Dire scemo è ingiuria e oltraggio?

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Ingiuria e oltraggio a pubblico ufficiale: l’abitudine a un linguaggio volgare è una causa di giustificazione?

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Non tutti gli insulti sono uguali: alcuni sono infatti diventati talmente comuni e frequenti da aver perso la carica negativa di cui erano inizialmente portatori. Ad esempio, in passato la Corte di Cassazione ha più volte ritenuto che il tanto abusato “vaffa…” non fosse davvero rilevante ai fini della configurazione dell’ingiuria, almeno quando pronunciato in determinati contesti (goliardici, ecc.). Alla luce di tali considerazioni, dire scemo è ingiuria e oltraggio?

La risposta a questa domanda è molto importante in quanto, seppur l’ingiuria non costituisca più reato dal 2016, è sempre possibile intraprendere un procedimento civile per chiedere il

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risarcimento dei danni, conseguenza spesso ancor più temuta rispetto alla sanzione penale. Approfondiamo l’argomento.

Cosa si rischia a insultare una persona?

Come anticipato, gli insulti non costituiscono più reato, a meno che non si accompagnino a minacce oppure siano rivolti a pubblici ufficiali mentre sono nell’esercizio delle proprie funzioni.

Ciò in quanto il reato di ingiuria non esiste più, anche se continua a essere punito a titolo di illecito civile.

Di conseguenza, insultare e offendere l’onore e il decoro di una persona non costituisce reato bensì un illecito sanzionabile a seguito di un regolare processo civile.

Dare dello “scemo” è ingiuria?

Secondo la Corte di Cassazione [1], dare dello “scemo” a una persona implica, in sé, l’attribuzione di un concetto negativo e dispregiativo.

Pertanto, è possibile che si integri l’illecito (civile) di ingiuria, con conseguente richiesta di risarcimento dei danni

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Dare dello “scemo” è oltraggio?

Se l’offesa è invece rivolta a un pubblico ufficiale, allora può integrarsi il reato di oltraggio, purché però il fatto sia avvenuto in un luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone [2].

Nella sentenza della Corte di Cassazione citata nel precedente paragrafo, infatti, l’imputato era stato condannato dal giudice per il reato di oltraggio per aver apostrofato un vigile urbano con l’epiteto “scemo”.

I giudici del “Palazzaccio” hanno confermato la condanna, ricordando che le frasi volgari e offensive sono idonee a integrare gli estremi del reato di ingiuria e/o oltraggio anche se sono divenute di uso corrente in particolari ambienti, perché l’abitudine al linguaggio volgare e genericamente offensivo, proprio di determinati ceti sociali, non toglie alle dette frasi la loro obiettiva capacità di ledere il prestigio del pubblico ufficiale, con danno della pubblica amministrazione da esso rappresentata.

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