Diritto abitazione coniuge superstite: su quale casa?

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Coniuge superstite ha diritto di abitazione (art. 540 cc) solo sulla casa usata come ‘residenza familiare’ prima del decesso, non su più immobili.

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La scomparsa del proprio coniuge o partner è un evento che sconvolge la vita, portando con sé non solo dolore ma anche incertezze pratiche, prima fra tutte quella relativa all’abitazione in cui si è condivisa la vita insieme. Potrò continuare a vivere qui? Cosa succede se la casa era interamente di proprietà del defunto o se ci sono altri eredi come i figli? A tutela della stabilità abitativa e del legame affettivo con l’ambiente domestico, la legge italiana riconosce al coniuge superstite un diritto importante: il diritto di abitazione sulla casa familiare

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, sancito dall’articolo 540, secondo comma, del Codice Civile. Ma questa tutela si estende a qualsiasi immobile di proprietà del defunto o ha dei confini precisi? Il diritto di abitazione del coniuge superstite, su quale casa spetta esattamente? La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha delineato con chiarezza i limiti di questo diritto, ancorandolo saldamente al concetto di “residenza familiare” effettiva.

Cos’è il “diritto di abitazione” del coniuge superstite?

Il cosiddetto “diritto di abitazione del coniuge superstite” è un diritto che la legge riserva automaticamente al coniuge superstite alla morte dell’altro. Esso consiste nel diritto di

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continuare ad abitare nella casa che era adibita a residenza della famiglia e di usare i mobili che la corredano (letti, tavoli, sedie, elettrodomestici, ecc.).

Scopo di tale diritto è garantire al coniuge rimasto la sicurezza abitativa e la possibilità di mantenere l’ambiente di vita familiare anche dopo la scomparsa del partner, proteggendolo dal rischio di essere allontanato dall’abitazione, specialmente se la proprietà passa (in tutto o in parte) ad altri eredi (come i figli).

Si tratta di un diritto reale, che grava sull’immobile e può essere fatto valere nei confronti di tutti (erga omnes), inclusi gli altri coeredi che diventano nudi proprietari.

A chi spetta il diritto di abitazione?

I soggetti che beneficiano del diritto di abitazione sono:

  • il coniuge superstite legalmente sposato al momento del decesso. Il diritto spetta anche al coniuge separato legalmente, purché la separazione non gli sia stata “addebitata” (cioè non sia stato dichiarato responsabile della fine del matrimonio per sua colpa). Non spetta, invece, al coniuge divorziato;
  • la parte superstite di un’unione civile. La Legge Cirinnà (L. 76/2016) ha esteso i diritti previsti dall’art. 540 c.c. anche ai partner delle unioni civili;

Attenzione

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: il diritto di abitazione ex art. 540 c.c. non spetta, invece, al convivente di fatto superstite (“more uxorio”). La legge riconosce al convivente superstite solo il diritto a continuare ad abitare nella casa comune per un periodo pari alla convivenza ma comunque non inferiore a 2 anni e non superiore a 5 anni. Egli inoltre ha il diritto a subentrare nel contratto di locazione, ma non il diritto reale di abitazione vitalizio sulla casa di proprietà del partner defunto previsto dall’art. 540 c.c.

Su quale immobile si esercita il diritto di abitazione?

Come chiarito ripetutamente dalla Cassazione (cfr. sentenze 7128/23, 1444/23, 12042/20, 4088/12), il diritto di abitazione e uso ex art. 540 c.c. ha ad oggetto soltanto ed esclusivamente l’immobile che, al momento della morte del de cuius (la persona deceduta), era effettivamente adibito a “residenza familiare”. Non spetta quindi su tutti gli immobili del defunto.

Ma cosa significa esattamente “casa adibita a residenza familiare”? Basta avere la residenza anagrafica lì? No, la residenza anagrafica è un indizio, ma non è sufficiente né sempre necessaria. La “residenza familiare” è un

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concetto di fatto, che identifica:

  • il luogo principale in cui la coppia (e l’eventuale nucleo familiare con i figli) viveva insieme stabilmente prima del decesso;
  • il centro di aggregazione abituale degli affetti, degli interessi e delle consuetudini di vita della famiglia;
  • l’immobile concretamente utilizzato per soddisfare le esigenze abitative primarie del nucleo.

