Come accedere alla Naspi: nuove regole

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Scopri le nuove norme 2025 per l’accesso alla Naspi e le restrizioni per chi lascia volontariamente il lavoro.

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Dal 2025, l’accesso alla Naspi ha subito importanti cambiamenti. Le novità, introdotte dalla legge di Bilancio di fine 2024, mirano a contrastare gli abusi nell’utilizzo di questo strumento di sostegno al reddito. Ma cosa significa concretamente per i lavoratori? In questo articolo, esploreremo le nuove regole su come accedere alla Naspi e vedremo come queste influenzeranno chi cerca di ottenere l’assegno di disoccupazione dopo aver perso il lavoro.

Quali sono i requisiti per accedere alla Naspi?

Per accedere alla Naspi, prima delle modifiche del 2025, era necessario che il lavoratore si trovasse in uno stato di disoccupazione involontaria, avesse subito un licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, oppure avesse dato dimissioni per giusta causa. Inoltre, doveva aver versato

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almeno 13 settimane di contributi nei quattro anni precedenti la perdita del lavoro.

Naspi: cosa cambia con la legge di Bilancio 2025?

Dal 1° gennaio 2025, cambia il requisito contributivo. Non sarà più sufficiente avere versato 13 settimane di contributi nei quattro anni precedenti. Se un lavoratore ha interrotto un precedente rapporto di lavoro per dimissioni o risoluzione consensuale nei 12 mesi antecedenti alla richiesta della Naspi, dovrà dimostrare di avere versato i contributi necessari a partire dal nuovo rapporto di lavoro.

Più precisamente, viene previsto che i lavoratori disoccupati che vogliono ottenere la NASPI, dal 1° gennaio 2025, devono poter far valere almeno tredici settimane di contribuzione dall’ultimo evento di cessazione del rapporto di lavoro a tempo indeterminato interrotto per dimissioni volontarie oppure a seguito di risoluzione consensuale.

Restano in ogni caso escluse dal campo di applicazione della predetta norma, le cessazioni del rapporto di lavoro avvenute quando ricorrono le ipotesi di cui al comma 2 dell’art. 3 del Dlgs 22/2015, ossia per dimissioni per giusta causa o per risoluzione consensuale nell’ambito delle procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (Legge 604/1966 e ss.mm.), oppure per le dimissioni rassegnate durante il periodo di maternità (art. 55 del Dlgs 151/2001).

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La nuova disposizione prevede che il requisito delle 13 settimane di contribuzione si applica a condizione che l’evento di cessazione per dimissioni (o risoluzione consensuale) sia avvenuto nei dodici mesi precedenti l’evento di cessazione involontaria per cui si richiede la prestazione NASPI.

Come influenzano queste modifiche chi trova e perde un nuovo lavoro?

Prendiamo il caso di un lavoratore che si dimette e trova un nuovo lavoro che perde poco dopo. Con la normativa precedente, avrebbe avuto diritto alla Naspi. Con le nuove regole, il diritto all’indennità dipenderà dal momento delle dimissioni o risoluzioni consensuali con il precedente datore di lavoro. Se il nuovo lavoro viene perso rapidamente, non avrà maturato il nuovo requisito contributivo specifico e non potrà accedere alla Naspi.

Proviamo a fare un esempio per capire cosa significa in concreto questa regola.

Due colleghi perdono il lavoro presso un’azienda nello stesso giorno, ma per motivi diversi: Tizio viene licenziato per giusta causa, Caio si dimette perché vuole tentare nuove strade lavorative.

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Tre mesi dopo, sia Tizio, sia Caio vengono assunti da un nuovo datore di lavoro, ma le cose non vanno per il verso giusto: entrambi vengono licenziati per mancato superamento della prova dopo 8 settimane di lavoro (due mesi).

Dopo il licenziamento, Tizio chiede e ottiene la Naspi; Caio, invece, pur essendo colpito da disoccupazione involontaria esattamente come il suo collega, non può presentare la domanda perché il suo penultimo rapporto di lavoro si era concluso con le dimissioni e quello nuovo si è concluso entro l’arco temporale dei 12 mesi e senza le 13 settimane di contribuzione presso il nuovo datore.

Una forte disparità di trattamento, che scaturisce da una finalità comprensibile: il legislatore vuole frenare le assunzioni fittizie, attuate soltanto per consentire a chi ha lasciato un lavoro dimettendosi o risolvendo consensualmente il rapporto di maturare la Naspi grazie a un licenziamento altrettanto fittizio.

Questa comprensibile finalità di prevenire gli abusi rischia, tuttavia, di travolgere le legittime aspettative di chi non è mosso da alcuna finalità fraudolenta ma, senza alcun accordo collusivo con datori fittizi, ha scelto di lasciare il vecchio posto di lavoro per tentare una nuova avventura professionale.

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Una situazione che rischia di diventare più rischiosa con l’aumento del livello professionale e di inquadramento dei lavoratori: a tali posizioni, normalmente, si applica un periodo di prova di durata maggiore, e quindi l’esposizione all’eventualità di restare senza lavoro e senza Naspi è maggiore.

E se il lavoratore viene licenziato dopo un periodo più lungo nel nuovo lavoro?

Se il lavoratore viene licenziato dopo aver lavorato sufficientemente nel nuovo impiego per soddisfare il requisito delle 13 settimane di contributi con il nuovo datore di lavoro, allora potrà accedere alla Naspi. Per esempio, se viene licenziato dopo quattro mesi e mezzo dal nuovo lavoro, avrà diritto all’indennità di disoccupazione.

Qual è il collegamento tra queste regole e le dimissioni di fatto?

La nuova normativa sulle dimissioni di fatto, contenuta nel Collegato lavoro approvato nel 2024, mira a combattere il fenomeno delle dimissioni nascoste. Questo collegamento rafforza ulteriormente le restrizioni sull’accesso alla Naspi, cercando di prevenire che i lavoratori manipolino il sistema di licenziamento per ottenere benefici economici.

Queste nuove disposizioni rappresentano un notevole inasprimento dei criteri di accesso alla Naspi e sono destinate a ridurre gli abusi. Tuttavia, è fondamentale che i lavoratori comprendano appieno le implicazioni di queste modifiche per navigare efficacemente nel loro percorso professionale post-modifica.

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