Retta casa di cura per Alzheimer: paga la famiglia o il SSN?

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Retta casa cura per malati gravi di Alzheimer: grava interamente sul SSN se cure sanitarie prevalenti e inscindibili da assistenza (Cass. 13714/23).

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Assistere un familiare affetto da una malattia degenerativa grave come l’Alzheimer, specialmente nelle fasi avanzate, è un compito estremamente gravoso, emotivamente e fisicamente. Spesso, per garantire cure adeguate e continue che a domicilio diventano impossibili, il ricovero in una struttura residenziale specializzata (casa di cura, Residenza Sanitaria Assistenziale – RSA) diventa una scelta necessaria, seppur sofferta. Ma questa necessità si scontra quasi sempre con un ostacolo enorme: i costi elevatissimi delle rette mensili. Sorge quindi spontanea e angosciante la domanda: la

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retta della casa di cura per un malato di Alzheimer la paga la famiglia o il Servizio Sanitario Nazionale (SSN)? È legittimo che venga richiesta ai familiari un’integrazione economica, a volte molto consistente, per coprire le prestazioni cosiddette “alberghiere” o “assistenziali”, separandole da quelle puramente “sanitarie”? La Corte de Cassazione, con un’importante ordinanza (la n. 13714 del 2023), ha fornito una risposta chiara, sottolineando che in presenza di determinate condizioni legate alla gravità della patologia e all’inscindibilità delle cure, l’intero onere grava sul SSN.

Chi paga le spese per il ricovero in una casa di cura o RSA?

La teoria generale (e la prassi spesso applicata dalle strutture e dalle ASL) distingue due componenti della retta giornaliera:

  1. quota sanitaria: relativa alle prestazioni mediche, infermieristiche, riabilitative strettamente sanitarie. Questa quota è sempre a carico del Servizio Sanitario Nazionale (erogata tramite l’ASL di competenza);
  2. quota alberghiera (o socio-assistenziale): relativa ai costi di vitto, alloggio, pulizia, lavanderia e all’assistenza tutelare di base (aiuto per mangiare, lavarsi, vestirsi, se non strettamente connessa a esigenze sanitarie). Questa quota, in linea generale, può essere posta a carico dell’ospite (se ha mezzi propri) o, in sua mancanza, dei suoi familiari (se obbligati per legge agli alimenti) o del Comune di residenza (servizi sociali);

Questa netta separazione tra “sanitario” e “alberghiero/assistenziale” diventa

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difficile e spesso illegittima nel caso di pazienti affetti da patologie gravi e croniche che comportano una perdita totale di autosufficienza, come l’Alzheimer avanzato.

Ma perché per i malati di Alzheimer grave questa distinzione tra quota sanitaria e quota alberghiera/assistenziale spesso non è corretta? Il punto chiave, riconosciuto dalla giurisprudenza consolidata, è l’inscindibilità delle prestazioni per questi pazienti. Nelle fasi avanzate dell’Alzheimer (e di altre demenze o malattie neurodegenerative gravi), l’assistenza continua per le attività quotidiane fondamentali (alimentazione, igiene personale, mobilizzazione, gestione dei disturbi comportamentali, sorveglianza per prevenire cadute o allontanamenti) non è più un mero servizio alberghiero o sociale, ma diventa parte integrante e indispensabile del piano di cura sanitario;

Queste attività assistenziali sono finalizzate a gestire i sintomi della malattia, a prevenire complicanze mediche (piaghe da decubito, malnutrizione, disidratazione, polmoniti ab ingestis, traumi da caduta), a contenere comportamenti pericolosi per sé o per altri (agitazione, aggressività, wandering). Sono quindi

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strettamente correlate e inscindibili dalle prestazioni sanitarie vere e proprie;

In questi quadri clinici complessi, le esigenze di natura sanitaria(monitoraggio continuo, gestione farmacologica, interventi infermieristici, prevenzione complicanze) sono nettamente prevalenti rispetto a quelle puramente alberghiere. L’intero ricovero è finalizzato alla “tutela della salute” nel senso più ampio.

Cosa dice la giurisprudenza della Cassazione?

