Come dichiarare i redditi da fabbricati nel 730?

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Guida alla dichiarazione dei redditi da fabbricati (Quadro B, 730/2025). Tassazione immobili sfitti, locati, alternatività IMU/IRPEF e gestione canoni non percepiti (sfratto).

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La dichiarazione dei redditi è un appuntamento annuale che richiede attenzione e precisione da parte di tutti i contribuenti, specie quando si tratta di rendicontare il possesso di proprietà immobiliari. Il possesso di fabbricati, siano essi la propria abitazione, seconde case, uffici, negozi o terreni, genera infatti, nella maggior parte dei casi, un reddito che, salvo specifiche eccezioni previste dalla legge, deve essere dichiarato al Fisco e assoggettato a tassazione. Ma esattamente,

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come dichiarare i redditi da fabbricati nel 730? Quali immobili vanno obbligatoriamente indicati nel Quadro B del Modello 730 e quali, invece, ne sono esclusi perché non considerati produttivi di reddito ai fini IRPEF? E come ci si deve comportare in situazioni particolari e frequenti, come la gestione degli immobili sfitti, la tassazione di quelli concessi in locazione (con la possibilità di optare per la cedolare secca), o la delicata questione dei canoni di affitto non percepiti a seguito di uno sfratto per morosità dell’inquilino?

Questa guida si propone di fare chiarezza su questi aspetti, illustrando le regole di compilazione del Quadro B, il funzionamento del principio di alternatività tra IMU e IRPEF, e le modalità per non pagare imposte su somme che, purtroppo, non sono mai state effettivamente incassate dal proprietario.

Quali gli immobili di proprietà vanno dichiarati nel 730?

Partiamo dal verificare quali sono gli immobili da includere e quali quelli da escludere nel Quadro B. Non tutti gli immobili di cui si è proprietari o possessori a vario titolo devono essere inseriti nella dichiarazione dei redditi. Il principio generale è che nel Quadro B del Modello 730 (o nel quadro corrispondente del Modello Redditi Persone Fisiche) vanno indicati

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tutti i fabbricati situati nel territorio dello Stato italiano che sono iscritti o che devono essere iscritti nel catasto edilizio urbano con attribuzione di rendita.

Tuttavia, esistono alcune categorie di immobili che, per la loro specifica natura o destinazione d’uso, non sono considerati produttivi di reddito di fabbricati ai fini IRPEF e, di conseguenza, non vanno indicati nella dichiarazione. Tra questi rientrano principalmente:

  • le costruzioni rurali utilizzate come abitazione che appartengono al possessore (proprietario, usufruttuario, ecc.) o all’affittuario dei terreni agricoli e che sono effettivamente adibite ad usi agricoli (ad esempio, l’abitazione dell’imprenditore agricolo che vive e lavora sul fondo);
  • le costruzioni strumentali allo svolgimento delle attività agricole, come stalle, fienili, magazzini per attrezzi o prodotti agricoli;
  • i fabbricati rurali destinati all’attività agrituristica, secondo le specifiche normative di settore;
  • le unità immobiliari per le quali sono state rilasciate licenze, concessioni o autorizzazioni per interventi di restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione edilizia. L’esclusione dalla dichiarazione per questi immobili vale per il solo periodo di validità del provvedimento autorizzativo, e a condizione che durante tale periodo l’unità immobiliare non sia stata comunque utilizzata (ad esempio, data in locazione o abitata);
  • gli immobili interamente adibiti a sedi aperte al pubblico di musei, biblioteche, archivi, cineteche ed emeroteche (raccolte di giornali e riviste), a condizione che il possessore non ricavi alcun reddito dall’utilizzo dell’immobile (ad esempio, non percepisca un canone di locazione per tali locali);
  • le unità immobiliari destinate esclusivamente all’esercizio del culto, purché riconosciute come tali dalle autorità competenti, nonché i monasteri di clausura, a condizione che non siano locati, e le loro relative pertinenze.

Gli immobili che, invece, devono essere indicati nel Quadro B si suddividono poi in due macro-categorie principali, la cui classificazione è di fondamentale importanza perché da essa dipendono le diverse modalità di tassazione ai fini IRPEF:

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  1. i fabbricati sfitti (cioè, non concessi in locazione);
  2. i fabbricati concessi in locazione. Questi ultimi, a loro volta, vanno ulteriormente suddivisi a seconda del regime fiscale scelto per i canoni percepiti (regime di tassazione ordinaria IRPEF o regime opzionale della cedolare secca).

Se possiedi un piccolo rustico in campagna, accatastato come rurale e utilizzato esclusivamente come deposito attrezzi per la coltivazione del tuo orto, oppure sei il parroco di una chiesa e la canonica è utilizzata solo per le attività di culto e non è affittata, questi immobili, pur essendo di tua proprietà o disponibilità, non andranno inseriti nel Quadro B della tua dichiarazione dei redditi perché considerati non produttivi di reddito di fabbricati.

Un immobile sfitto va dichiarato e paga tasse nel 730?

