalista. Il federalismo europeo accentra, mentre il federalismo nazionale decentra. Che senso ha? Vogliamo dire che il Superstato europeo non ha funzionato? In Europa, gran parte del potere decisionale è in mano alla Commissione, che viene indicata dai governi, ma nel nostro ordinamento la sovranità è del popolo che la esercita attraverso il Parlamento. C’è qualcosa che non funziona, soprattutto in una Repubblica parlamentare come la nostra».

«Quando è arrivato il Covid, ci siamo accorti di aver consegnato alla Cina la produzione dei microchip. La Cina ha ovviamente deciso di privilegiare il mercato interno e noi siamo rimasti all’asciutto. È allora che la Commissione ha capito che c’era un problema e ha stanziato 50 miliardi di euro per favorire la produzione dei microchip europei. Ma quando noi ponevamo il problema del controllo delle catene di approvvigionamento fondamentali, ci dicevano che eravamo autarchici. Una politica estera europea non esiste: sulla Libia siamo andati in ordine sparso e la stessa cosa è accaduta sulla crisi ucraina. Poi, invece, vediamo che l’Europa deve occuparsi di gender…».

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In caso di contrasto, prevale il diritto nazionale o il diritto europeo? «La Corte costituzionale tedesca ha fatto prevalere nei casi più delicati l’interesse nazionale e quindi, a volte, il diritto interno. Il tema si pone a maggior ragione in Italia dove, al contrario di altri paesi in cui sono i governi a decidere, c’è una democrazia parlamentare», così Giorgia Meloni nel libro di Vespa.

La premier cita l’articolo 11 della Costituzione, che consente, «in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni». E aggiunge: «Prendiamo la legge Bolkestein sulla concorrenza, in questo caso sulle licenze per le spiagge. Vogliono costringere noi a fare le aste per le assegnazioni nel 2023, mentre altri paesi hanno prorogato le concessioni. Per me questa disparità è incostituzionale».

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