Quanto lasciare sul conto corrente prima della chiusura?

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Guida alla chiusura del conto corrente: scopri quanti soldi lasciare, la gestione del saldo (debitore o creditore), le spese legittime e quelle non dovute dopo il recesso.

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Chiudere un conto corrente è un diritto di ogni correntista. Trattandosi infatti di un contratto a tempo indeterminato, la cessazione non può essere negata o sottoposta a condizioni. Né, solo perché si ha un debito con la banca, questa può impedire l’estinzione del conto (fermo restando la permanenza dell’obbligazione e l’obbligo di estinguerla). Al di là della procedura formale per comunicare la propria intenzione all’istituto di credito, una domanda molto pratica sorge frequentemente e crea non pochi dubbi:

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quanto denaro lasciare sul conto prima della chiusura? È necessario mantenere un saldo minimo per evitare intoppi o si rischia di vedersi addebitare costi imprevisti se il conto va a zero o in rosso?

Questa guida intende fare chiarezza su questo aspetto, spiegando che, sebbene normative come il cosiddetto “decreto Bersani” abbiano eliminato i costi specifici per l’atto di chiusura in sé, è fondamentale gestire correttamente il saldo finale. Bisogna conoscere quali spese sono effettivamente dovute fino all’ultimo giorno di vita del rapporto e, soprattutto, quali invece la banca non può più legittimamente addebitare una volta che la richiesta di recesso è stata efficacemente comunicata.

Ci sono costi per chiudere un conto corrente bancario?

Una buona notizia per i consumatori è che la chiusura di un conto corrente bancario, in sé e per sé,

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non comporta l’addebito di costi o penali specifici legati unicamente alla procedura di estinzione del rapporto contrattuale. Questo importante principio di gratuità è stato introdotto dal “decreto Bersani-bis” (D.L. n. 7/2007, convertito in Legge n. 40/2007), che ha modificato il Testo Unico Bancario, garantendo al cliente la facoltà di recedere da un contratto di conto corrente a tempo indeterminato in qualsiasi momento, senza spese e senza dover fornire alcuna penalità o giustificazione (come confermato anche dal Tribunale Ordinario di Catania, sez. 4, con sentenza n. 1215/2019).

Tuttavia, l’assenza di “costi di chiusura” non significa che il cliente non debba farsi carico di alcune spese al momento dell’estinzione del rapporto. Le somme dovute sono quelle relative alla gestione effettiva del conto, maturate fino alla data di effettiva chiusura e già previste contrattualmente fin dall’apertura del conto stesso. Queste possono includere, ad esempio:

  • l’imposta di bollo statale (se dovuta in base alla giacenza media);

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  • il canone annuo di gestione del conto, calcolato però in misura proporzionale al periodo di effettivo utilizzo nell’anno di chiusura.

Se il tuo conto corrente ha un canone annuo di 60 euro (cioè 5 euro al mese) e decidi di chiuderlo il 15 giugno, la banca ti addebiterà il canone per i cinque mesi e mezzo di utilizzo nell’anno in corso (circa 27,50 euro), oltre all’eventuale quota di imposta di bollo maturata fino a quel momento. Non potrà però addebitarti una “penale per chiusura anticipata” o “spese di istruttoria per la chiusura”.

Cosa succede se il conto è in rosso o a credito quando lo chiudo?

Al momento della richiesta di chiusura, la situazione del saldo del conto è determinante per gli adempimenti successivi. La richiesta di recesso da parte del cliente, infatti, “cristallizza” il saldo esistente alla data in cui tale recesso diventa efficace (Corte d’Appello Venezia, sez. S1, sentenza n. 3300/2020). La banca, nel gestire questa fase, deve sempre attenersi ai propri doveri di buona fede, trasparenza e correttezza professionale (artt. 1375 e 1176 c.c.). Pertanto, se la banca non provvede immediatamente all’estinzione del rapporto, non potrà poi pretendere dal cliente ulteriori

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spese di gestione del conto.

In caso di saldo debitore (conto “in rosso” o “scoperto”)

È fondamentale sapere che l’esistenza di un saldo negativo non dà alla banca il diritto di rifiutare la chiusura del conto corrente. La prassi, talvolta adottata da alcuni istituti, di non procedere alla chiusura di conti con passività è considerata illegittima e contraria al diritto di recesso del cliente (Corte d’Appello Venezia, n. 3300/2020; Decisioni Arbitro Bancario Finanziario N. 741/2023 e N. 4425/2024).

La banca è tenuta a dare seguito alla richiesta di chiusura. L’eventuale importo a debito del correntista, alla data di efficacia del recesso, diventa semplicemente un credito liquido ed esigibile che la banca potrà richiedere al cliente con le ordinarie azioni di recupero.

Pertanto, se il conto è in rosso, il cliente dovrà comunque provvedere a coprire tale debito affinché la chiusura avvenga senza che permanga una sua obbligazione pendente (Decisioni ABF N. 580/2025 e N. 6835/2023).

In caso di saldo creditore (denaro presente sul conto):

Se il conto presenta un saldo positivo (cioè a credito del correntista) alla data di efficacia del recesso, questo importo, al netto delle spese di gestione maturate fino a quel momento,

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spetta integralmente al cliente. La banca dovrà quindi provvedere a restituirlo secondo le modalità concordate (es. bonifico su altro conto, assegno circolare) al momento della chiusura effettiva (Decisioni ABF N. 580/2025 e N. 4425/2024).

