Quanto si può prelevare in banca senza dover dare una giustificazione?

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Qual è l’importo massimo prelevabile in banca senza giustificazioni? Analisi dei limiti per antiriciclaggio e delle soglie fiscali per i prelievi degli imprenditori.

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Molti correntisti non conoscono come funzionano le regole sulla possibilità di disporre del proprio denaro depositato in banca, specialmente quando si tratta di prelevare somme in contanti. Ebbene, quanto si può prelevare in banca senza dare giustificazioni? La risposta richiede di considerare diversi contesti normativi: da un lato, gli obblighi delle banche ai sensi della normativa antiriciclaggio, che possono portare a richieste di chiarimenti; dall’altro, le normative fiscali che, in determinate circostanze e per specifici soggetti, possono presumere che prelievi non giustificati costituiscano reddito imponibile.

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Questa guida si propone di fare chiarezza, distinguendo i diversi scenari e spiegando quando e a chi potrebbe essere necessario “giustificare” un prelievo.

Esiste un limite legale all’importo che posso prelevare dal mio conto?

Dal punto di vista strettamente legale, non esiste un limite massimo all’importo che un correntista può prelevare in contanti dal proprio conto bancario o postale. Il denaro depositato sul conto è di proprietà del correntista, che ha il diritto di disporne come meglio crede, inclusa la possibilità di prelevarlo in forma liquida.

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Tuttavia, la libertà di prelievo non è completamente priva di condizionamenti pratici o di possibili richieste di informazioni da parte dell’istituto di credito, soprattutto per importi rilevanti. Queste richieste non derivano da un divieto di prelevare, ma dagli obblighi di vigilanza imposti alle banche.

La banca può chiedermi perché prelievo molti contanti?

Sì, la banca può, e in certi casi deve, chiedere informazioni al cliente in occasione di prelievi di contante, specialmente se l’importo è significativo o l’operazione appare anomala rispetto al profilo del cliente. Questo rientra negli obblighi di adeguata verifica della clientela imposti dalla normativa antiriciclaggio e antiterrorismo (principalmente il Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231 e i relativi provvedimenti attuativi della Banca d’Italia).

L’articolo 17 del D.Lgs. 231/2007 impone agli intermediari finanziari, tra cui le banche, di:

  • identificare il cliente e l’eventuale esecutore dell’operazione;
  • verificarne l’identità;
  • acquisire informazioni sullo scopo e sulla natura prevista del rapporto continuativo o della prestazione occasionale. Se la banca rileva un’operazione che, per entità, frequenza o modalità, è considerata “sospetta” o semplicemente non in linea con l’operatività abituale del cliente, può richiedere chiarimenti sulla provenienza dei fondi (in caso di versamenti) o sulla destinazione del denaro prelevato. Queste richieste non mirano a impedire il prelievo, ma a consentire alla banca di adempiere ai propri doveri di monitoraggio e, se necessario, di effettuare segnalazioni di operazioni sospette alle autorità competenti.

I limiti sull’uso del contante (es. 5000 €) valgono per i prelievi?

L’articolo 49 del D.Lgs. 231/2007 vieta il trasferimento di denaro contante (e di titoli al portatore) effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi (siano esse1 persone fisiche o giuridiche) quando il valore oggetto di trasferimento è complessivamente pari o superiore a

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5.000 euro (soglia in vigore dal 1° gennaio 2023).

Questo limite si applica, ad esempio, a pagamenti per acquisto di beni o servizi, donazioni, prestiti tra privati, ecc.

Tuttavia, come costantemente chiarito dalla giurisprudenza (es. Tribunale di Lamezia Terme, Sentenza n. 974 del 13 Novembre 2024) e dall’Arbitro Bancario Finanziario (Decisione N. 3784 del 26/03/2024), i limiti all’utilizzo del contante stabiliti dalla normativa antiriciclaggio non si applicano alle operazioni di prelievo o versamento di contante effettuate dal titolare sul proprio conto corrente. Queste operazioni, infatti, non costituiscono un “trasferimento tra soggetti diversi”, ma una semplice movimentazione di fondi propri da una forma (bancaria) a un’altra (liquida), o viceversa.

Quindi, è possibile prelevare dal proprio conto 10.000 euro in contanti senza violare direttamente l’art. 49. La violazione si configurerebbe se, successivamente, si utilizzassero quei 10.000 euro per effettuare un unico pagamento in contanti a un altro soggetto.

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Devo giustificare i prelievi al Fisco? Ci sono soglie specifiche?

Qui entriamo in un ambito diverso, quello dei controlli fiscali e dell’accertamento dei redditi, disciplinato principalmente dall’articolo 32 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Se la normativa antiriciclaggio non pone limiti al prelievo in sé, quella fiscale può invece attribuire rilevanza a prelievi non giustificati, ma solo per determinate categorie di contribuenti e al superamento di specifiche soglie.

