Quanto guadagnano i top manager in Italia?

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A quanto ammonta il compenso degli amministratori delegati delle principali società italiane quotate in Borsa; qual è il divario rispetto agli impiegati ed operai.

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Quando pensiamo ai capitani d’industria, che guidano il timone delle grandi imprese in Italia, in Europa e nel mondo, ci vengono subito in mente i loro stipendi da capogiro. Trattandosi di grosse cifre, non riusciamo a immaginarne l’entità e nemmeno a capire il perché di questi compensi altissimi, che ci appaiono sproporzionati se li rapportiamo alla paga dei dipendenti comuni, come gli operai e gli impiegati che lavorano nella stessa azienda. Ma precisamente quanto guadagnano i top manager in Italia?

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Vediamo: scoprirai cose interessanti, e che forse ti faranno riflettere. Usando una metafora sportiva, ti chiederai se è giusto che un allenatore venga pagato più dei calciatori che scendono in campo e fanno i gol; ma a ben vedere è lui che prepara la squadra e organizza il lavoro di tutti. Solo che qui non vale il motto «Squadra che perde? È colpa dell’allenatore!» perché anche chi non ottiene risultati spesso percepisce liquidazioni d’oro.

Top manager e parlamentari a confronto

Per inquadrare il tema, partiamo dal confronto con un’altra categoria che siamo abituati a considerare come privilegiata: i top manager guadagnano più o meno dei nostri

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parlamentari, delle alte cariche dello Stato e del presidente della Repubblica? Deputati e senatori non reggono affatto il confronto con gli amministratori delegati delle grandi aziende private, i cosiddetti Ceo: la loro indennità si ferma a poco meno di 15mila euro al mese (compresa la diaria e i rimborsi delle spese di viaggio e telefoniche). Sono cifre che i top manager delle aziende più importanti guadagnano in un giorno o due al massimo.

Del resto la legge fissa un tetto massimo agli stipendi delle più alte cariche dello Stato, che non può superare i 240mila euro annui. Sono circa 18mila euro al mese (per 13 mensilità). Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, quando è stato rieletto ha deciso di tagliarsi la retribuzione di 60mila euro all’anno, portandola al trattamento pensionistico che ha maturato durante i suoi anni di vita politica e di insegnamento come professore universitario (179mila euro annui).

Qual è lo stipendio medio di un top manager

Veniamo al dunque e occupiamoci della

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remunerazione dei Ceo, acronimo di Chief executive officer, che sta a significare i “grandi capi” delle attività esecutive di ogni azienda. Secondo una recente analisi dell’ufficio studi di Mediobanca, lo stipendio medio di un top manager delle principali società italiane quotate in Borsa (sono quelle presenti nell’indice Ftse Mib, che raccoglie le 40 imprese più grandi) è di poco più di 2 milioni di euro all’anno (lordi). Di questa cifra, meno della metà è rappresentata dalla quota fissa (843mila euro) e il resto (1.222mila euro) è la componente variabile, quella legata ai ricavi realizzati ed agli utili raggiunti a fine esercizio. La crisi economica dovuta alla pandemia ha fatto calare questa componente variabile del 18% rispetto all’anno precedente.

Se scomponiamo i dati, scopriamo che tra questi top manager quelli che guadagnano di più sono i banchieri e i dirigenti di società che operano nel settore del lusso: i loro compensi medi sono più alti, anche il doppio o il triplo, rispetto a quelli dei loro colleghi di pari grado che, in qualità di amministratori delegati, dirigono aziende della produzione industriale e dei servizi. Ci sono, quindi, parecchi Ceo retribuiti con 6 o 7 milioni all’anno, come vedremo fra poco. Ti ricordiamo che questi dati non includono molte società che consideriamo “italiane” ma che da anni hanno trasferito la loro sede legale all’estero, come Ferrari, o quotate su mercati esteri, come Luxottica e

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Prada. Tra parentesi, Miuccia Prada è la donna manager italiana più pagata, con 12,4 milioni di euro annui; le sue colleghe non sono così fortunate, e solo 4 donne compaiono nella lista dei 100 dirigenti più pagati nel mondo.

