Premi produzione: come sfruttare detassazione e welfare?

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Premi di produzione: fino a 3.000 euro con tassazione agevolata al 5% oppure convertibili in welfare aziendale completamente esente da imposte, se previsto da un accordo collettivo.

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I premi di produzione o di risultato, legati al raggiungimento di obiettivi aziendali o individuali, rappresentano una componente sempre più diffusa della retribuzione dei lavoratori dipendenti del settore privato. Sono un incentivo importante, un riconoscimento tangibile dell’impegno profuso. Ma come vengono trattati dal punto di vista fiscale? Finiscono per essere tassati come il normale stipendio, riducendone l’importo netto? Fortunatamente, negli ultimi anni, il legislatore ha introdotto e potenziato meccanismi volti ad alleggerire il carico fiscale su queste somme, con l’obiettivo di incentivare la produttività e, al contempo, promuovere forme di benessere per i lavoratori. Vediamo allora per i

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premi di produzione, come sfruttare la detassazione e il welfare aziendale. Le strade principali sono due: un’imposta sostitutiva agevolata oppure la conversione del premio in una vasta gamma di beni e servizi di welfare, spesso completamente esentasse e decontribuiti. Esploriamo nel dettaglio queste opportunità.

Tassazione agevolata e welfare aziendale: come funzionano i premi di produzione?

I premi di produzione o di risultato sono, di regola, tassati come il normale stipendio (con IRPEF e contributi). Il principio cardine del nostro sistema fiscale (art. 51 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR) è quello dell’onnicomprensività: tutte le somme e i valori percepiti dal dipendente in relazione al rapporto di lavoro costituiscono reddito imponibile, sia ai fini fiscali (IRPEF e addizionali) sia contributivi (INPS).

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Tuttavia, la legge riconosce alcune eccezioni per i premi di risultato legati a obiettivi specifici come l’aumento della produttività, della redditività, della qualità, dell’efficienza e dell’innovazione. In questi casi, sono previsti due regimi fiscali e contributivi di favore alternativi alla tassazione ordinaria, purché ricorrano determinati requisiti.

Ma vediamo ora cos’è e come funziona la “detassazione” dei premi di risultato con imposta sostitutiva.

La prima opzione per alleggerire il carico fiscale sui premi di risultato è la detassazione. Introdotta dalla Legge di Stabilità 2016 (L. 208/2015) e regolamentata dal DM 25 marzo 2016, consente di applicare un’imposta sostitutiva più bassa rispetto all’IRPEF ordinaria, a specifiche condizioni.

In particolare:

  • le somme corrisposte ai dipendenti a titolo di premio di risultato devono avere un ammontare variabile e la loro erogazione deve essere legata a incrementi misurabili e verificabili di produttività, redditività, qualità, efficienza e innovazione;
  • sono soggette a un’imposta sostitutiva dell’IRPEF e delle addizionali regionali/comunali, molto più bassa dell’aliquota marginale IRPEF del dipendente;
  • per il triennio 2025-2027, l’aliquota dell’imposta sostitutiva è stata ulteriormente ridotta al 5% (rispetto al precedente 10%);
  • questa tassazione agevolata si applica fino a un importo massimo di premio pari a 3.000 euro lordi annui per dipendente. L’eventuale eccedenza oltre i 3.000 euro viene, invece, tassata con le aliquote IRPEF ordinarie.

Per poter beneficiare dell

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‘imposta sostitutiva al 5% sul premio, è necessario che siano soddisfatti i seguenti requisiti:

  • deve trattarsi di un datore di lavoro privato (le pubbliche amministrazioni sono escluse);
  • il lavoratore deve essere un dipendente del settore privato con un reddito da lavoro dipendente, nell’anno precedente a quello di percezione del premio, non superiore a 80.000 euro;
  • il premio deve essere erogato in esecuzione di contratti collettivi aziendali o territoriali stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale o dalle loro rappresentanze sindacali aziendali (RSA o RSU). Non sono ammessi premi previsti unilateralmente dal datore o da regolamenti aziendali non recepiti in accordi sindacali;
  • l’accordo collettivo deve prevedere criteri oggettivi, misurabili e verificabili che colleghino il premio a reali incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza o innovazione rispetto a un periodo precedente definito (cosiddetto “periodo congruo”). Non basta un premio fisso o legato a indicatori non verificabili o non incrementali (cfr. Risoluzione AdE 78/2018);
  • il contratto collettivo deve essere depositato telematicamente presso l’Ispettorato Territoriale del Lavoro competente entro 30 giorni dalla sua sottoscrizione, accompagnato da una dichiarazione di conformità.

Per quanto riguarda la seconda opzione prevista per

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ridurre il carico fiscale sui premi di risultato, il lavoratore può chiedere all’azienda di dargli il valore del premio sotto forma di “welfare aziendale”, in alternativa alla tassazione agevolata del 5%. La stessa normativa che prevede la detassazione (L. 208/2015 e DM 25/03/2016) consente, quindi, al dipendente di scegliere (se l’accordo collettivo lo prevede espressamente) di “convertire” il premio di risultato (quello che avrebbe potuto ricevere in denaro con tassazione al 5%) in beni e servizi di welfare.

