Posso impedire a mio figlio maggiorenne di tornare a vivere con me in casa?

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Puoi impedire a un figlio maggiorenne di tornare a casa se l’obbligo di mantenimento è cessato (es. era già autonomo, è inerte per colpa sua, età avanzata). Guida ai criteri e diritti.

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Il rapporto tra genitori e figli adulti che vivono o desiderano tornare a vivere nella casa familiare è un tema delicato, che intreccia affetti, solidarietà, ma anche il diritto di ciascuno alla propria autonomia e ai propri spazi. In Italia, specialmente negli ultimi anni, non è raro che figli ormai maggiorenni si trovino a dover rientrare o a permanere nell’abitazione dei genitori per ragioni economiche o personali. Questo può generare tensioni e far sorgere una domanda difficile per un genitore: «

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Posso impedire a mio figlio maggiorenne di tornare a vivere con me in casa mia?».

La risposta non risiede solo nella sfera emotiva o morale, ma ha precisi fondamenti giuridici che bilanciano il diritto di proprietà del genitore con l’obbligo di supporto verso i figli, un obbligo che, come vedremo, non scompare automaticamente al compimento dei 18 anni ma si modifica nel tempo.

Esiste un obbligo di ospitare i figli maggiorenni?

Il punto di partenza è il diritto di proprietà. Se la casa è di proprietà del genitore (o dei genitori), questi, ai sensi dell’articolo 832 del Codice civile, ha il diritto di goderne e disporne in modo pieno ed esclusivo. Ciò include, in linea di principio, il diritto di decidere chi può abitare nell’immobile, salvi solo gli

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obblighi nei confronti del coniuge (il Codice civile prevede infatti il “dovere di convivenza” tra marito e moglie) e verso i figli minorenni o maggiorenni non ancora autosufficienti (i quali hanno il diritto ad essere “mantenuti” finché non diventano autonomi).

Non esiste una norma che obblighi specificamente un genitore a ospitare sine die un figlio maggiorenne. La convivenza è strettamente legata all’obbligo genitoriale di mantenimento, sancito dall’articolo 30 della Costituzione e dagli articoli 147, 315-bis e 316-bis del Codice Civile. Esso comprende il dovere di assicurare ai figli (anche maggiorenni) i mezzi necessari per far fronte alle loro esigenze di vita, tenendo conto delle loro capacità, inclinazioni naturali e aspirazioni, finché non siano economicamente indipendenti.

Di conseguenza, la possibilità di impedire al figlio di tornare (o di continuare a vivere) in casa dipende essenzialmente dalla permanenza o meno dell’obbligo di mantenimento.

Il figlio maggiorenne e autonomo economicamente

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che vive gratis nella casa del genitore ha il dovere di contribuisce alle spese familiari in proporzione alle proprietà capacità. La giurisprudenza tende a qualificare questa situazione come un comodato d’uso senza determinazione di durata (detto “precario”, ai sensi dell’art. 1810 c.c.), basato sulla solidarietà familiare.

Fino a quando dura l’obbligo di mantenimento per i figli maggiorenni?

L’obbligo di mantenere i figli non cessa automaticamente al compimento dei 18 anni. La legge e l’interpretazione costante della giurisprudenza stabiliscono che esso perdura fino a quando il figlio non abbia raggiunto un’effettiva indipendenza economica, oppure fino a quando il mancato raggiungimento di tale indipendenza non sia imputabile a colpa o negligenza del figlio stesso, che, pur messo nelle condizioni di rendersi autonomo, non ne abbia tratto profitto (Tribunale Roma, sez. 1, sentenza n. 24561/2015; Cass. Civ., Sez. 6, n. 3769/2023).

La giurisprudenza ha individuato diversi criteri per stabilire se l’obbligo di mantenimento verso il figlio maggiorenne sia venuto meno:

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  1. raggiungimento dell’indipendenza economica: l’obbligo cessa quando il figlio percepisce un reddito o possiede un patrimonio sufficiente a garantirgli un’esistenza autonoma e dignitosa, permettendogli di soddisfare le sue primarie esigenze di vita, in base al contesto socio-economico e alla professionalità acquisita (Tribunale Nola, sez. 2A, sentenza n. 396/2022; Cass. Civ., Sez. 6, n. 3769/2023). Non è richiesto necessariamente un contratto a tempo indeterminato. La Cassazione ha chiarito che il figlio, divenuto indipendente, non può poi esigere di nuovo il mantenimento se tale indipendenza viene meno (ad esempio a seguito di licenziamento): difatti, cessato l’obbligo per i genitori di assistere i figli, questo non rivive neanche a seguito di eventi successivi imprevisti;
  2. mancata indipendenza per colpa del figlio: l’obbligo cessa anche se il figlio, per inerzia, pigrizia, rifiuto ingiustificato di opportunità lavorative (anche se non perfettamente allineate alle sue aspirazioni) o abbandono volontario degli studi, non raggiunge l’autonomia pur avendone avuto la concreta possibilità offerta dai genitori (Tribunale Roma, sez. 1, sentenza n. 24561/2015; Tribunale Cosenza, sez. 2, sentenza n. 1668/2020);
  3. mancata formazione e ricerca di lavoro: il figlio Net, ossia che non cerca lavoro e non studia, non ha diritto a essere mantenuto. Lo stesso vale per chi frequenta gli studi senza profitto, ad esempio perché non fa gli esami universitari;
  4. età avanzata e principio di autoresponsabilità: con il passare degli anni, l’aspettativa che il figlio raggiunga l’autonomia si fa sempre più forte. La giurisprudenza sottolinea il principio di autoresponsabilità del figlio adulto (Cass. Civ., Sez. 1, n. 26875/2023). Man mano che l’età aumenta, diventa più oneroso per il figlio dimostrare di aver ancora diritto al mantenimento, fino a raggiungere un limite oltre il quale i genitori perdono ogni dovere. Ma qual è questo limite? Pur non esistendo un’età precisa e uguale per tutti, la giurisprudenza l’ha individuata tra i 30 e i 35 anni, a seconda del percorso di studi intrapreso. Superata tale soglia si presume che il figlio abbia avuto il tempo necessario per formarsi e inserirsi nel mondo del lavoro. Il mantenimento oltre questa età cessa automaticamente, senza possibilità di prova contraria;
  5. formazione di un nuovo nucleo familiare: se il figlio crea una propria famiglia o intraprende un percorso di vita autonomo, recide il legame di dipendenza materiale e morale dalla famiglia d’origine, facendo cessare l’obbligo di mantenimento (Tribunale Roma, sez. 1, sentenza n. 24561/2015).

