Quali sono le distanze legali per le costruzioni?
Qual è la normativa sulle distanze tra edifici, quali le eccezioni e cosa si intende per parete finestrata?
La normativa sulle distanze minime tra le costruzioni è dettata per tutelare la salute pubblica: lo scopo è evitare che si possano creare intercapedini tra edifici che diventino ricettacolo di sporcizia, animali e detriti. A questo si aggiunge anche una questione di sicurezza urbana: nei luoghi bui e nascosti si possono più facilmente commettere crimini e propagare incendi.
Ma quali sono le distanze legali per le costruzioni? In questo articolo forniremo un quadro aggiornato delle leggi, dei regolamenti e della giurisprudenza che si è espressa sul tema chiarendo quanti metri devono separare un palazzo da un altro, quali sono le eccezioni, cosa si intende per parete finestrata. Ma procediamo con ordine.
Indice
Qual è la normativa sulle distanze tra edifici e cosa stabilisce?
Le principali fonti normative in materia di distanze tra edifici sono:
- il Codice civile: in particolare, gli artt. 873, 874, 875 e 877 disciplinano le distanze tra le costruzioni su fondi finitimi;
- il Decreto Ministeriale 1444/1968: detta norme tecniche integrative del Codice civile in materia di distanze, altezze e cubature degli edifici;
- i regolamenti edilizi locali: disciplinano in maniera specifica le distanze tra edifici in ambito comunale.
Che distanza ci deve essere tra una costruzione e l’altra?
Le costruzioni su terreni confinanti appartenenti a proprietari diversi devono essere tenute ad una distanza
I regolamenti locali/comunali possono però stabilire una distanza maggiore (ma non alterare il metodo di calcolo di tale distanza).
A dover rispettare la distanza è chi costruisce per ultimo, che dovrà pertanto arretrare la propria opera.
Così, ad esempio, una persona che vuol realizzare una tettoia o un gazebo sul proprio giardino non potrà farlo a meno di tre metri dal confine del vicino.
Che distanza ci deve essere tra una casa e l’altra?
Oltre alla distanza minima di tre metri rispetto al confine, la legge fissa anche un secondo parametro obbligatorio: tra un edificio e l’altro ci deve essere anche una distanza minima assoluta di 10 metri. Ciò vale però solo se si tratta di pareti finestrate e pareti di edifici antistanti.
La distanza di 10 metri si applica in tutte le zone omogenee del territorio comunale ad eccezione dei centri storici, nei quali per gli interventi di risanamento e di ristrutturazione, le distanze tra edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti fra i volumi edificati preesistenti (art. 9 c. 1 punto 1 e punto 2 DM 2 aprile 1968 n. 1444).
Ci sono eccezioni alle distanze tra costruzioni?
È possibile derogare alle norme sulle distanze minime, solo se le costruzioni sono unite e aderenti tra loro.
Inoltre, sono ammesse distanze inferiori nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.
Nelle zone sismiche è prevista una normativa particolare che regola la distanza minima tra costruzioni contigue che si fronteggiano, stabilita sulla base di specifici calcoli. Si vogliono così evitare fenomeni di martellamento, ossia di urto tra le strutture vicine.
Nell’ambito di operazioni di manutenzione straordinaria, restauro e rinnovo edilizio, l’aumento dello spessore delle pareti esterne e degli elementi di copertura, sia superiore che inferiore, richiesto per conseguire una diminuzione dei limiti di trasmittanza termica di almeno il 10% (come previsto dal Decreto Legislativo n. 192/2005), non viene incluso nei calcoli per la definizione dei volumi, delle altezze, delle aree e degli indici di edificabilità. Questo può verificarsi, ad esempio, nell’installazione di un isolamento a cappotto termico o nella costruzione di una facciata ventilata, che comportano un incremento dello spessore esterno dell’edificio.
Come si calcolano le distanze dal confine?
La misurazione della distanza minima tra le costruzioni avviene in modo lineare, proiettando sul piano della linea di confine la parte della costruzione che sporge di più [1].
Le normative locali possono stabilire che la distanza tra gli edifici debba essere determinata considerando l’altezza delle costruzioni, piuttosto che una misura fissa (ad esempio, 3 metri dall’edificio adiacente), come indicato dalla sentenza n. 12964 del 31 maggio 2006 della Corte di Cassazione.
Per assicurare il rispetto delle norme sulle distanze, le protrusioni dell’edificio puramente decorative o funzionali solo a fini estetici o accessori, quali mensole, cornicioni e grondaie, non vengono considerate rilevanti. Al contrario, elementi come scale, terrazze, balconi e altre estensioni che contribuiscono all’ingrandimento della struttura, anche se non creano volumi chiusi, sono ritenuti significativi per il calcolo delle distanze legali, come confermato da sentenze del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione (n. 424 del 27 gennaio 2010 e n. 12964 del 31 maggio 2006).
Distanze legali tra parenti finestrate
Il rispetto delle distanze legali tra le pareti finestrate degli edifici va garantito in ogni circostanza, anche in presenza di un’unica parete finestrata.
Come anticipato, il Dm 1444/1968 stabilisce che tra le pareti finestrate di edifici fronteggianti deve essere mantenuta una distanza minima di 10 metri. Questa disposizione non mira soltanto a tutelare la privacy degli individui, ma ha una finalità più ampia legata alla salute pubblica e allo sviluppo armonico del territorio. La Cassazione ha ribadito che tale norma va applicata indistintamente, a prescindere dalla presenza di strumenti urbanistici contrari o disposizioni di divieto di costruzione (Cass. sent. n. 7744/2024).
La Corte ha esaminato il caso di un manufatto edificato senza rispettare le distanze legali; in tale circostanza ha sottolineato come tali regole abbiano una valenza che va oltre i semplici rapporti tra privati, investendo il pubblico interesse. Il fatto che un edificio sia stato realizzato con l’assenso del residente interessato non influisce sulla necessità di rispettare le distanze legali.
Quali sono le conseguenze della violazione delle norme sulle distanze?
La violazione delle norme sulle distanze può comportare l’obbligo di abbattimento o di arretramento dell’edificio alle disposizioni legali, nonché il risarcimento del danno.
Il vicino può chiedere la rimozione anche quando sia violata la distanza minima stabilita dalle richiamate disposizioni urbanistiche, che indicano se questa debba essere misurata dal confine o dall’altro edificio.
Che succede se una costruzione è abusiva?
La Cassazione ha chiarito che il rispetto delle distanze legali deve essere osservato ancor più rigorosamente in caso di costruzioni abusive, anche se sia intervenuta la relativa sanatoria amministrativa, i cui effetti sono limitati al campo pubblicistico e non pregiudicano i diritti dei terzi. Pertanto, il proprietario del fondo contiguo, leso dalla violazione delle norme urbanistiche, ha comunque il diritto di chiedere ed ottenere l’abbattimento o la riduzione a distanza legale della costruzione illegittima nonostante sia intervenuto il condono edilizio.