Il paradosso della disoccupazione italiana

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Milioni di posti di lavoro persi, ma anche altri acquistati: dov’è la spiegazione?

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Numeri: chi ci capisce qualcosa. Se la questione si ferma sui banchi di scuola, il problema si risolve con le lezioni private. Quando, invece, in mezzo c’è l’economia, e la forte crisi dell’occupazione in cui stagna da quasi 10 anni il nostro Paese, il problema dovrebbe trovare persone in grado di dare risposte e soluzioni immediate. Perché, se si pensa che è dal 2007 che arrivano i campanellini d’allarme e da allora ci è stato fatto credere, ad ogni 31 dicembre, che l’anno successivo sarebbe stato quello della ripresa, allora c’è qualcosa che rasenta l’inettitudine, quando non il dolo, da parte della classe politica. Negli ultimi otto anni abbiamo perso

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1,1 milioni di posti di lavoro: quasi quanto 9 volte la popolazione della Val d’Aosta o l’intero Abruzzo.

Ma fin qui, più o meno tutti, a naso, avevano avuto il sentore della drammaticità dei dati. Se si pensa che al Sud un giovane su tre è disoccupato, si potrebbe credere che non stiamo parlando di una delle nazioni che, negli anni ’80, era tra i sei Paesi più sviluppati del mondo.

Le stranezze, però, non si fermano a queste considerazioni. Secondo alcuni dati resi noti di recente da uno studio del CsS, tra il 2007 ed oggi è invece continuato a crescere il tasso di occupazione dei lavoratori più anziani, saliti di 1,1 milioni di unità. Il numero di occupati over 50 ha raggiunto il 46,9% nel terzo trimestre 2014 dal 34,2% del terzo trimestre 2007: più 12,7 punti percentuali.

Come a dire: abbiamo perso giovani sui posti di lavoro (circa 1,6 milioni), ma ne abbiamo acquistato in anziani (1,1 milioni). Possibile?

Se si considera l’aumento dell’età pensionabile, l’abbassamento della soglia di mortalità, la scarsa attitudine delle nostre scuole a formare persone già in grado di lavorare, la riluttanza delle aziende ad acquisire forza lavoro inesperta, la risposta è scontata. A questo, poi, ovviamente, vanno aggiunti tutti gli aspetti della crisi economica che non accenna a diminuire.

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Il problema anche questa volta si ferma solo all’Italia, senza toccare i vicini Stati europei. Infatti, sebbene l’incremento degli occupati con 55-64 anni d’età abbia interessato quasi tutti i paesi Ue, tuttavia, in questi ultimi, laddove la variazione positiva del tasso di occupazione “senior” è stata più marcata, l’occupazione giovanile ne ha beneficiato (è aumentata, cioè, di più o è calata meno). In Italia, invece, non c’è stato questo contraltare, e anzi abbiamo subito un vero e proprio “effetto spiazzamento”: minori opportunità per i ragazzi a fronte dell’allungamento della vita lavorativa.

Lo studio, comunque, demolisce il luogo comune – cavallo di battaglia delle nostre passate politiche lavoristiche – secondo cui più anziani occupati significa meno giovani al lavoro. Al contrario, sembrerebbe che la positività di uno dei due trend trascini con sé anche l’altro. Insomma, “più lavoro per tutti”, almeno sulla carta.

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