Come si fa a togliere la paternità?

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Che fare se scopri che il bambino non è tuo? Disconoscimento paternità: entro quanto tempo agire. Il padre può disconoscere il figlio nato nel matrimonio entro 1 anno (da nascita/scoperta) ma non oltre 5 anni dalla nascita.

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La scoperta che un figlio, cresciuto all’interno del nucleo familiare e legalmente riconosciuto come proprio, potrebbe non essere biologicamente tale rappresenta una delle esperienze più complesse che una persona possa affrontare. Al di là del tumulto emotivo, sorgono questioni legali di fondamentale importanza, che intrecciano il diritto di famiglia con la ricerca della verità biologica. Una domanda cruciale si impone con urgenza in queste delicate circostanze: per

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come si fa a togliere la paternità? Per effettuare il disconoscimento paternità entro quanto tempo agire?

Comprendere i limiti temporali imposti dalla legge è essenziale, poiché il diritto di contestare la paternità presunta dalla legge non è illimitato. Il legislatore italiano ha infatti stabilito delle regole precise, cercando un difficile equilibrio tra l’esigenza di far emergere la verità biologica e la necessità di garantire stabilità agli status familiari, soprattutto nell’interesse del minore.

Cosa si intende per “disconoscimento della paternità” nel matrimonio?

Nel contesto del diritto di famiglia italiano, vige una regola che vale solo per le coppie sposate:

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si presume che il marito della madre sia il padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio. Questo principio non opera per le coppie di fatto per le quali è invece necessario l’atto formale del riconoscimento, da parte del padre, per creare il rapporto di paternità.

Torniamo alle coppie unite da matrimonio. Posto che la legge presume automaticamente che il bambino è figlio del marito, come si a togliere la paternità? A tal fine è necessario esercitare la cosiddetta azione di disconoscimento.

L’azione di disconoscimento della paternità è lo strumento giuridico specifico che consente al marito (o, in certi casi, alla madre o al figlio stesso, sebbene qui ci concentriamo sulla prospettiva paterna come da testo fornito) di contestare e far cadere questa presunzione legale. In pratica, è un procedimento giudiziario volto a far accertare che, nonostante il legame matrimoniale esistente al tempo del concepimento o della nascita, l’uomo legalmente considerato padre non è in realtà il padre biologico del bambino. L’esito positivo di questa azione comporta la rimozione dello status di figlio legittimo (ora figlio nato nel matrimonio) nei confronti del marito della madre.

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La disciplina cardine per l’azione di disconoscimento della paternità si trova nell’articolo 244 del Codice Civile.

Quanto tempo ha il padre per avviare l’azione di disconoscimento?

L’articolo 244 del Codice civile prevede un termine di decadenza piuttosto breve per l’azione promossa dal padre. Nello specifico, il padre ha un anno di tempo per esercitare l’azione di disconoscimento. Questo termine annuale, però, inizia a decorrere da un momento ben preciso: il giorno della nascita del figlio. Tuttavia, questa regola si applica a condizione che il padre si trovasse, al momento della nascita, nel luogo in cui il figlio è nato.

Se invece il padre era lontano al momento della nascita, il termine annuale decorrerà dal giorno del suo ritorno o dal giorno in cui ha avuto notizia della nascita, se successivo. Questa specifica condizione mira a tener conto di eventuali assenze del padre al momento dell’evento nascita.

E se il padre scopre solo in un secondo momento di non essere il genitore biologico?

La legge prevede delle circostanze specifiche che possono far decorrere il termine annuale da un momento successivo alla nascita, proprio per tutelare il padre che fosse ignaro di elementi fondamentali al momento del concepimento o della nascita. L’articolo 244 c.c. stabilisce che se il padre fornisce la prova di aver

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ignorato la propria impotenza di generare (impotentia generandi) al tempo del concepimento, oppure di aver ignorato l’adulterio commesso dalla moglie sempre al tempo del concepimento, il termine di un anno per proporre l’azione di disconoscimento decorre dal giorno in cui egli ha avuto conoscenza di tale impotenza o dell’adulterio.

L’onere della prova di questa ignoranza pregressa e del momento della successiva scoperta grava sul padre che intende avvalersi di questa diversa decorrenza del termine. La scoperta potrebbe avvenire, ad esempio, tramite confessione della moglie, risultati di esami medici successivi o altre evidenze.

Esiste un limite temporale massimo, invalicabile, per esercitare l’azione?

