Anche le frasi di disprezzo e umiliazione sono reato di maltrattamenti in famiglia

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Per l’illecito penale non sono necessarie le violenze fisiche e le lesioni personali: sono sufficienti anche atti di disprezzo o di umiliazione.

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Scatta il reato di maltrattamenti in famiglia [1] anche solo pronunciando frasi di disprezzo nei confronti del proprio partner. È sufficiente la coscienza e la volontà di insistere in un’attività vessatoria, già posta in essere in precedenza, tale da ledere la personalità della vittima. A dirlo è la Cassazione [2]. Approfondiamo l’argomento.

Ingiurie e umiliazioni: quando c’è reato di maltrattamenti?

Anche le frasi di semplice disprezzo, purché

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ripetute nel tempo e non riferite a una sola occasione, possono configurare il reato di maltrattamenti in famiglia.

L’illecito penale necessita, infatti, di una condotta abituale che si estrinsechi con più atti che determinano sofferenze fisiche o morali, realizzati in momenti successivi, avvinti nel loro svolgimento da un’unica intenzione criminosa: quella di ledere l’integrità fisica o morale del soggetto passivo, infliggendogli abitualmente tali sofferenze.

Tali atti non devono necessariamente consistere in ingiurie o violenze; al contrario, la condotta dell’agente può manifestarsi mediante atti di disprezzo o di umiliazione [3].

Commette il reato di maltrattamenti il marito che non perde occasione di denigrare e mortificare pubblicamente la moglie, in presenza di amici e parenti.

L’abitualità dei maltrattamenti

Lo scopo del reato in commento è la difesa dell’incolumità fisica e psichica dei familiari, interessate al rispetto della loro personalità nello svolgimento di un rapporto fondato su vincoli familiari

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o parafamiliari.

Il reato non scatta se si verificano fatti che ledono o pongono in pericolo l’incolumità personale, la libertà e l’onore di una persona della famiglia, ma è necessario che tali fatti siano la componente di una più ampia ed unitaria condotta abituale, proiettata ad imporre al soggetto passivo un regime di vita vessatorio, mortificante ed insostenibile.

Il concetto di maltrattamenti, pur non definito dalla legge, presuppone una condotta abituale che si estrinsechi in più atti lesivi, realizzati in tempi successivi, dell’integrità, della libertà, dell’onore e del decoro del soggetto passivo o più semplicemente in atti di disprezzo, di umiliazione, di asservimento che offendono la dignità della vittima [4].

Maltrattamenti in famiglia: com’è punito?

Il reato di maltrattamenti contro un familiare o un convivente è procedibile d’ufficio ed è punito con la reclusione da tre a sette anni, salvo il ricorrere di circostanze aggravanti che ne determinano un aumento della pena.

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