Il vantaggio principale di tale conversione è che le somme del premio trasformate in welfare diventano, nella maggior parte dei casi, totalmente esenti sia da tassazione IRPEF (e imposta sostitutiva) sia da contribuzione INPS a carico del dipendente. In pratica, il valore lordo del premio si traduce quasi interamente in valore netto di beni o servizi fruibili dal lavoratore e, spesso, dai suoi familiari.

Il trattamento fiscale e contributivo del valore convertito segue le regole specifiche previste dall’articolo 51 del TUIR per la tipologia di bene o servizio scelto come welfare. Poiché molti dei servizi welfare più comuni godono di un regime di totale esenzione se offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie omogenee (condizione solitamente soddisfatta se l’opzione deriva da un accordo collettivo), la conversione risulta spesso a “tassazione zero”.

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Facciamo un esempio pratico:

  • premio di 1.000 euro in busta paga (con imposta sostitutiva 5%): il netto percepito dal lavoratore sarà circa 950 euro (al lordo di eventuali contributi specifici a carico dipendente se dovuti sui premi);
  • premio di 1.000 euro convertito in welfare (es. rimborso spese istruzione figli): il dipendente riceve un valore netto di 1.000 euro spendibile per quel servizio, senza alcuna trattenuta fiscale o contributiva su quella somma;
  • vantaggio per l’azienda: anch’essa ne beneficia, poiché l’importo del premio convertito in welfare resta interamente deducibile dal reddito d’impresa e, a seconda del tipo di benefit, può essere esente da contribuzione INPS anche per il datore di lavoro.

I principali tipi di beni o servizi di welfare in cui il dipendente può convertire il proprio premio di risultato sono numerosi. In genere, queste opzioni vengono definite nell’accordo collettivo e nella piattaforma welfare eventualmente messa a disposizione dall’azienda. Le categorie principali, disciplinate dall’art. 51 del TUIR, includono:

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  • fringe benefit: beni e servizi di valore limitato;
  • servizi di utilità sociale: con finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria;
  • assistenza ai familiari: servizi di cura per anziani o non autosufficienti;
  • trasporto pubblico: rimborso abbonamenti;
  • previdenza complementare e assistenza sanitaria integrativa: versamenti a fondi pensione o casse sanitarie;
  • altri: buoni pasto, azioni aziendali, auto ad uso promiscuo, ecc.

Come funzionano i “fringe benefit” e quali sono le novità e i limiti per il 2025-2027?

I fringe benefit sono beni e servizi di importo relativamente contenuto che godono di un regime di esenzione fiscale e contributiva fino a una certa soglia annua (art. 51, comma 3, TUIR). La Legge di Bilancio 2025 ha confermato per il triennio 2025-2027 le seguenti soglie potenziate rispetto al passato:

  • 1.000 euro annui per ciascun dipendente;
  • 2.000 euro annui per i lavoratori con figli fiscalmente a carico (in questo caso è necessario presentare una dichiarazione al datore con i codici fiscali dei figli).

Nei fringe benefit rientrano non solo i classici buoni spesa o regali aziendali, ma anche le somme erogate o rimborsate dal datore per il pagamento di:

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  • utenze domestiche (acqua, luce, gas);
  • spese per l’affitto della prima casa;
  • interessi passivi sul mutuo relativo alla prima casa.

Attenzione, però, al cosiddetto “effetto scogliera”: è fondamentale non superare la soglia applicabile (€1.000 o €2.000). Se il valore totale dei fringe benefit ricevuti nell’anno supera anche di poco il limite, l’intero importo diventa imponibile fiscalmente e contributivamente, non solo l’eccedenza. Per i rimborsi utenze/affitto/mutuo, il datore deve acquisire documentazione giustificativa o una dichiarazione sostitutiva del lavoratore.

Quanto poi ai “servizi di utilità sociale” (istruzione, assistenza, ricreazione), questa categoria – disciplinata dall’art. 51, comma 2, lettere f, f-bis, f-ter, f-quater del TUIR – è piuttosto ampia e, in genere, non prevede un limite di importo annuo per l’esenzione, a condizione che i servizi siano offerti a tutti i dipendenti o a categorie omogenee. Questo requisito, nella pratica, è solitamente soddisfatto quando la conversione del premio in welfare è prevista da un accordo collettivo.