È quindi il luogo della dimora abituale della famiglia, non necessariamente l’unico immobile di proprietà, né necessariamente quello di residenza anagrafica formale se la vita familiare si svolgeva prevalentemente altrove. La valutazione si basa sulla situazione di fatto esistente prima della morte.

Se durante il matrimonio utilizzavamo sia un appartamento in città che una casa al mare/montagna, ho diritto di abitazione su entrambe?

Il diritto di abitazione ex art. 540 c.c. può riguardare una sola abitazione. Anche se la famiglia aveva la disponibilità e utilizzava più immobili (es. casa principale e casa per le vacanze), il diritto sorge soltanto su quello che costituiva la sede prevalente e abituale della vita familiare

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. Non si può avere un diritto di abitazione “alternativo” o multiplo. Sarà il giudice, in caso di contestazione, a individuare quale fosse l’effettiva residenza familiare principale sulla base delle abitudini di vita della coppia prima del decesso. (Cfr. Cass. 7128/23).

E se il defunto era proprietario dell’intero edificio, ma la famiglia viveva solo in un appartamento, mentre un altro appartamento nello stesso stabile era affittato o usato come ufficio? Il diritto si estende a tutto l’edificio? No. Il diritto di abitazione è limitato all’immobile concretamente utilizzato come residenza familiare. Non può estendersi ad altre unità immobiliari autonome e distinte, anche se situate nello stesso fabbricato e di proprietà del defunto, se queste non erano parte integrante dell’abitazione familiare (es. un appartamento affittato a terzi, un negozio al piano terra, un ufficio separato). Il diritto copre la casa dove si svolgeva la vita domestica e le sue eventuali pertinenze dirette (es. garage, cantina usati dalla famiglia), ma non altre unità indipendenti. (Cfr. Cass. 12042/20, 4088/12).

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Quanto dura il diritto di abitazione del coniuge superstite? Può essere limitato nel tempo?

Il diritto di abitazione ex art. 540 c.c. è vitalizio. Dura per tutta la vita del coniuge superstite, a meno che questi non vi rinunci espressamente o il diritto non si estingua per altre cause legali (es. prescrizione per non uso ventennale, consolidazione con la nuda proprietà). Non può essere limitato nel tempo dagli altri eredi né da disposizioni testamentarie del defunto (in quanto diritto riservato per legge).

Che diritti rimangono agli altri eredi (ad esempio i figli) sulla casa gravata dal diritto di abitazione? Possono venderla? Possono mandare via il coniuge superstite?

Gli altri eredi (tipicamente i figli) che ereditano la proprietà dell’immobile insieme al coniuge superstite (o anche l’intera proprietà, se il coniuge eredita solo il diritto di abitazione) acquisiscono la “nuda proprietà” sulla porzione di immobile (o sull’intero) gravata dal diritto di abitazione. Questo significa che:

  • ne sono i proprietari “sulla carta”, ma il loro diritto è “spogliato” del potere di godimento diretto;
  • non possono utilizzare l’immobile né abitarlo finché dura il diritto di abitazione del coniuge superstite;
  • non possono affittarlo a terzi;
  • non possono mandare via il coniuge superstite, il cui diritto prevale;
  • possono vendere la loro quota di nuda proprietà, ma l’acquirente acquisterà un bene ugualmente gravato dal diritto di abitazione, che potrà godere pienamente solo alla morte del coniuge superstite;
  • devono sostenere le spese per le riparazioni straordinarie dell’immobile (art. 1005 c.c.).

Come accennato dalla Cassazione (sent. 1444/23), il valore capitale del diritto di abitazione (calcolato in base all’età del coniuge superstite) viene considerato un “legato ex lege” (un lascito automatico per legge) e il suo valore viene detratto dal valore complessivo dell’asse ereditario prima di calcolare le quote spettanti ai vari eredi (inclusa la quota di proprietà spettante allo stesso coniuge superstite). Questo può incidere sulla composizione delle quote ereditarie finali.

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