Se mio figlio era autonomo e ora non lo è più, devo riaccoglierlo in casa?

La Cassazione è costante nell’affermare che se il figlio maggiorenne

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aveva già raggiunto l’indipendenza economica in passato, magari lavorando per un periodo e provvedendo a sé stesso, e poi ha perso tale autonomia (ad esempio, perdendo il lavoro), l’obbligo di mantenimento da parte dei genitori si considera definitivamente cessato e non rivive (Cass. Civ., Sez. 6, n. 2344/2023; Cass. Civ., Sez. 6, n. 3769/2023).

Il successivo stato di difficoltà economica del figlio non fa risorgere l’obbligo di mantenimento (che include potenzialmente l’alloggio). Potrebbe, al massimo, sorgere un obbligo alimentare (ai sensi dell’art. 433 c.c.), che però presuppone uno stato di bisogno e l’incapacità di provvedere a sé stessi, ha una portata più limitata (assicurare solo il necessario per vivere) ed è un diritto che il figlio deve far valere direttamente nei confronti dei soggetti obbligati (tra cui i genitori).

Come accennato, l’età è un fattore rilevante. Più il figlio è “adulto”, maggiore è l’aspettativa di autoresponsabilità. Diventa sempre più difficile giustificare un diritto al mantenimento (e quindi, indirettamente, all’ospitalità come forma di mantenimento) per

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figli trentenni o ultra-trentenni che non abbiano ancora raggiunto (o non abbiano mantenuto) un’autonomia economica, a meno di circostanze eccezionali e non imputabili alla loro volontà (es. percorsi formativi lunghi e complessi portati avanti con profitto, gravi problemi di salute).

Cosa succede se mio figlio ha una disabilità grave?

La situazione è diversa per i figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi della Legge 104/1992. La recente Riforma Cartabia ha introdotto nel codice di procedura civile l’art. 473-bis.9, specificando che a questi figli si applicano, per quanto compatibili, le disposizioni previste per i figli minori. Questo implica una tutela rafforzata e un obbligo di assistenza e mantenimento che perdura e che potrebbe rendere più difficile negare l’ospitalità, data la maggiore vulnerabilità del figlio.

In pratica, quando posso impedire a mio figlio di tornare a casa?

Sulla base dei criteri esposti, un genitore può legittimamente rifiutare al figlio maggiorenne di tornare (o rimanere) a vivere nella casa genitoriale principalmente quando l’

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obbligo di mantenimento può considerarsi cessato, ovvero:

  • se il figlio aveva già raggiunto l’indipendenza economica in passato (questo è spesso l’argomento decisivo per chi chiede di tornare);
  • se il figlio, pur mai stato autonomo, ha un’età avanzata (indicativamente superiore ai 30-35 anni) e la sua mancanza di autonomia è dovuta a sua colpa, inerzia o scelte personali (es. scarso impegno negli studi o nella ricerca di lavoro);
  • se il figlio ha formato un proprio nucleo familiare.

In questi casi, venendo meno l’obbligo di mantenimento che poteva giustificare l’ospitalità, prevale il diritto di proprietà del genitore.

Cosa posso fare se mio figlio è già in casa e l’obbligo è cessato?

Se il figlio maggiorenne è già convivente, ma le condizioni per la cessazione dell’obbligo di mantenimento si sono verificate (ad esempio, ha superato una certa età senza rendersi autonomo per sua colpa), il genitore può chiedere formalmente al figlio di lasciare l’abitazione. Se il figlio si rifiuta, il genitore può intraprendere un’azione legale per ottenere il rilascio dell’immobile per occupazione senza titolo, proprio perché è venuta meno la causa (il comodato basato sull’obbligo di mantenimento) che giustificava la sua permanenza (Tribunale di Cagliari, sentenza n. 1041/2024).

Data la delicatezza umana e legale della situazione, è sempre consigliabile cercare prima un dialogo con il figlio e, se necessario, rivolgersi a un legale per valutare la specifica situazione alla luce dei criteri giurisprudenziali e intraprendere le azioni più appropriate.

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