Com’è composto il compenso di un top manager

Se vogliamo capire quanto guadagnano davvero i top manager delle grandi aziende italiane quotate in Borsa, dobbiamo considerare non solo la retribuzione base, che è quella fissata dal consiglio di amministrazione all’atto della nomina, ma anche i vari bonus e incentivi come i premi di produzione, che cambiano a seconda della contingenza economica, ma comunque alla fine sono soldi veri che entrano in tasca. Questi compensi ulteriori sono quasi sempre legati alla produttività ed ai risultati raggiunti, specialmente con riferimento all’aumento delle vendite e degli utili rispetto all’anno precedente.

Del resto un manager viene scelto ed assunto proprio allo scopo di massimizzare i profitti della società: sono incarichi attribuiti in via fiduciaria, in base alle qualità, al talento e alle competenze della persona. Insomma, quando le cose vanno bene i top manager incassano molto di più, ma

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impiegati e operai non beneficiano di questo incremento di quella ricchezza, che hanno contribuito a creare con il loro lavoro: i loro salari e stipendi rimangono fermi o addirittura regrediscono a lungo andare per effetto dell’inflazione. C’è un grosso problema di iniquità che analizzeremo nel paragrafo seguente.

Compensi dei top manager: non solo stipendi

I compensi dei top manager non sono composti dai soli stipendi. Bisogna aggiungere i vari benefit aziendali speciali di cui di solito il dirigente di alta fascia gode, come la casa di lusso e l’auto (ovviamente anche questa di lusso), più le vacanze pagate e l’accesso a club esclusivi. Sono tutte cose che nessun operaio, impiegato, funzionario o dirigente di fascia bassa (ad esempio, un direttore di agenzia bancaria o di una sede di supermercato) potrebbe mai permettersi.

Infine, se il top manager viene licenziato (o, come tecnicamente si dice, viene sfiduciato dal suo consiglio di amministrazione: spesso per evitare questa onta si danno le dimissioni

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volontarie appena si percepisce il vento contrario) non va certo a casa a mani vuote, perché quasi sempre gli viene riconosciuta una sostanziosa buonuscita, che prescinde dai risultati raggiunti: ad esempio l’anno scorso il top manager di Tim, Luigi Gubitosi ha ricevuto una liquidazione di 6,9 milioni di euro, mentre la società registrava una perdita di quasi 9 miliardi, e l’anno prima il suo predecessore Flavio Cattaneo al momento dell’addio aveva percepito più del triplo: 25 milioni di euro dopo appena un anno di amministrazione.

Come sapere quanto guadagna un top manager?

I dati sulle retribuzioni e gli altri compensi dei top manager non vengono diffusi volentieri dagli interessati e dalle aziende per cui lavorano, perché potrebbero suscitare antipatia e talvolta addirittura indignazione nelle maestranze e nell’opinione pubblica. Però c’è un modo per conoscerli: per legge [1] tutte le aziende quotate in Borsa italiana devono depositare annualmente (almeno 21 giorni prima della data dell’assemblea per l’approvazione del bilancio) una «

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Relazione sulla remunerazione», in cui compaiono tutti gli emolumenti corrisposti a qualsiasi titolo dalla società ai suoi organi di amministrazione e controllo e ai dirigenti (compresi i «quadri direttivi con responsabilità strategiche»). Il documento è pubblico e si può consultare sul sito della società interessata o su quello di Borsa Italiana.

Qual è il divario tra i compensi dei manager e quelli dei lavoratori?

