Si può contestare un licenziamento dopo aver firmato?
È ancora possibile l’impugnazione del licenziamento dopo aver accettato la conciliazione e firmato il verbale?
Dopo essere stato licenziato, hai immediatamente contestato la decisione dell’azienda inviando una raccomandata tramite il tuo avvocato. Successivamente, tu e il datore di lavoro vi siete recati all’Ispettorato Territoriale del Lavoro per tentare una conciliazione. Durante l’incontro, sei stato persuaso ad accettare una proposta transattiva, che ti è stata presentata come la soluzione più vantaggiosa per evitare una causa legale e il rischio di non ottenere alcun risarcimento. Tuttavia, dopo alcuni giorni, hai iniziato a dubitare della decisione presa e ora ti chiedi se
La questione merita un approfondimento, alla luce di un paio di pronunce della Cassazione.
Indice
È contestabile un licenziamento conciliato?
In linea generale, devi sapere che qualsiasi trattativa tra datore e dipendente in merito a diritti indisponibili di quest’ultimo (come le ferie, la retribuzione, il riposo settimanale, la contestazione del licenziamento illegittimo, ecc.), può avvenire solo “in sede protetta”, ossia:
- dinanzi al giudice in corso di causa;
- presso le Commissioni di conciliazioni presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro;
- presso i Collegi di conciliazione e arbitrato;
- nelle sedi dei sindacati.
Se non viene rispettata tale forma, l’accordo non è valido, e il dipendente potrebbe sempre cambiare idea e agire contro il datore, ignorando quanto indicato nell’atto transattivo.
Viceversa, quando l’intesa avviene in sede protetta, essa è irrevocabile.
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10734 del 22 aprile 2024, ha chiarito importanti aspetti relativi alla impugnabilità del licenziamento riportato in un verbale di conciliazione. Secondo la Corte, una volta che il lavoratore firma il verbale che formalizza il licenziamento durante una procedura di conciliazione, non può successivamente impugnarlo.
La sentenza precisa che il verbale di conciliazione serve a documentare l’esito di un tentativo di conciliazione, e non solamente la chiusura formale delle negoziazioni. Tale approccio assicura che ogni decisione presa durante la conciliazione sia considerata definitiva e basata su un accordo reale e consapevole tra le parti. D’altronde, proprio a questo serve la presenza dei soggetti terzi, rappresentanti dei lavoratori: a consentire alle parti interessate di non “svendere” i propri diritti.
Dalla decisione della Cassazione si trae un insegnamento: i lavoratori devono essere pienamente consapevoli delle conseguenze legali prima di firmare qualsiasi verbale di conciliazione. Essendo questo un documento che attesta l’insuccesso delle negoziazioni e formalizza il licenziamento, esso è
In quali casi è annullabile un verbale di conciliazione?
Ogni regola ha le sue eccezioni. Secondo la sentenza della Cassazione n. 8260/17 può essere annullato un verbale di conciliazione firmato da un lavoratore che, in quella sede, è stato ingannato dal proprio datore di lavoro. Si pensi al caso dell’imprenditore che, per giustificare un licenziamento per crisi, presenti dei bilanci artefatti.
La Corte ha esaminato un caso in cui un datore di lavoro aveva indotto un dipendente a firmare un verbale di conciliazione, affermando falsamente una crisi aziendale come causa del licenziamento. Successivamente, l’assunzione di un altro lavoratore per la stessa posizione ha rivelato l’inganno.
Quando sono considerati validi gli accordi tra dipendente e datore di lavoro?
Gli accordi sono considerati validi solo quando sono basati su informazioni veritiere e trasparenti. Qualsiasi elemento di inganno o informazione falsa può rendere l’accordo annullabile su richiesta del dipendente.
La Cassazione ha stabilito che un verbale di conciliazione basato su motivazioni false può essere impugnato dal dipendente. Se emergono prove dell’inganno dopo la firma, il lavoratore ha il diritto di rivolgersi al giudice per contestare la legittimità del licenziamento.