Dimissioni e licenziamento: nel dubbio, quale prevale?

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L’articolo 26 del Dlgs 151/2015 stabilisce rigide modalità formali per dimissioni e risoluzione di contratti di lavoro, come definito dalla Corte di cassazione nell’ordinanza 27331/2023.

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Nel caso in cui un lavoratore presenti ricorso in tribunale contro il datore di lavoro sostenendo di essere stato licenziato oralmente, il giudice lo reintegrerebbe immediatamente sul posto. Il licenziamento verbale è infatti nullo. Ma che succederebbe se l’azienda, nel difendersi, sostenesse che è stato invece il dipendente a non voler più presentarsi al lavoro, di fatto dimettendosi in forma verbale? Insomma, tra dimissioni e licenziamento, nel dubbio, quale prevale?

La questione si pone perché, così come il licenziamento, anche le dimissioni devono avvenire per iscritto, e in particolare – a seguito delle modifiche apportate dal D.lgs. n. 151/2015 – attraverso una procedura telematica che impone la comunicazione all’Inps.

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La lite sul lavoro e il dubbio tra licenziamento verbale e assenza ingiustificata

La questione si pone molto più frequentemente di quanto si possa immaginare. Ben potrebbe avvenire infatti che il dipendente, a seguito di un alterco con il proprio capo, non voglia più presentarsi sul posto ma che, in seguito, ci ripensi e pretenda la reintegra. Se il datore, durante l’assenza ingiustificata, non lo ha diffidato per iscritto, contestandogli tale condotta e intimandogli di riprendere servizio, quest’ultimo potrebbe non avere una prova a proprio favore. Ed allora ben potrebbe essere soggetto all’impugnazione dell’apparente licenziamento nullo.

In un contesto del genere, come fare a stabilire se l’interruzione del rapporto lavorativo è stata determinata dalla volontà del datore, espressa illegittimamente in forma verbale, o dal comportamento del dipendente che non si è più presentato in azienda?

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Dimissioni nulle se non avvengono per iscritto

La questione è stata decisa dalla Cassazione. Con l’ordinanza n. 27331/2023, la Suprema Corte ha affermato che la risoluzione del rapporto di lavoro subordinato può avvenire solo seguendo le specifiche modalità formali previste dall’articolo 26 del Dlgs 151/2015, o presso le sedi assistite. Qualsiasi altro modo, anche se concordato tra le parti, non sarà valido. In buona sostanza, i giudici hanno di fatto decretato che, nel dubbio ed in assenza di prove contrarie, si deve ritenere che il rapporto di lavoro sia cessato per licenziamento verbale, quindi nullo. Con la conseguenza che il giudice condannerà il datore alla reintegra del dipendente.

Sarà allora il datore stesso a doversi procurare le prove dell’imputabilità al lavoratore della volontà di cessare il rapporto contrattuale. E, come detto, non c’è modo migliore se non quello della raccomandata con cui si dà avvio al procedimento disciplinare.

La vicenda

Nel caso di specie, un lavoratore ha sostenuto di essere stato licenziato oralmente, mentre l’azienda ha affermato che il lavoratore si era dimesso, sebbene senza una forma scritta. Inizialmente, la Corte d’appello aveva dato ragione all’azienda basandosi sull’articolo 2118 del Codice civile. Tuttavia, la Corte di cassazione ha ribaltato questa decisione, sottolineando la necessità di rispettare il Dlgs 151/2015 che impone le dimissioni telematiche, in assenza delle quali dette dimissioni devono ritenersi come mai date.

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Come deve comportarsi il datore di lavoro

Il principio stabilito dalla Cassazione assume particolare rilevanza in tutti i casi in cui risulti incerta la riconducibilità della cessazione del rapporto di lavoro alla volontà del dipendente o del datore di lavoro, rispettivamente per dimissioni o licenziamento orali. In tali casi, infatti, il datore di lavoro non potrà addurre che il rapporto si è interrotto per volontà del lavoratore, essendo prescritte rigide formalità per rassegnare le dimissioni. Conseguentemente, per avere certezza in ordine alla cessazione del rapporto di lavoro, il datore di lavoro dovrà formalmente intimare l’avvio del procedimento disciplinare e il successivo licenziamento, sebbene sia proprio questo, a volte, l’obiettivo dei dipendenti che vogliono lasciare un lavoro e nello stesso tempo non perdere il diritto all’assegno di disoccupazione, la cosiddetta Naspi (cui altrimenti non avrebbero accesso in caso di dimissioni volontarie).

In questi casi, peraltro, il datore di lavoro dovrà farsi carico anche del costo del

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ticket di licenziamento. Ticket che però potrà recuperare dal dipendente avviando contro di lui una causa di risarcimento del danno: come infatti già chiarito in passato dalla Cassazione, il lavoratore assente ingiustificato è tenuto a risarcire al datore i danni conseguenti alla sua condotta, da liquidare in misura pari proprio alla tassa di licenziamento che l’azienda deve versare allo Stato.

Quali sono le implicazioni per datori di lavoro e dipendenti?

In presenza di dubbi sulla modalità di cessazione del rapporto di lavoro, i datori di lavoro non possono affermare che un dipendente si sia dimesso senza seguire le procedure formali. Inoltre, per garantire la corretta risoluzione del rapporto, dovranno formalmente intimare il licenziamento, il che potrebbe comportare costi aggiuntivi.

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