Per i titolari di reddito d’impresa, l’art. 32, a seguito delle modifiche del D.L. 193/2016, stabilisce che i prelevamenti non risultanti dalle scritture contabili e per i quali l’imprenditore non indichi il soggetto beneficiario, sono considerati ricavi tassabili se superano:

  • euro 1.000 giornalieri;
  • euro 5.000 mensili.

La giurisprudenza prevalente interpreta queste soglie come congiuntive: la presunzione di ricavi scatta solo se vengono superati entrambi i limiti (il singolo prelievo sopra i 1.000 euro e il totale mensile sopra i 5.000 euro). Quindi, per un imprenditore, prelevare somme ingenti e non poterle giustificare al Fisco in caso di controllo può portare all’accertamento di maggiori ricavi.

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Questa regola fiscale sui prelievi vale per tutti i contribuenti?

La presunzione legale che considera i prelievi non giustificati come ricavi, con le soglie di 1.000/5.000 euro, si applica esclusivamente ai titolari di reddito d’impresa.

Per i privati cittadini (non titolari di partita IVA e non imprenditori), i prelievi di contante dal proprio conto non sono, di per sé, oggetto di presunzioni di reddito imponibile ai fini fiscali. Ovviamente, somme ingenti e movimentazioni anomale potrebbero inserirsi in contesti di accertamento patrimoniale più ampi, ma non vi è una presunzione diretta come per gli imprenditori.

Per i lavoratori autonomi e i professionisti, la Corte Costituzionale (sentenza n. 228/2014) ha dichiarato illegittima la precedente norma che equiparava i loro prelievi non giustificati a compensi, ritenendola irragionevole. Essi pertanto sono stati equiparati ai privati cittadini in quanto non sono tenuti ad avere una contabilità autonoma e separata da quella personale.

Cosa succede se, come imprenditore, supero le soglie fiscali?

Se un imprenditore effettua prelievi che superano le soglie fiscali (1.000€/giorno e 5.000€/mese) e tali prelievi non trovano riscontro nelle scritture contabili, in caso di verifica fiscale scatta un’

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inversione dell’onere della prova. Sarà l’imprenditore a dover fornire la prova contraria, dimostrando che le somme prelevate:

  • sono state utilizzate per pagare costi inerenti all’attività, regolarmente documentati e contabilizzati; oppure
  • sono state destinate a finalità extra-aziendali (es. spese personali) e quindi non hanno rilevanza reddituale per l’impresa (anche se potrebbero avere altre implicazioni fiscali per la persona fisica dell’imprenditore, ma non come ricavi d’impresa); oppure
  • sono state erogate a specifici beneficiari identificabili. Se l’imprenditore non fornisce tali giustificazioni in modo analitico e documentato, l’Agenzia delle Entrate può considerare gli importi prelevati come ricavi non dichiarati e procedere al recupero delle imposte evase, con applicazione di sanzioni e interessi.

Quindi, “senza giustificazione” dipende da chi la chiede (banca o Fisco)?

La necessità di “dare una giustificazione” per un prelievo assume significati e conseguenze diverse a seconda dell’interlocutore:

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  • verso la banca al momento del prelievo non c’è un obbligo legale di giustificare il prelievo in sé, né un limite all’importo prelevabile. Tuttavia, per importi elevati o operazioni anomale, la banca può richiedere informazioni sulla destinazione dei fondi per adempiere ai suoi obblighi di adeguata verifica antiriciclaggio. Il rifiuto di fornire informazioni o informazioni palesemente false potrebbero portare a una segnalazione di operazione sospetta;
  • verso l’Amministrazione Finanziaria (Fisco) in sede di controllo successivo, per i titolari di reddito d’impresa, i prelievi che superano le soglie di 1.000€/giorno e 5.000€/mese, se non contabilizzati o giustificati, possono essere presunti come ricavi. In questo caso, la “giustificazione” è un onere probatorio per evitare l’accertamento fiscale. Per i professionisti e i privati, questa specifica presunzione sui prelievi non opera.

Consigli pratici per prelievi di importo elevato?

Se si prevede di prelevare una somma di contante particolarmente ingente, è buona norma avvisare la propria filiale con qualche giorno di anticipo. Questo per motivi sia pratici (per assicurarsi della disponibilità fisica del contante) sia per facilitare le eventuali procedure di verifica della banca.

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Se l’operatore bancario chiede informazioni sulla destinazione dei fondi per un prelievo elevato, è opportuno rispondere in modo trasparente. Questo rientra nella normale dialettica banca-cliente ai fini antiriciclaggio.

Se si è titolari di reddito d’impresa e si effettuano prelievi significativi, è fondamentale conservare traccia e documentazione della destinazione di tali somme (fatture pagate, nome dei beneficiari, prova di spese personali, ecc.) per poter fornire le necessarie giustificazioni in caso di controllo fiscale.

Per evitare problemi sia con la normativa antiriciclaggio (quando si paga un terzo) sia con le presunzioni fiscali, è sempre preferibile utilizzare strumenti di pagamento tracciabili (bonifici, assegni, carte) per transazioni di importo rilevante, piuttosto che il contante.

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