Testamento valido anche con monosillabi o gesti?

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Testamento pubblico davanti al notaio: è valido se il testatore, lucido ma con gravi limiti motori, si esprime a monosillabi o gesti? Sì, se è l’unico modo e la volontà è chiara. Lo conferma la Cassazione.

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Il testamento pubblico, redatto da un notaio alla presenza di testimoni, rappresenta una delle forme più solenni e sicure per disporre dei propri beni dopo la morte. La sua validità è legata al rispetto di precise formalità e, soprattutto, alla chiara manifestazione della volontà del testatore. Ma cosa accade quando quest’ultimo si trova in condizioni fisiche tali da impedirgli di esprimersi verbalmente in modo compiuto o di compiere gesti complessi, pur conservando piene facoltà mentali? Una grave invalidità motoria può compromettere la validità dell’atto? Ci si chiede, in particolare, se un

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testamento è valido anche con monosillabi o gesti.

La Corte di Cassazione (ordinanza (n. 9534 del 15 aprile 2025) ha risposto a tale interrogativo. Nel caso di specie, i giudici hanno affrontato il caso di un uomo con gravi deficit motori ma pienamente capace di intendere e di volere. Vediamo nel dettaglio i principi affermati.

Quali sono i requisiti fondamentali per la validità di un testamento pubblico?

Chi non può scrivere non può fare il testamento olografo. Quest’ultimo infatti presuppone una scrittura a mano e la firma del testatore. Può però ricorrere al notaio e fare un testamento pubblico. Il testatore deve dichiarare personalmente la propria volontà direttamente al notaio ed alla presenza contemporanea di due testimoni idonei.

Il notaio ha il compito di tradurre in forma scritta la volontà dichiarata dal testatore, curando la redazione della cosiddetta “scheda testamentaria”.

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Una volta redatto l’atto, il notaio deve darne lettura integrale al testatore, sempre in presenza dei testimoni. Questo serve a garantire che il contenuto scritto corrisponda esattamente alla volontà espressa.

All’interno del documento testamentario, il notaio deve fare espressa menzione del fatto che tutte queste formalità richieste dalla legge sono state puntualmente osservate. Il mancato rispetto di queste formalità può portare all’invalidità del testamento.

La dichiarazione della volontà e la scrittura del testamento da parte del notaio devono avvenire nello stesso momento e luogo?

La Corte di Cassazione, nella decisione in commento, chiarisce che le operazioni di ricezione della volontà del testatore da parte del notaio e la successiva redazione materiale della scheda testamentaria possono svolgersi in luoghi e momenti diversi. Ad esempio, è possibile che il notaio raccolga le disposizioni di ultima volontà del de cuius in un primo momento e provveda poi, nel suo studio e anche in assenza del testatore e dei testimoni, alla stesura formale e completa dell’atto. Pertanto

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il notaio può preparare il testamento in anticipo rispetto alla lettura finale, sulla base delle volontà raccolte in un momento anteriore. Ciò però solo a una condizione: prima che il notaio proceda alla lettura formale della scheda preparata, il testatore deve manifestare nuovamente la propria volontà (o deve confermare quella già espressa) in presenza dei testimoni. Questo passaggio è fondamentale perché assicura che il contenuto dell’atto, così come redatto dal notaio, rispecchi fedelmente la volontà attuale e definitiva del testatore, volontà che viene così formalmente confermata davanti ai testimoni prima della lettura finale dell’atto.

Che succede se il testatore non può muoversi?