Il report di Mediobanca sottolinea che il compenso medio di un top manager è di oltre 36 volte il costo del lavoro: ciò significa che servono 36 anni di paga di un qualsiasi dipendente nella stessa azienda, per guadagnare quanto guadagna in appena un anno il suo dirigente apicale. La disuguaglianza è enorme, così come le sperequazioni. Oggi in Italia i lavoratori guadagnano meno di 30 anni fa: secondo le ultime rilevazioni Istat, i salari e gli stipendi di operai e impiegati sono diminuiti del 2,9% in termini reali, cioè come potere di acquisto, mentre nel resto dell’Europa sono aumentati (ad esempio in Germania e in Francia sono cresciuti di un terzo).

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E tutti sanno che se i salari diminuiscono e l’inflazione sale, la povertà aumenta. Già oggi i lavoratori poveri sono circa il 15% del totale: guadagnano meno di 800 euro al mese. Anche per questo si sta pensando all’introduzione del salario minimo, come prevede una direttiva dell’Unione Europea che però tocca agli Stati attuare, e l’Italia non lo ha ancora fatto.

Come crescono le diseguaglianze con impiegati e operai

Intanto i top manager di massimo livello non sembrano risentire della crisi e mantengono compensi elevatissimi: una recente inchiesta della giornalista Milena Gabanelli per il Corriere della Sera ha rivelato che guadagnano, mediamente, 649 volte più di un operaio, e negli ultimi anni il divario è aumentato.

Fino agli anni Sessanta il gap era di venti, venticinque volte soltanto, e non c’era questa enorme sproporzione. Adriano Olivetti, uno dei più grandi imprenditori italiani, diceva che «nessun dirigente, neanche il più alto in grado, deve guadagnare più di 10 volte l’ammontare del salario più basso». In quell’epoca del dopoguerra, l’amministratore delegato della Fiat (che era Vittorio Valletta, mentre il giovane Gianni Agnelli cresceva) guadagnava 12 volte la paga di un suo operaio, non di più. Poi le cose sono cambiate.

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Quanto guadagnano i top manager migliori

I tempi di Olivetti e Valletta sono ormai molto lontani. Negli anni recenti, Sergio Marchionne come amministratore di Fca (l’erede della Fiat, dopo le trasformazioni) prendeva 437 volte il salario di un metalmeccanico. E bisogna dire che Marchionne è stato il top dei top manager italiani: ha preso le redini della Fiat nel 2004 quando stava per naufragare sommersa dal crollo delle vendite e dai debiti; l’ha risollevata, l’ha fusa con Chrysler e l’ha fatta diventare Fca, una multinazionale italo-americana, riportando i bilanci in pareggio e poi raggiungendo un cospicuo utile di esercizio.

Negli ultimi tempi i suoi guadagni erano diventati stratosferici: dalla banca dati della Sec (la Consob americana) nel luglio 2018 risultano quasi 28 milioni di euro di compensi (che comprendono anche le cosiddette stock option, i pacchetti azionari che la società ha “regalato” al suo amministratore delegato come premio per la crescita di valore dell’azienda). Nel frattempo la società aveva moltiplicato il suo valore di centinaia di volte: soldi meritati, quindi.

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Quelle di Marchionne sono cifre mai raggiunte dai suoi colleghi e successori: basti dire che Carlos Tavares, l’attuale Ceo di Stellantis (il colosso automobilistico dalla fusione di Fca Chrysler con il gruppo Psa, quindi Peugeot, Citroen e Opel) incassa “soltanto” 19 milioni di euro; ma quella cifra corrisponde alla paga di 758 operai metalmeccanici che lavorano nella sua azienda. Quindi in termini assoluti la retribuzione dell’attuale numero uno è diminuita rispetto a quella del suo predecessore (complice, forse, la crisi che sta attraversando il settore automobilistico) ma in termini relativi la sproporzione rispetto alle paghe dei dipendenti è notevolmente aumentata. E negli Stati Uniti ci sono aziende dove il divario tra manager e comuni dipendenti raggiunge già le 900 volte. Presto arriveremo a mille? È probabile.

Chi sono i top manager più pagati?

