Stress da lavoro: come agire

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Ambiente di lavoro stressante e tutela della salute del dipendente: doveri del datore.

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In un contesto imprenditoriale sempre più concorrenziale e competitivo, la questione degli ambienti di lavoro stressogeni e delle relative responsabilità del datore di lavoro si impone con prepotenza all’attenzione dei giudici. L’articolo 2087 del Codice civile stabilisce il generale dovere per l’azienda di tutelare la salute psicofisica del dipendente. Di qui la frequente domanda: come agire legalmente in caso di stress da lavoro?

Il lavoratore non ha solo la causa di mobbing come strumento per ottenere il risarcimento.

La recente giurisprudenza della Corte di Cassazione, con ben sei sentenze emesse solo nei primi due mesi del 2024

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[1], ha ribadito con fermezza l’obbligo per i datori di lavoro di implementare sistemi di monitoraggio continuo per garantire la salubrità dell’ambiente lavorativo, anche sotto il profilo dello stress, e di fornire strumenti adeguati per la segnalazione di eventuali situazioni critiche da parte dei dipendenti.

Un esempio emblematico è rappresentato dalla sentenza della Cassazione del 12 febbraio 2024, n. 3791. La Corte sottolinea la necessità di un impegno concreto dei datori di lavoro nell’individuazione e nel contrasto di situazioni lavorative potenzialmente nocive per la salute psicofisica dei lavoratori.

Cosa dice la Cassazione sullo stress da lavoro

La Corte ha tracciato una linea guida chiara per la valutazione di contesti lavorativi in cui possano insorgere

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dinamiche stressogene, conflittuali o vessatorie, svincolate dalla stretta definizione di mobbing ma non per questo meno rilevanti ai fini della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro. Il giudice, in questi casi, è chiamato a considerare l’intero contesto lavorativo per identificare eventuali violazioni dell’obbligo, a carico del datore di lavoro, di assicurare un ambiente sicuro e sano, come sancito dall’articolo 2087 del Codice civile.

La sentenza n. 3791 del 2024, insieme ad altre pronunce quali la n. 3692 del 2023 e la n. 3291 del 2016, sottolinea che il datore di lavoro non può sottrarsi alla responsabilità di prevenire o mitigare le condizioni di lavoro potenzialmente lesive per la salute dei dipendenti, anche in assenza di una prova concreta delle condotte di mobbing. La Corte ha chiarito che è dovere del datore di lavoro adottare tutte le misure preventive necessarie, sfruttando le conoscenze tecniche e l’esperienza specifica del settore di riferimento, per proteggere l’integrità fisica e la dignità morale dei lavoratori.

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Per illustrare concretamente l’applicazione di questi principi, si può considerare il caso di una grande azienda nel settore delle telecomunicazioni, dove l’introduzione di un programma di valutazione periodica del benessere dei dipendenti ha portato alla luce situazioni di stress lavorativo elevato in alcuni reparti. L’azienda ha reagito istituendo un sistema di segnalazione anonima per i dipendenti, migliorando la comunicazione interna e organizzando workshop tematici sulla gestione dello stress, in linea con gli obblighi delineati dalla Corte di Cassazione.

La responsabilità del datore di lavoro per stress lavorativo

Il dipendente che ritiene di essere vessato dal datore può agire in via civile con una causa per mobbing al fine di farsi risarcire i danni alla salute e alla carriera. Tuttavia il mobbing richiede una prova molto severa: non solo una pluralità di condotte lesive ma anche l’intento, che le collega tutte, rivolto a emarginare e umiliare il lavoratore. Insomma ci deve essere una sorta di “malafede” del datore che non è facile dimostrare.

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Proprio per questo, la Cassazione sostiene che, se anche il dipendente non riesce a raggiungere tale prova, il giudice che accerti un ambiente di lavoro stressogeno è comunque tenuto a riconoscergli il risarcimento. Non importa infatti la definizione che si dà all’illecito: ciò che rileva è la lesione alla salute del dipendente e, quindi, la violazione del dovere di salvaguardia che grava sul datore.

Proprio al fine dunque di venire incontro alle difficoltà processuali che il lavoratore potrebbe incontrare nel dimostrare il mobbing, la Suprema Corte ha elaborato un differente illecito che, sebbene di minor gravità, garantisce comunque il ristoro del danno alla salute: lo straining. Lo straining è un mobbing in forma attenuata, dove il risarcimento viene riconosciuto indipendentemente dalla prova dell’intento vessatorio del datore. Esso scatta tutte le volte in cui il dipendente vive in un ambiente di lavoro stressante, che lo logora. Il datore di lavoro non può spremere il dipendente fino a portarlo all’“esaurimento”.

