Chi rimane in casa dopo il divorzio?
Cosa succede alla casa coniugale dopo il divorzio? A chi viene assegnata? Cos’è il diritto di abitazione e quanto tempo dura? Ecco una guida completa di cosa prevede la legge in Italia.
Per stabilire chi rimane in casa dopo il divorzio bisogna analizzare il caso concreto e accertare che sussistano le condizioni a cui la legge subordina il riconoscimento del cosiddetto “diritto di abitazione” nella casa coniugale. Anzi, a ben vedere, bisogna parlare di “casa familiare”, visto che quanto diremo qui di seguito vale non solo per le coppie sposate ma anche per quelle costituite da conviventi.
La legge italiana non stabilisce in modo aprioristico a chi spetta la casa dopo la separazione o il divorzio
Indice
Quando il giudice può assegnare la casa dopo il divorzio?
L’assegnazione del diritto di abitazione gioca tutta intorno alla tutela dei figli. Non si tratta quindi di una misura volta a sostenere economicamente l’ex coniuge o partner.
Pertanto, il giudice assegna la casa solo quando sussistono tutti i seguenti requisiti:
- le parti non hanno raggiunto alcun accordo in merito alla gestione della casa dopo la separazione;
- la coppia ha avuto figli (non rilevano quindi quelli derivanti da una precedente unione di uno dei due);
- tali figli devono essere alternativamente: a) minorenni; b) maggiorenni ma non ancora autosufficienti dal punto di vista economico (purché non abbiano più di 30 anni); c) portatori di grave handicap.
Dunque, il giudice non può decidere di assegnare la casa nei seguenti casi:
- coppia senza figli;
- coppia con figli con almeno 30 anni (il più piccolo);
- coppia con figli che vivono separatamente dai genitori;
- coppia con figli che lavorano;
- coppia con figli disabili, ma senza che tale disabilità sia certificata ai sensi della Legge 104 del 1992.
Come abbiamo detto, l’assegnazione del diritto di abitazione può essere presa in caso di:
- coppia sposata;
- coppia di conviventi stabili.
A chi va la casa dopo la separazione o il divorzio?
Poiché l’assegnazione della casa serve a garantire ai figli di restare nello stesso habitat domestico in cui già vivevano prima della separazione dei genitori, la legge stabilisce che la casa vada al cosiddetto genitore collocatario, ossia il genitore presso cui andranno a stare i figli.
La legge non stabilisce una preferenza in merito al genitore collocatario (se il padre o la madre), ma il giudice deve individuarlo avendo a cuore il “maggior interesse del figlio”.
A tal fine, nel corso della causa, il magistrato deve obbligatoriamente sentire il figlio
A questo punto, la scelta del genitore collocatario (e, quindi, anche di colui che otterrà la casa familiare) avverrà nel seguente modo:
- figlio minorenne: il giudice opta per il genitore con cui quest’ultimo ha stretto un legame più solido fino al momento della separazione dei genitori;
- figlio maggiorenne: il giudice individua il genitore collocatario tenendo conto della volontà del figlio stesso che diventa di fatto vincolante.
Una coppia si separa. L’uomo vorrebbe un accordo con la donna e le offre la possibilità di vivere nella sua casa per i primi cinque anni, dopo i quali lei dovrà andare altrove, ben potendo contare su un immobile di proprietà dei suoi genitori. La donna non accetta. I due vanno dal giudice. Quest’ultimo stabilisce che i figli vadano a vivere con la madre e assegna così a quest’ultima il diritto di abitazione nell’immobile dell’ex partner.
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Su quale casa spetta il diritto di abitazione?
La decisione di assegnare il diritto di abitazione sulla casa familiare al genitore collocatario viene presa:
- quando la casa è in comunione dei beni o in comproprietà;
- quando la casa è di proprietà del genitore non collocatario (difatti non vi sarebbe ragione di assegnare la casa a chi ne è già titolare);
- quando la casa è in affitto (in tal caso, il giudice ordina la “voltura” del contratto);
- quando la casa è in comodato gratuito ed è quindi di proprietà di terzi.