La classifica dei top manager più pagati nel 2021 vede ai primissimi posti gli “eredi” di Marchionne, cioè Carlos Tavares con 19.153mila euro, seguito dal suo direttore finanziario Richard Palmer, con 14.776.580 euro. Sono entrambi stranieri, così come ci sono manager italiani che da decenni lavorano per grandi aziende estere (un esempio per tutti: Vittorio Colao, l’ex ad di Vodafone e ministro per l’Innovazione tecnologica nel governo Draghi).

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Tra gli italiani con i compensi più alti, abbiamo:

Perché i top manager guadagnano tanto?

È interessante notare che Carlos Tavares incassa più del doppio dei top manager delle aziende competitor: Bmw, Volkswagen, Mercedes. Gli amministratori delegati di queste tre case automobilistiche presi tutti insieme non arrivano ai suoi compensi. E il gruppo dei top manager di Stellantis nel suo complesso guadagna 28 milioni di euro, di cui, come abbiamo visto, due terzi vanno al Ceo Carlos Tavares, e solo un terzo agli altri.

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In effetti in tutte le più grandi aziende di ogni settore la vetta dei compensi raggiunta dei top manager supera di parecchie volte quella dei loro colleghi minori, cioè i manager di medio livello, quindi i dirigenti intermedi (ad esempio, i capi dei reparti acquisti, vendite, organizzazione, personale, logistica). Secondo l’osservatorio di Manager Italia, nel 2021 la retribuzione media dei dirigenti d’azienda è stata pari a 101.649 euro lordi annui. Quindi bisogna prenderne più di 10 di loro per fare la retribuzione globale annua che il capo della stessa azienda percepisce da solo.

Fanno eccezione a questa regola solo i manager finanziari (i cosiddetti Cfo, Chief financial officer), che guadagnano di più dei colleghi di pari fascia e a volte sfiorano i compensi dell’amministratore delegato, di cui sono il braccio destro, perché, come si sa, senza cassa l’azienda muore. Ad esempio, abbiamo visto che il Cfo di Stellantis, Richard Palmer, nel 2021 ha guadagnato 14.776.580 euro, quindi quattro milioni in meno del suo Ceo, Carlos Tavares. E la situazione si ripete, mutando le proporzioni, nelle aziende più piccole.

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Stipendi dei top manager: sono giusti?

Dai fenomeni che abbiamo descritto emerge una tendenza chiara: i ricchi diventano sempre più ricchi, e i poveri sempre più poveri. Insomma, mentre ci si pone il problema del salario minimo per coloro che sono sfruttati e hanno retribuzioni ai limiti della sussistenza, bisognerebbe pensare altrettanto seriamente anche a un possibile salario massimo, per fissare un tetto a queste retribuzioni stratosferiche. In alcuni comparti, come il settore bancario, ci sono già state delle richieste dei sindacati in tal senso, per fissare il divario entro un tetto soglia da non superare, ad esempio di 200 volte la paga di un dipendente. È ancora tanto, ma non è così eccessivo come le 649 volte di oggi. Ma questo andrebbe fatto a livello europeo o meglio ancora mondiale, perché la maggior parte delle grandi aziende non ha sede in Italia e negli altri Paesi dell’Unione Europea. E all’estero il divario retributivo è ancora maggiore che in Italia.

Infine, non bisogna dimenticare che oggi abbiamo parlato dei ricchi che potremmo definire di serie B: a parte i personaggi come John Elkann, che sono proprietari ma hanno anche ruoli esecutivi, nella maggior parte dei casi i top manager sono soltanto dipendenti delle aziende che amministrano e dirigono. Guadagnano moltissimo, ma la società per cui lavorano non è la loro (forse anche per questo cambiano spesso) e la maggior parte dei profitti non finisce nelle loro tasche, ma va ai soci azionisti di maggioranza. Se prendiamo in considerazione questo aspetto, passiamo dalle stelle alle galassie e si apre un universo. Ma questa è un’altra puntata della storia.

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