Se al momento della richiesta di chiusura il tuo conto è a -100 euro, la banca è obbligata a procedere con l’estinzione del rapporto. Tuttavia, quei 100 euro (più eventuali interessi passivi maturati fino a quel giorno) rimangono un tuo debito verso la banca, che ti chiederà di saldare. La banca non può usare il saldo negativo come scusa per tenere il conto aperto all’infinito.

La banca può addebitare spese dopo che ho chiesto di chiudere?

Come abbiamo già anticipato, gli addebiti di spese e competenze (come canoni di tenuta conto, bolli non maturati, interessi passivi per periodi successivi) effettuati dalla banca dopo la data in cui la richiesta di chiusura del conto è divenuta efficace sono considerati illegittimi (Corte d’Appello Venezia, n. 3300/2020; Decisioni ABF N. 741/2023, N. 4425/2024). Tali somme, se addebitate, sono “ripetibili”, cioè il cliente ha diritto a chiederne la restituzione.

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L’intervallo di tempo che fisiologicamente intercorre tra il momento in cui la banca riceve la dichiarazione di recesso del cliente e quello in cui provvede alla formale “chiusura contabile” del conto è irrilevante ai fini della legittimità degli addebiti per la gestione del conto successivi alla data di efficacia del recesso. La banca è tenuta a dare seguito alla chiusura formale del conto entro un termine ragionevole e congruo, necessario per l’espletamento delle formalità tecniche. In assenza di una diversa pattuizione contrattuale, tale termine può essere individuato, per analogia con quanto previsto dall’art. 1855 c.c. per il recesso dai conti correnti a tempo indeterminato, in 15 giorni lavorativi (Decisioni ABF N. 741/2023, N. 4425/2024). Alcuni contratti bancari potrebbero prevedere termini leggermente diversi, ad esempio 30 giorni.

Superato tale termine ragionevole, l’intermediario non può più pretendere dal cliente il pagamento delle spese di tenuta del conto maturate successivamente, dovendo tenere indenne il cliente da ogni costo legato al mantenimento artificioso del conto “in esercizio”. Questo comportamento si basa sui fondamentali doveri di correttezza (art. 1175 c.c.) e diligenza professionale qualificata (art. 1176, comma 2, c.c.) che devono sempre improntare la condotta della banca.

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Comunichi alla banca la tua volontà di chiudere il conto il 1° luglio. La banca, per legge o contratto, ha (a titolo di esempio) 15 giorni lavorativi per processare la chiusura. Se la banca ti addebita il canone mensile di agosto, o bolli relativi a periodi successivi a metà luglio, tali addebiti sono illegittimi e hai diritto al rimborso.

Quindi, qual è l’importo giusto da lasciare per la chiusura?

Alla luce di quanto detto, non esiste un importo minimo specifico o una somma predefinita da “lasciare” sul conto prima della chiusura, imposto dalla legge o dalla banca, per consentire la chiusura stessa. Come visto, la chiusura deve essere eseguita anche in presenza di un saldo negativo (fermo restando l’obbligo del cliente di ripianarlo).

Tuttavia, per facilitare una chiusura del conto senza intoppi, senza rimanere in debito con la banca o senza dover successivamente rincorrere la restituzione di piccoli importi a credito, è consigliabile adottare un approccio pragmatico:

  1. prima di inviare la richiesta di chiusura, controlla con esattezza il saldo disponibile sul tuo conto;
  2. tieni conto delle spese di gestione (canone mensile o trimestrale, imposta di bollo se dovuta, eventuali interessi passivi su scoperti) che sono maturate fino alla data prevista di chiusura o fino alla data di invio della tua richiesta di recesso. Queste spese, se non sono state ancora contabilizzate, lo saranno al momento della chiusura;
  3. se il conto presenta un saldo debitore, è necessario provvedere al versamento dell’importo dovuto per azzerare il saldo o renderlo positivo;
  4. idealmente, dopo aver considerato tutte le spese legittimamente dovute fino alla data di efficacia del recesso, il saldo finale dovrebbe essere pari a zero o presentare un piccolo credito a tuo favore. Lasciare un importo esiguo a credito (ad esempio, qualche decina di euro) potrebbe essere una cautela contro eventuali piccolissime spese legittime che potrebbero essere contabilizzate proprio negli ultimi giorni prima della chiusura effettiva, garantendo che il saldo finale non diventi inaspettatamente negativo. Qualsiasi importo a credito residuo, anche minimo, dovrà comunque esserti restituito dalla banca.

Tutela del Correntista: accertamento saldo e ripetizione indebito

Anche prima di decidere di chiudere il conto, il correntista ha diritto di tutelare le proprie ragioni. Infatti, anche in costanza di rapporto, si può avere interesse ad agire in giudizio per far accertare eventuali nullità di clausole contrattuali (ad esempio, relative all’anatocismo o a commissioni non dovute) e ottenere la rideterminazione del saldo corretto. Questo può servire per conoscere l’esatta situazione debitoria/creditoria, per ripristinare la propria capacità di credito (plafond di affidamento) o per ridurre l’importo che la banca potrebbe pretendere al momento della cessazione del rapporto (Cass. Civ., Sez. 1, N. 5118 del 27/02/2024). L’azione di ripetizione dell’indebito, cioè la richiesta di restituzione di somme non dovute che sono state già pagate (ad esempio, tramite addebiti sul conto), è invece generalmente esperibile solo dopo la chiusura del conto e l’eventuale pagamento di un saldo finale che includa tali importi non dovuti (Cass. Civ., Sez. 1, N. 18681 del 03/07/2023).

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