L’omesso versamento dell’Iva è reato?
Quando scatta il reato di omesso versamento IVA: la soglia. È responsabile il contribuente in caso di impossibilità di pagamento?
La crisi di liquidità dell’impresa nell’ambito degli illeciti tributari di omesso versamento è un problema assai frequente. L’avvicendarsi dei periodi di recessione ha inciso e continua a farlo sulla stabilità del tessuto economico, con la conseguenza che spesso il contribuente non possiede le risorse per far fronte ai propri impegni fiscali e preferisce destinare le uniche presenti al risanamento dell’impresa o al pagamento degli stipendi ai propri collaboratori. L’impossibilità di effettuare il versamento a causa della mancanza di fondi che colpisce la propria attività evidenzia da un lato la mancanza di volontà di rendersi inadempienti rispetto a quanto dovuto, dall’altro l’esistenza della
Indice
In cosa consiste il reato di omesso versamento IVA
Il reato di omesso versamento dell’IVA è stato introdotto nell’ambito degli illeciti tributari nel 2006. L’esigenza era quella di contrastare i fenomeni di evasione da riscossione. Il delitto è un cosiddetto reato proprio, ossia che può essere commesso unicamente dal contribuente che, liquidata correttamente l’imposta, ne omette poi il versamento. In relazione a tale fattispecie, è bene poi specificare, anche per dare l’idea di come il reato in argomento sia giudicato in maniera decisamente minore rispetto agli altri reati fiscali, che la condotta assume rilevanza penale solo quando l’importo superi le cosiddette
Cos’è la crisi di liquidità?
Quanto descritto nel paragrafo precedente porta però a domandarsi se essere coscienti di non pagare quanto dovuto coincida con la volontà di non farlo o con la semplice impossibilità di adempiere. La differenza è risolutiva perché, nel primo caso, si incorre nel reato sopra richiamato, nel secondo, chiaramente no. Il fenomeno della crisi di liquidità quale causa del mancato pagamento è stato prima ritenuto una causa di giustificazione, imposta dalla necessità di salvare sé stesso da un grave nocumento; successivamente, ravvisata l’impossibilità di configurare un vero e proprio stato di necessità dettato dall’esigenza di salvarsi da un grave nocumento, si è virato sull’impossibilità di pagare. In buona sostanza, ci si è posti il problema della scelta da parte del contribuente tra cagionare una danno ai propri dipendenti e determinare un danno all’Erario. Scelta certamente non semplice. Sebbene però il dovere di retribuzione sembrasse propendere sul dovere di adempiere i propri oneri, si è considerato che il
In cosa consiste la causa di forza maggiore nel reato di omesso versamento dell’IVA?
La crisi di impresa, stando a questa tesi, non dovrà essere direttamente causata dall’agente e dovrà essere inevitabile. Tale stato di crisi di liquidità dovrà discendere da fatti non imputabili al contribuente, il quale non ha potuto porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che soprattutto sfuggono al suo controllo. Gli esempi semplici di questo ragionamento possono essere rappresentati dall’insolvenza di un debitore del contribuente, che, paradossalmente, il più delle volte può essere un’amministrazione pubblica; dal mancato incasso di una fattura; dalla necessità di onorare gli impegni di un pregresso piano di rientro.
Come si dimostra la crisi di liquidità?
Si è passati dal dovere di allegare, da parte del contribuente, le circostanze che hanno impedito di adempiere quanto dovuto, a quella decisamente più mite di dimostrare l’impossibilità di attribuire a sé stessi la crisi aziendale o di ricorrere a misure idonee a fronteggiare la crisi. Non è però cambiato molto rispetto alla previsione di utilizzo del proprio patrimonio personale, atteso che si è scelta una discutibile via di mezzo: quella secondo la quale il contribuente dovrà di volta in volta accantonare quanto si prevede debba pagare. Ora, tale ragionamento è viziato per due motivi: non fa i conti con quella del mancato pagamento all’imprenditore delle fatture dallo stesso emesse, per cui accantonare ciò che non si riceve non pare proprio possibile; e in ogni caso il rimprovero che potrebbe essere mosso sarebbe semmai quello di essere stato negligente o forse imprudente ma quindi con un atteggiamento dettato da un profilo di colpa e non di dolo, necessario a configurare il reato. In ultimo, non meno importante è la circostanza secondo la quale l’accantonamento non è previsto da alcuna norma tributaria ma da una giurisprudenza che certamente non considera il variare delle circostanze da caso a caso.
Ciò posto, quindi, a mio parere, la verifica dell’inevitabilità della crisi di liquidità potrà avere ad oggetto tutte le cause indipendenti dalla volontà dell’imprenditore. Potranno valutarsi positivamente tutte le iniziative intraprese dal contribuente per scongiurare la crisi, senza entrare quindi nel merito delle scelte risalenti dell’imprenditore, volte a risanare l’azienda o a cogliere eventuali opportunità di investimento. Pretendere di punire il comportamento del contribuente fino a rimproverargli di non aver accantonato le somme, insomma, significa anticipare la soglia di punibilità di un reato che per essere incriminato richiede tra i suoi imprescindibili presupposti quello della volontà di non pagare e non certamente quello della impossibilità di provvedere, specie se sopravvenuta.
Considerazioni personali
La punibilità per il reato di omesso versamento IVA ai sensi dell’articolo 10 ter del d.lg. 10 marzo 2000 n. 74 è da escludere quindi ai sensi dell’articolo 45 del Codice penale (forza maggiore) in caso di insorgenza di una crisi di liquidità, quando la stessa non sia imputabile al contribuente, sia imprevedibile e non sia stata da lui fronteggiabile in concreto.