Il fisco può annullare l’accertamento ed emetterne uno peggiore?

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Secondo la Cassazione a Sezioni Unite il Fisco può sostituire un atto impositivo con uno peggiorativo per il contribuente, senza violare il legittimo affidamento.

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L’autotutela è un potere che permette all’Amministrazione finanziaria di correggere i propri errori, annullando o modificando gli atti illegittimi. Il più delle volte ciò succede su segnalazione del contribuente che chiede l’annullamento o la rettifica di un accertamento a proprio sfavore (ne abbiamo parlato nella guida sull’autotutela contro l’Agenzia delle Entrate). Ma cosa succede se l’ufficio delle imposte, nell’esercitare l’autotutela (magari su propria iniziativa), emette un nuovo atto che aggrava la situazione

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del contribuente? Il fisco può annullare l’accertamento ed emetterne uno peggiore?

Ad affrontare questo delicato tema è stata la Cassazione a Sezioni Unite (sent. 30051/2024). La Corte ha stabilito che l’Agenzia delle Entrate può sostituire un atto con uno più oneroso per il cittadino, purché rispetti i termini di decadenza e non violi il legittimo affidamento del contribuente.

Il caso

L’Agenzia delle Entrate aveva emesso un accertamento in cui riconosceva la deducibilità di alcuni costi. Successivamente, l’Ufficio ha annullato l’atto in autotutela, emettendone uno nuovo in cui i costi non erano più riconosciuti. Il contribuente ha impugnato il nuovo atto, lamentando che l’Ufficio non poteva peggiorare la sua posizione con l’autotutela.

Cos’è l’autotutela “in malam partem”

La Cassazione a Sezioni Unite ha

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respinto il ricorso del contribuente, stabilendo che l’autotutela “in malam partem” è legittima, purché:

Differenza tra autotutela e accertamento integrativo

L’autotutela sostitutiva affonda le radici nei principi costituzionali sull’interesse pubblico all’esazione dei tributi: può dunque scattare per vizi sostanziali oltre che formali dell’atto, a meno che non sia intervenuta la decadenza per l’accertamento del singolo tributo o una sentenza passata in giudicato; si tratta di un istituto comunque differente dall’accertamento integrativo. Quest’ultimo infatti è un atto con cui il Fisco modifica un accertamento precedente sulla base di nuovi elementi; esso quindi si affianca a un precedente atto valido. Non serve allora la sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi affinché sia emesso il provvedimento.

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Nell’autotutela sostitutiva, invece, il Fisco annulla e sostituisce l’atto originario sulla base degli stessi elementi già considerati, senza la necessità di nuovi elementi.

L’autotutela sostitutiva, inoltre, può far scattare l’annullamento dell’accertamento per vizi sostanziali, oltre che formali, in base agli stessi principi costituzionali su cui è fondata la potestà impositiva dell’amministrazione finanziaria.

Quando è violato il legittimo affidamento?

La Cassazione ha precisato che il legittimo affidamento del contribuente è violato solo in rari casi, ad esempio:

Il fatto che il precedente atto sia viziato non integra di per sé il legittimo affidamento da parte del contribuente; che si configura invece se ci sono specifiche indicazioni sbagliate o condotte intrinsecamente contraddittorie da parte dall’Agenzia fiscale in epoca anteriore all’adozione dell’atto illegittimo: in tal caso sussistono esigenze di certezza rispetto alle somme pretese, compiutamente versate dal contribuente.

Cosa può fare il contribuente se riceve un atto peggiore del precedente?

Il contribuente può impugnare l’atto davanti alla Corte di Giustizia Tributaria, contestandone la legittimità, entro 60 giorni dal ricevimento, secondo le regole ordinarie.

L’autotutela “in malam partem” è legittima solo se rispetta i termini di decadenza e non viola il legittimo affidamento del contribuente.

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