La Corte di Cassazione (ordinanza n. 13714/2023), confermando un orientamento ormai consolidato (che si rifà anche a precedenti pronunce importanti come Cass. Sezioni Unite n. 4558/2012), ha ribadito che, quando la condizione del paziente (affetto da Alzheimer o patologie simili) richiede un trattamento terapeutico personalizzato che, per sua natura, non può essere somministrato se non congiuntamente alla prestazione assistenziale continuativa (perché l’assistenza stessa è parte della cura). allora l’intero intervento, definito “sanitario a elevata integrazione sanitaria”

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o “socio-sanitario ad alta intensità sanitaria”, deve essere considerato a carico esclusivo del Servizio Sanitario Nazionale.

Qualsiasi tentativo di dividere la retta in una quota sanitaria (a carico SSN) e una quota sociale/alberghiera (a carico della famiglia o del Comune) è illegittimo in questi casi. L’intero costo deve gravare sul Fondo Sanitario Nazionale/Regionale;

La decisione se la retta è totalmente a carico SSN dipende esclusivamente dalle condizioni cliniche e dai bisogni assistenziali del singolo paziente, non dal nome o dalla classificazione formale della struttura di ricovero (RSA, casa di riposo, ecc.).

Secondo i principi affermati dalla Cassazione, se la gravità dell’Alzheimer (o di altra patologia invalidante) è tale da richiedere un’assistenza continua e globale, strettamente connessa alla gestione sanitaria della malattia e alla prevenzione di complicanze, l’intero costo della degenza è di competenza del SSN e non può essere richiesto ai familiari.

Cosa fare se l’ASL o la RSA mi chiedono di pagare una parte della retta (la quota “alberghiera” o “sociale”)?

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Nei casi appena evidenziati, l’eventuale richiesta di pagamento è molto probabilmente illegittima. Dunque, non accettare passivamente la richiesta. Se possibile, non pagare la quota non sanitaria richiesta o, se sei costretto per evitare problemi immediati, paga specificando per iscritto che lo fai “con riserva di ripetizione dell’indebito” perché ritieni la somma non dovuta;

Invia una lettera formale (PEC o Raccomandata A/R) sia all’ASL competente (che autorizza il ricovero e paga la quota sanitaria) sia alla Direzione della struttura di ricovero. Nella lettera:

  • descrivi la condizione clinica del tuo familiare, sottolineando la gravità, la non autosufficienza totale e l’inscindibilità tra assistenza e cura sanitaria;
  • contesta formalmente la richiesta di pagamento della quota sociale/alberghiera;
  • cita esplicitamente l’orientamento della Corte de Cassazione (in particolare Ord. 13714/2023 e SU 4558/2012) che pone l’intero onere a carico del SSN in questi casi;
  • diffida formalmente dal richiedere ulteriori pagamenti non dovuti;

Chiedi copia della valutazione UVM (Unità Valutativa Multidimensionale) dell’ASL e del Piano Assistenziale Individualizzato (PAI) per verificare come sono stati valutati i bisogni sanitari e assistenziali;

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Rivolgiti alle associazioni di tutela dei malati di Alzheimer o dei diritti del malato, o a un Patronato, per ricevere supporto e consulenza;

Se la richiesta di pagamento persiste, consulta un avvocato specializzato in diritto sanitario o previdenziale per valutare un’azione legale.

E se all’inizio del ricovero avevi firmato un “impegno di pagamento” per la quota alberghiera?

Anche se avete firmato un impegno iniziale a pagare, questo potrebbe essere considerato nullo o annullabile se si dimostra che:

  • è stato firmato sulla base di informazioni errate o incomplete fornite dalla struttura o dall’ASL riguardo alla corretta ripartizione degli oneri secondo legge;
  • è stato sottoscritto in un momento di particolare vulnerabilità emotiva o sotto pressione, senza piena consapevolezza dei diritti;
  • contrasta con norme imperative che pongono l’onere a carico del SSN (il diritto alle prestazioni sanitarie essenziali non è generalmente rinunciabile);

Anche in questo caso, è consigliabile inviare una comunicazione formale di revoca del consenso al pagamento, spiegando le ragioni giuridiche (erroneità del presupposto della divisibilità dei costi, orientamento Cassazione), e dichiarando che non si provvederà più al pagamento della quota non sanitaria. Contestualmente, si può valutare (meglio con un legale) se ci sono i presupposti per chiedere la restituzione di quanto già versato indebitamente.

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