Con riferimento a quest’ultima situazione, di solito si tratta della casa dei genitori di una delle due parti che si separano (quindi il nonno o la nonna). Tuttavia, secondo la Cassazione, l’assegnazione dell’abitazione ottenuta in comodato gratuito non è possibile se sussistono entrambe le seguenti condizioni:
- il contratto di comodato è scritto e registrato;
- nel contratto è indicata una data di scadenza del comodato (in tal caso, a tale data, la casa torna nella disponibilità del comodante).
Il padre di un ragazzo di 30 anni dà in prestito a quest’ultimo la sua casa affinché la usi per convivere con la sua compagna. Dopo un anno, i due hanno un figlio e dopo dieci anni si separano. Il giudice colloca i figli presso la madre e assegna a quest’ultima anche la casa dei suoceri. Così non sarebbe andato invece se il contratto di comodato avesse avuto una data di scadenza: a quella data infatti l’abitazione sarebbe tornata al legittimo proprietario.
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Inoltre, il giudice può assegnare il diritto di abitazione solo nella casa ove la famiglia viveva stabilmente prima della separazione. Quindi, tale diritto non può essere assegnato sulla seconda casa o su un’altra dimora non abitata dalla coppia (salvo diverso accordo delle parti).
È interessante notare come, secondo la giurisprudenza, il diritto di abitazione nell’ex casa coniugale spetti anche quando il genitore collocatario è anch’egli proprietario di un proprio immobile.
Un uomo si separa dalla moglie, proprietaria di un immobile. Il giudice assegna la casa familiare alla donna in quanto, presso di lei, vengono collocati i figli. Quest’ultima può dare in fitto l’appartamento di sua proprietà non essendo tenuta a viverci.
Cos’è il diritto di abitazione?
Il giudice assegna al genitore collocatario non già la proprietà della casa, ma il diritto di abitarvi fin quando i figli non saranno divenuti autonomi o non andranno a vivere da soli altrove (vedi su questo aspetto il prossimo paragrafo).
Il diritto di abitazione fa quindi sì che il relativo titolare (salvo diverso accordo tra le parti) debba pagare:
- le utenze domestiche (bollette);
- le imposte sulla casa (tassa sui rifiuti e Imu). Tuttavia se il coniuge collocatario ha la residenza nella casa familiare, potrà godere dell’esenzione Imu. Quest’ultima imposta non dovrà essere versata neanche dal proprietario dell’immobile;
- la manutenzione ordinaria dell’immobile;
- le spese ordinarie di condominio, compresi i consumi (sono quindi esclusi i lavori straordinari e le ristrutturazioni).
Fin quando dura l’assegnazione della casa
Il diritto di abitazione cessa nelle seguenti ipotesi:
- figlio maggiorenne e autosufficiente dal punto di vista economico;
- figlio va a vivere stabilmente da solo;
- genitore collocatario va a vivere altrove;
- figlio con più di 30 anni (in quanto perde il diritto al mantenimento).
Per la revoca del diritto di abitazione è necessario presentare un ricorso al Tribunale.
Cosa succede dopo la revoca della casa familiare?
Secondo la Cassazione (n. 7691/2024) la revoca dell’assegnazione della casa familiare può essere motivo di
Come proteggere la casa dopo il divorzio?
Per tutelare la casa di proprietà dall’ex coniuge bisognerebbe non viverci. Difatti, come abbiamo visto prima, il giudice può disporre solo l’assegnazione dell’immobile ove la coppia viveva prima della separazione.
In alternativa, la sia può intestare a un’altra persona e poi farsela concedere in comodato. In tal caso il comodato deve essere scritto e con data di scadenza. Può sempre essere rinnovato in modo da non prevedere una durata eccessivamente lunga.