Diffamazione: dire "mi fai schifo" o "che schifo di persona" è reato?
Scrivere in un post online su un social network «Che schifo di persona che sei» costituisce un reato di diffamazione secondo una recente sentenza della Cassazione. Esaminiamo le motivazioni e i limiti del diritto di critica politica nell’ambito delle espressioni offensive.
È frequente lasciarsi andare ad espressioni offensive sui social, complice l’abitudine – per usare un eufemismo – di “dire ciò che si pensa” e, nel farlo, di usare un linguaggio diretto, forte, aspramente critico. Ma la legge è rimasta all’epoca pre-social e, dunque, non tollera neanche su internet espressioni che possano ledere la reputazione altrui. Anzi, il fatto di farlo attraverso uno strumento pubblico come il web implica un’aggravante per via della facile diffusività che ha il contenuto.
La Cassazione ha più volte elencato quali sono le parole che potrebbero comportare una querela per diffamazione. Parole che non devono per forza essere “parolacce”: l’importante è che travalichino il diritto di critica risolvendosi in un gratuito attacco all’altrui morale personale o professionale. Dire “pagliaccio”, “burattino”, “incompetente”, “raccomandato”, “mantenuta” integrano la diffamazione. Che succede invece dire mi fai schifo oppure che schifo di persona che sei? È reato? Potremmo dire, da un lato, che si tratta di giudizi personali e, in fin dei conti, è normale non piacere a tutti. Ma l’espressione è forte perché la parola “schifo” richiama qualcosa di squallido. Dall’altro lato è anche vero che la si usa spesso ed è inflazionata anche a tavola (“questo piatto fa schifo”).
In un’epoca in cui le discussioni avvengono spesso online, è importante comprendere i limiti del diritto di espressione e le conseguenze delle parole offensive. Nel presente articolo esamineremo il caso di un cittadino che ha utilizzato espressioni offensive contro il sindaco su una pagina Facebook, affrontando un processo per diffamazione. Analizzeremo la sentenza della Cassazione e le implicazioni di tale comportamento online. Cosa dice realmente la legge riguardo a espressioni come “mi fai schifo” o “che schifo di persona”? Andiamo alla scoperta delle risposte.
Indice
Che cosa è accaduto nel caso in questione?
Nel piccolo Comune di Pesaro, un cittadino ha espresso le sue forti critiche sulle scelte politiche del sindaco attraverso un commento offensivo su Facebook. Tuttavia, il sindaco ha deciso di querelarlo per diffamazione.
L’avvocato dell’imputato ha cercato di giustificare l’uso delle parole offensive sostenendo che il sindaco aveva violato gli impegni presi nei confronti dei cittadini.
Quali sono allora i requisiti per l’esercizio del diritto di critica politica? Scopriamo come la Cassazione ha valutato queste argomentazioni difensive.
Il diritto di critica politica e i suoi limiti
La sentenza della Cassazione afferma che il diritto di critica politica è riconosciuto, ma presenta dei limiti. Esaminiamo in che modo l’interesse all’informazione dell’opinione pubblica e il controllo democratico possono coesistere con il rispetto della dignità morale e intellettuale degli esponenti politici. Cosa significa esercitare il diritto di critica senza cadere in attacchi personali lesivi?
La Cassazione ha valutato attentamente la frase «Che schifo di persona! Mi viene da vomitare» utilizzata dal cittadino e ha stabilito che costituiva un’offesa alla persona piuttosto che una critica all’operato politico del sindaco. Quali sono stati i motivi di questa decisione e perché la contestualizzazione della frase non è stata ritenuta valida?
Mi fai schifo è diffamazione
Le parole hanno un grande potere, specialmente su internet. Sebbene il diritto di critica politica sia riconosciuto, è fondamentale rispettare i limiti stabiliti dalla legge per evitare conseguenze legali. Nel caso esaminato, la Cassazione ha stabilito che espressioni come “mi fai schifo” o “che schifo di persona” non possono essere considerate parte di una critica legittima, neanche nei confronti di un politico (nei cui riguardi di solito è ammesso un linguaggio più aspro, forte e polemico). Si tratta invece di un’offesa personale che rientra nel reato di diffamazione. Pertanto, è importante mantenere un tono civile e rispettoso quando si esprime dissenso nei confronti di un pubblico amministratore. Ricordiamoci sempre di usare le parole con cura e responsabilità su internet.