Anche nel caso di successiva scoperta dell’adulterio, la legge fissa comunque un limite massimo e invalicabile per disconoscere il figlio e togliere la paternità. Ed è questo il punto forse più critico e potenzialmente doloroso per chi scopre la verità tardivamente. L’azione di disconoscimento da parte del padre

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non può in ogni caso essere proposta una volta che siano trascorsi cinque anni dal giorno della nascita del figlio.

Questo significa che, anche se il padre dovesse scoprire la propria impotenza o l’adulterio della moglie dopo che sono già passati cinque anni dalla nascita del bambino, non potrà più agire in giudizio per il disconoscimento. Il termine quinquennale prevale sulla regola della decorrenza dalla scoperta.

Questa previsione mira a cristallizzare lo status del figlio dopo un certo periodo, ritenuto congruo dal legislatore, per dare certezza ai rapporti familiari, soprattutto nell’interesse del minore.

Quindi, cosa succede concretamente se un uomo scopre, ad esempio tramite un test del DNA, di non essere il padre dopo sei anni dalla nascita del figlio? In base alla normativa vigente descritta, se la scoperta della non paternità avviene dopo che sono trascorsi cinque anni dalla nascita del figlio, l’uomo si trova nella spiacevole situazione di non poter più esercitare l’azione di disconoscimento

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. Il termine massimo di decadenza previsto dalla legge è infatti spirato. Di conseguenza, nonostante l’eventuale prova biologica contraria, egli continuerà ad essere considerato a tutti gli effetti di legge il padre del figlio, con tutti i diritti e i doveri che ne conseguono (mantenimento, istruzione, educazione, diritti successori, ecc.). La certezza dello status giuridico del figlio prevale, dopo il quinquennio, sulla verità biologica per quanto concerne l’azione di disconoscimento paterno.

Conseguenze della decadenza dall’azione di disconoscimento della paternità

A questo punto, il presunto (ma non effettivo) padre del bambino che sia decaduto dalla possibilità di disconoscere la paternità si chiederà: «Sono costretto a mantenere un figlio che non è mio? Gli devo lasciare la mia eredità?». La riposta, in entrambi i casi, è positiva. Difatti, anche se tra i due soggetti non c’è alcun legame biologico, la legge opera una “finzione”: sicché il bambino si ritiene come se fosse effettivo figlio del marito (tradito). Quest’ultimo avrà quindi

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tutti gli obblighi di un padre naturale: assistenza e mantenimento fino all’indipendenza economica del giovane e obbligo di riconoscergli la quota di legittima al momento della propria successione.

Cosa dice la giurisprudenza sul disconoscimento della paternità?

Il Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 1335/2018, ha affermato che l’azione di disconoscimento è soggetta al termine di decadenza di un anno (decorrente dagli eventi specifici previsti dalla legge, come la nascita o la scoperta qualificata) ma, in ogni caso, incontra il limite insuperabile del termine massimo di cinque anni dalla nascita del figlio.

Analogamente, il Tribunale di Salerno, con la sentenza n. 403/2020, ha ribadito in modo netto che l’azione non può essere intrapresa qualora siano trascorsi più di cinque anni dalla nascita. Queste pronunce dimostrano come i giudici applichino la normativa in modo conforme al dettato legislativo per quanto riguarda i termini per l’azione di disconoscimento paterno nel matrimonio.

Una sentenza importante della

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Corte Costituzionale, la n. 133 del 30 giugno 2021 ha effettivamente inciso sui termini di decadenza in materia di filiazione, ma è fondamentale capire il suo ambito di applicazione specifico. La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 263, terzo comma, del Codice Civile, nella parte in cui non prevedeva che il termine annuale per l’impugnazione del riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio decorresse dal giorno della scoperta della non veridicità del riconoscimento stesso (cioè dalla scoperta che il figlio riconosciuto non è biologicamente proprio). Tuttavia, come correttamente evidenziato nella risposta originale, questa pronuncia riguarda l’istituto dell’impugnazione del riconoscimento (relativo ai figli nati fuori dal matrimonio e volontariamente riconosciuti) e non interviene direttamente sull’articolo 244 c.c., che disciplina specificamente il disconoscimento della paternità del figlio nato nel matrimonio. Pertanto, sulla base delle informazioni fornite, i termini rigidi (1 anno / 5 anni massimo dalla nascita) per il disconoscimento paterno nel matrimonio rimangono quelli stabiliti dall’art. 244 c.c.

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