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La responsabilità del datore di lavoro nell’assicurare un ambiente di lavoro sano va oltre la semplice adesione formale alle norme: richiede un impegno attivo e costante nella prevenzione delle situazioni potenzialmente dannose per i lavoratori.

Gestione dei conflitti in ambiente di lavoro: responsabilità del datore

I giudici della Cassazione sottolineano l’importanza delle misure preventive e correttive che il datore di lavoro è tenuto a implementare per mitigare o eliminare le tensioni interne, come ad esempio le divergenze tra il dirigente scolastico e il responsabile dei servizi amministrativi. Tali tensioni possono compromettere la serenità e l’efficienza nell’ambiente di lavoro. Una sentenza chiave in questo contesto (Cassazione n. 26684/2017) ribadisce l’obbligo del datore di lavoro di intervenire attivamente per ristabilire un clima lavorativo sereno e produttivo.

Non basta per il giudice limitarsi a escludere la presenza di mobbing senza indagare sull’eventuale mancato adempimento, da parte del datore di lavoro, degli obblighi di prevenzione e protezione previsti dall’art. 2087 del Codice civile, e sull’esistenza di un legame causale tra le condizioni lavorative e il pregiudizio alla salute del lavoratore.

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In particolari circostanze, come quelle esaminate dalla Suprema Corte, diventa ancora più determinante questa verifica, soprattutto quando emerge chiaramente, come in questo caso, una situazione di marcata conflittualità riconosciuta come tale anche dai giudici di appello.

Responsabilità del datore di lavoro e ambiente stressogeno: conclusioni e implicazioni

La sentenza analizzata ribadisce un principio fondamentale nella giurisprudenza italiana relativo alla responsabilità del datore di lavoro, come delineato nell’articolo 2087 del Codice civile. Non è necessaria un’azione intenzionale o attiva da parte del datore di lavoro per configurare una responsabilità: è sufficiente che abbia permesso, anche per negligenza, la persistenza di condizioni lavorative stressanti per i dipendenti, causando di conseguenza danni alla loro salute.

Quest’interpretazione trova solido fondamento normativo, in quanto la legislazione italiana prevede espressamente l’obbligatorietà di considerare gli aspetti stressogeni all’interno degli ambienti lavorativi

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, indipendentemente dal settore di attività o dalle dimensioni dell’azienda.

L’articolo 28 del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81, stabilisce che il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) deve necessariamente includere una sezione dedicata ai rischi per la salute e sicurezza derivanti dallo stress lavoro-correlato.

L’onere della prova in causa: chi deve dimostrare cosa?

Interessante è anche l’aspetto relativo alla ripartizione dell’onere probatorio in casi di presunto mobbing o di violazione dell’art. 2087 del Codice civile. Mentre chi denuncia il mobbing deve fornire prove concrete delle azioni vessatorie subite, quando invece si lamenta solo il danno alla salute causato dallo stress lavorativo per violazione dell’articolo 2087, spetta al datore di lavoro dimostrare di aver adottato tutte le misure possibili per prevenire o ridurre al minimo le condizioni nocive o insalubri all’interno dell’ambiente lavorativo, a tutela dell’integrità psicofisica dei dipendenti.

Le sentenze della Suprema Corte enfatizzano dunque la necessità per i datori di lavoro di non solo

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aggiornare periodicamente la sezione del DVR relativa allo stress lavoro-correlato, ma anche di implementare sistemi di controllo regolari per verificare l’effettiva salubrità dell’ambiente di lavoro, comprese le dinamiche stressogene. È inoltre fondamentale la presenza di meccanismi che permettano ai lavoratori di segnalare eventuali situazioni di disagio e al datore di lavoro di intervenire prontamente per risolverle.

In conclusione, la giurisprudenza italiana si sta orientando sempre di più verso una visione olistica della salute e sicurezza sul lavoro, includendo aspetti psicosociali come lo stress lavoro-correlato. Questo approccio impone ai datori di lavoro un impegno attivo nella prevenzione e gestione delle situazioni potenzialmente dannose, affermando l’importanza di un ambiente di lavoro non solo fisicamente sicuro, ma anche psicologicamente supportivo e privo di stress eccessivo.

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