Gruppo social per difendersi da truffatori e malintenzionati: è lecito?

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È legale creare un gruppo WhatsApp per condividere informazioni e immagini di persone che hanno commesso reati?

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Spesso la protezione migliore dai reati proviene dalla volontà reciproca delle persone di aiutarsi per costituire un fronte comune contro i criminali. Si pensi alle ronde notturne nate su iniziativa spontanea dei cittadini che non ne possono più di subire furti in casa. È proprio in questo contesto che si pone il seguente quesito: è lecito un gruppo social per difendersi da truffatori e malintenzionati?

Si pensi al gruppo di vendita su Facebook che segnala gli impostori con tanto di foto del profilo, oppure al gruppo WhatsApp in cui una categoria di lavoratori (ad esempio estetisti, tassisti, ecc.) mette in guardia tutti i partecipanti invitandoli a

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diffidare da certe persone. Quali sono i rischi che si celano dietro questa particolare tipologia di condotta? Scopriamolo.

Gruppo social per difendersi dai reati: è diffamazione?

Il primo rischio che si nasconde dietro la creazione di un gruppo social costituito per difendersi da truffatori e malintenzionati è quello di integrare il reato di diffamazione.

Secondo l’art. 595 cod. pen., commette reato chi offende la reputazione di una persona assente, in presenza di almeno altri due soggetti.

Costituire un gruppo volto a diffondere maldicenze nei riguardi di una persona che non è in grado di difendersi perché assente integra quindi il reato di diffamazione, punito nel caso di specie con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a 516 euro.

Anche l’attribuzione di un presunto reato costituisce diffamazione, se la condotta è volta a denigrare la persona.

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Pertanto, creare un gruppo social (WhatsApp, Facebook, Telegram, ecc.) con lo scopo non solo di aiutarsi a riconoscere i malintenzionati ma anche di infangare la reputazione dei soggetti di cui si parla costituisce a propria volta un reato.

Al contrario, non sussiste alcun illecito se lo scopo del gruppo è solamente quello di informare, in maniera asettica, i partecipanti alla chat, in modo da consentire loro di potersi difendere.

È reato creare un gruppo WhatsApp in cui i partecipanti insultano e offendono persone che non sono inserite nella chat, anche qualora queste ultime fossero segnalate per aver commesso dei crimini.

Non è reato costituire un gruppo WhatsApp che si limita a indicare i nominativi di persone che sono sospettate di aver commesso alcuni crimini.

Alcune estetiste creano un gruppo social in cui segnalano i soggetti che, durante le sedute, si sono resi protagonisti di aggressioni sessuali. Se non sono riportati ulteriori commenti ma solo notizie e informazioni “nude e crude”, non commettono alcun reato.

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Gruppo per difendersi dai reati: c’è violazione della privacy?

Un altro rischio insito nella creazione di un gruppo social per difendersi da truffatore e malintenzionati è quello di violare la privacy dei soggetti segnalati.

Secondo la legge, ogni dato che consente di ricondurre all’identità di una persona in maniera certa e inequivocabile (fotografia, nome e cognome, numero di telefono, indirizzo email, ecc.) è protetto dalla privacy e può essere trattato solo col consenso del titolare.

Creare un gruppo social per difendersi da truffatore e malintenzionati può quindi costituire una violazione della privacy se le informazioni riguardanti i soggetti segnalati non sono pubbliche.

Costituisce violazione della riservatezza creare un gruppo WhatsApp inserendo persone che non hanno accettato l’invito, consentendo così di rendere pubblica la loro utenza.

C’è violazione della privacy se in un gruppo social viene fatto circolare il numero di telefono di una persona che non ha prestato il consenso alla sua divulgazione.

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Di conseguenza, creare un gruppo social condividendo informazioni riservate costituisce una violazione del diritto alla riservatezza, punito con l’obbligo di risarcire i danni.

Un legale non può condividere, in una chat riservata agli avvocati, l’utenza di un suo ex cliente con lo scopo di avvisare i partecipanti al gruppo di non rispondere al telefono.

È anche vero che la legge consente di violare la privacy qualora ricorrono esigenze di giustizia o di tutela delle proprie ragioni.

Gruppo per difendersi dai reati: si possono condividere le foto?

Uno dei metodi più veloci per tutelarsi da malintenzionati e truffatori è quello di condividere le immagini di questi soggetti, in modo da creare un vero e proprio “album” per il riconoscimento fotografico. Questa condotta è legale?

In effetti, la legge vieta di divulgare l’immagine altrui senza consenso, anche quando questa è presa da profili social, come Facebook e Instagram.

Condividere una foto all’interno di un gruppo, seppur riservato a determinate persone, costituisce comunque una divulgazione illecita.

Anche in questa ipotesi, però, potrebbero sovvenire ragioni di giustizia a scriminare la condotta illegale.

Si ricordi, inoltre, che la condivisione non deve in ogni caso ledere l’onore della persona ritratta, pena il reato di diffamazione.

Per ulteriori approfondimenti, si legga l’articolo dal titolo Diffusione immagini WhatsApp senza consenso: è reato?

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