Cosa succede se il testatore, pur essendo mentalmente lucido, soffre di gravi difficoltà motorie che gli impediscono di parlare in modo articolato o di scrivere normalmente? Questa è la situazione affrontata dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza in commento. Si tratta di casi in cui una persona, a causa di patologie neurologiche, traumi o altre gravi invalidità, potrebbe essere impossibilitata a

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formulare frasi complete, ad apporre una firma leggibile o a compiere gesti complessi. La questione giuridica che si pone è se, in queste circostanze, modalità di espressione estremamente ridotte, come l’uso di monosillabi (ad esempio “sì” o “no”) o semplici gesti della testa (come cenni di assenso o dissenso), possano essere considerate sufficienti per manifestare validamente la volontà testamentaria in un atto solenne come il testamento pubblico, che richiede una dichiarazione di volontà al notaio. Secondo la Cassazione la risposta è affermativa: «La circostanza che il de cuius si fosse espresso a monosillabi o con gesti espressivi del capo non inficiava, nello specifico, la validità del testamento, essendo tali modalità le uniche coerenti con le sue condizioni di salute», purché ciò avvenga in un contesto che ne garantisca la genuinità e l’intelligibilità.

Perché queste modalità espressive semplificate possano validamente sostituire una dichiarazione verbale più articolata, devono essere soddisfatte le seguenti condizioni essenziali:

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  1. è assolutamente necessario che il testatore sia nel pieno possesso delle sue facoltà mentali al momento della manifestazione della volontà: deve cioè essere capace di intendere e volere. L’impedimento deve essere di natura fisica/motoria e non deve incidere sulla capacità di comprendere il significato dell’atto e di decidere liberamente;
  2. l’uso di monosillabi o gesti deve rappresentare l’unica modalità espressiva possibile o, quantomeno, quella più coerente e adeguata data la specifica condizione di salute e il grave deficit motorio del testatore;
  3. nonostante la forma ridotta, la volontà espressa tramite monosillabi o gesti deve risultare chiara, comprensibile e inequivocabile nel contesto specifico. Deve essere possibile, per il notaio e i testimoni presenti, interpretare senza ombra di dubbio il significato dei monosillabi o dei gesti (ad esempio, un cenno affermativo del capo come risposta a una domanda diretta del notaio sull’approvazione del contenuto letto);
  4. deve essere possibile accertare la genuinità e la pienezza dell’espressione di volontà. Nel caso specifico, i giudici di merito avevano riscontrato in concreto queste caratteristiche, con una motivazione ritenuta esente da vizi dalla Cassazione.

Naturalmente, devono essere scrupolosamente rispettate tutte le altre formalità previste dall’articolo 603 del Codice Civile per il testamento pubblico (dichiarazione/conferma della volontà e lettura dell’atto alla presenza dei testimoni, redazione scritta da parte del notaio, menzione esplicita del rispetto delle formalità nella scheda testamentaria).

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Come viene accertata la capacità di intendere e di volere del testatore in casi così complessi e potenzialmente dubbi?

La valutazione della capacità mentale del testatore è un aspetto fondamentale e viene condotta con particolare attenzione. Nel caso specifico deciso dalla Cassazione, la Corte d’Appello di Genova, la cui decisione è stata poi confermata, aveva basato il proprio convincimento sulla piena capacità del testatore su una serie di elementi convergenti:

  • le risultanze di un precedente giudizio civile riguardante lo stesso soggetto, che si era concluso non con una pronuncia di interdizione (che presuppone un’infermità mentale abituale e grave tale da rendere la persona incapace di provvedere ai propri interessi), ma con una di inabilitazione. L’inabilitazione viene disposta in casi di infermità meno grave o per altre condizioni (prodigalità, abuso di alcol/stupefacenti, sordomutismo/cecità non educati) e presuppone che la persona conservi un certo grado di capacità;
  • gli esiti di un esame diretto della persona condotto sia dal Consulente Tecnico d’Ufficio (CTU), ossia l’esperto nominato dal giudice per fornire valutazioni tecniche, sia dai medici curanti del testatore.

Tutti questi elementi avevano portato i giudici di merito a concludere che l’incapacità del defunto fosse “prevalentemente motoria” e non incidesse sulla sua capacità di intendere e di volere, tanto che egli era “apparso in possesso della facoltà mentali”.

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