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I benefit aziendali non possono essere concessi “ad personam”, ossia destinati a un singolo lavoratore in modo discrezionale. Devono invece essere erogati sotto forma di servizi – direttamente, tramite convenzioni o attraverso voucher – e non come rimborsi in denaro, salvo specifiche eccezioni previste per le spese di istruzione e assistenza. Vediamo alcuni esempi pratici:

  • istruzione e formazione: rientrano le rette per asilo nido, scuole (materne, primarie, secondarie, università), tasse scolastiche, libri di testo, centri estivi e invernali, ludoteche, servizi di baby-sitting, borse di studio per i figli e anche gite didattiche;
  • attività ricreative: sono compresi abbonamenti a palestre, piscine, corsi sportivi o culturali, biglietti per cinema e teatri, e pacchetti viaggio;
  • assistenza sociale e sanitaria: includono contributi a casse sanitarie integrative, prestazioni e servizi di assistenza per familiari anziani o non autosufficienti. Attenzione: la Legge di Bilancio 2025 ha ristretto la definizione di “familiari” per i quali si possono ricevere servizi di assistenza esenti: ora sono compresi solo gli ascendenti (genitori, nonni, ecc.). Sono stati esclusi altri familiari (fratelli/sorelle, suoceri, generi/nuore) che prima potevano rientrarvi secondo l’art. 433 c.c. Inoltre, il familiare deve essere fiscalmente a carico, a meno che non sia anziano (oltre 75 anni) o non autosufficiente;
  • trasporto pubblico: rientrano gli abbonamenti per il trasporto locale, regionale e interregionale, anche per i familiari a carico;
  • previdenza complementare: sono agevolati i versamenti ai fondi pensione, sia negoziali che individuali.

I premi di risultato, se idonei alla detassazione con imposta sostitutiva (cioè previsti da accordo collettivo e legati a incrementi misurabili ex L. 208/15), possono essere convertiti in welfare esentasse su scelta del lavoratore, se l’accordo lo prevede. Tuttavia, l’Agenzia delle Entrate (con la Risposta a interpello 77 del 20 marzo 2025) sembra aver posto dei

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paletti interpretativi in alcuni casi specifici. La conversione potrebbe non essere ammessa se il sistema premiante aziendale ha la mera finalità di incentivare la performance (individuale o collettiva) anziché quella di “fidelizzazione” del dipendente, o se non rispetta pienamente i criteri di incrementalità della L. 208/15.

Ne segue che, per avere la certezza della piena esenzione nella conversione, il premio “di partenza” debba essere un vero premio di risultato detassabile ai sensi della L. 208/15. Se si tratta di altri tipi di bonus variabili (MBO, incentivi individuali puri non legati a obiettivi collettivi incrementali), la loro conversione diretta in welfare potrebbe essere considerata elusiva o imponibile secondo le regole ordinarie. È un’area che richiede attenzione alla struttura specifica del piano premi e welfare aziendale e alle ultime interpretazioni dell’Agenzia.

Ma l’azienda può offrire piani di welfare ai dipendenti anche a prescindere dalla conversione dei premi di risultato? Molte aziende implementano i piani di welfare aziendale con un budget dedicato, finanziato direttamente dall’

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azienda e non collegato alla conversione di premi di risultato. Tali piani possono essere istituiti tramite il regolamento aziendale o un accordo sindacale. Anche in questo caso, i beni e servizi erogati seguono le regole di esenzione fiscale e contributiva dell’articolo 51 del TUIR.

L’Agenzia delle Entrate (Risoluzione 55/E/2020) ha chiarito che offrire welfare a titolo “premiale” per il raggiungimento di obiettivi aziendali generali (es. un “bonus welfare” a tutti se l’azienda raggiunge un certo fatturato) è compatibile con l’esenzione, perché prevale l’aspetto di fidelizzazione e benessere collettivo. Diventa invece problematico (rischio di tassazione) se il welfare viene distribuito in modo strettamente correlato alla performance lavorativa individuale, apparendo come una forma mascherata di retribuzione variabile individuale.

Conclusione

I premi di produzione rappresentano un’importante leva motivazionale e retributiva nel settore privato. Grazie alla normativa degli ultimi anni, esistono strumenti concreti per alleggerirne significativamente il carico fiscale e contributivo, a beneficio sia delle aziende che dei lavoratori. La via maestra è quella dei premi di risultato legati a incrementi misurabili, previsti da accordi collettivi, che possono godere dell’imposta sostitutiva agevolata (attualmente al 5%) o, opzione spesso ancora più vantaggiosa, essere convertiti dal lavoratore in un ampio paniere di beni e servizi di welfare totalmente esenti. Dai fringe benefit (con soglie potenziate ma da monitorare attentamente) ai servizi di utilità sociale (istruzione, assistenza, ricreazione, trasporto), fino ai versamenti per la previdenza e la sanità integrative, le possibilità sono numerose. È fondamentale, però, che queste opzioni siano previste da accordi collettivi validi, che i criteri siano rispettati e che si presti attenzione alle regole specifiche per ogni tipo di benefit (es. limiti fringe benefit, categorie di familiari per assistenza) e alle interpretazioni dell’Agenzia delle Entrate sulla natura dei premi convertibili. Una corretta pianificazione e comunicazione aziendale su queste opportunità può trasformare una parte della retribuzione variabile in un concreto strumento di benessere e risparmio fiscale per i dipendenti.

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