Anche i fabbricati che rimangono sfitti (cioè, non concessi in locazione a terzi) durante l’anno d’imposta sono, in linea generale, considerati produttivi di un reddito fondiario (la rendita catastale) e, come tali, devono essere dichiarati. Tuttavia, la loro tassazione ai fini IRPEF dipende da una distinzione fondamentale:

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  1. per i fabbricati sfitti che sono stati assoggettati a IMU opera il cosiddetto “principio di alternatività IMU/IRPEF”. Questo significa che, avendo già assolto l’imposizione patrimoniale attraverso il pagamento dell’IMU, il reddito fondiario di questi fabbricati (costituito dalla rendita catastale rivalutata) non è soggetto a IRPEF e alle relative addizionali regionali e comunali. Nonostante ciò, questi fabbricati vanno comunque indicati nel Quadro B del Modello 730/2025. Nella colonna 1 del rigo B1 (o successivi) andrà indicato l’ammontare della rendita catastale, e nella colonna 2 (“Utilizzo”) andrà inserito il codice “2”, che identifica appunto gli immobili tenuti a disposizione (cioè, sfitti e non locati, diversi dall’abitazione principale). Sarà poi chi presta l’assistenza fiscale (il CAF, il commercialista o il software di compilazione dell’Agenzia delle Entrate) a calcolare il reddito complessivo IRPEF senza tener conto del reddito di questi immobili già tassati con l’IMU;
  2. fabbricati sfitti che sono risultati esenti da IMU (o per i quali l’IMU non era comunque dovuta per specifiche ragioni): Per questi immobili, il principio di alternatività non opera, e quindi il loro reddito fondiario è soggetto a IRPEF e alle relative addizionali, anche se non sono stati locati.

Esistono poi delle

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eccezioni e dei casi particolari che derogano o specificano ulteriormente il principio di alternatività IMU/IRPEF per i fabbricati sfitti. Queste situazioni vanno segnalate compilando la colonna 12 (“Casi particolari IMU”) del Quadro B con appositi codici. I principali codici da indicare sono tre:

  • Codice “1”: va utilizzato per un fabbricato (che non sia l’abitazione principale o le sue pertinenze) che è risultato del tutto esente dall’IMU o per il quale l’IMU non era comunque dovuta (ad esempio, per specifiche esenzioni previste a livello comunale o nazionale). In questo caso, pur essendo sfitto, il reddito del fabbricato (la rendita catastale) è assoggettato integralmente a IRPEF e alle relative addizionali.

  • Codice “2”: va utilizzato per indicare l’abitazione principale per la quale è comunque dovuta l’IMU. Questo accade, ad esempio, nel caso di abitazioni principali classificate nelle categorie catastali A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi

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    1 artistici o storici), le cosiddette “abitazioni di lusso”, che non beneficiano dell’esenzione IMU per l’abitazione principale. Lo stesso codice “2” deve essere indicato anche per le relative pertinenze dell’abitazione principale che siano anch’esse assoggettate a IMU. Indicando questo codice, sul relativo reddito fondiario (la rendita catastale) non sono dovute l’IRPEF e le addizionali, in quanto considerate “sostituite” dall’IMU versata.

  • Codice “3”: va utilizzato con riferimento agli immobili a uso abitativo non locati (sfitti), ma assoggettati a IMU, che siano situati nello stesso comune nel quale si trova l’immobile adibito ad abitazione principaledel contribuente. In questa specifica situazione, il reddito dell’immobile sfitto (la sua rendita catastale rivalutata) concorre alla formazione della base imponibile dell’IRPEF e delle relative addizionali, ma solo per il 50 per cento del suo ammontare. È una sorta di “sconto” sull’IRPEF per le seconde case sfitte nello stesso comune della principale.

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Il signor Verdi possiede la sua abitazione principale (non di lusso) a Roma. Nello stesso comune di Roma, possiede anche un altro piccolo appartamento che ha tenuto sfitto per tutto il 2024 e per il quale ha regolarmente pagato l’IMU. Quando compilerà il Modello 730/2025, per quest’ultimo appartamento sfitto dovrà indicare la sua rendita catastale, il codice di utilizzo “2” (a disposizione) e, nella colonna 12 “Casi particolari IMU”, dovrà inserire il codice “3”. Di conseguenza, solo il 50% della rendita catastale rivalutata di questo secondo appartamento concorrerà a formare il suo reddito imponibile ai fini IRPEF, nonostante abbia già pagato l’IMU su di esso.

Come dichiaro un immobile affittato nel 730? I fabbricati concessi in locazione

Per i fabbricati che sono stati concessi in locazione (cioè, dati in affitto) durante l’anno d’imposta 2024, le regole di tassazione sono diverse e, in particolare, non opera il principio di alternatività IMU/IRPEF. Questo significa che la circostanza che su tali immobili sia stata pagata l’IMU non rileva ai fini dell’IRPEF, la quale

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resta comunque dovuta integralmente sui canoni di locazione percepiti (o, in alcuni casi, sulla rendita catastale se più elevata), secondo le regole che vedremo.

Questi fabbricati locati concorrono a formare il reddito complessivo del proprietario nell’ammontare del canone di locazione annuo effettivamente percepito (o, come vedremo, che sarebbe dovuto maturare da contratto), al netto di una riduzione forfettaria riconosciuta per tener conto delle spese di manutenzione e di gestione sostenute dal proprietario.

La riduzione forfettaria standard del canone di locazione annuo è del 5%. Pertanto, si tassa il 95% del canone.

Esistono però dei casi particolari in cui la riduzione forfettaria è superiore:

  • se il fabbricato locato è situato nel comune di Venezia centro e nelle isole della Giudecca, di Murano e di Burano, la riduzione del canone è elevata al 25% (quindi si tassa il 75% del canone);
  • se il fabbricato locato è riconosciuto di interesse storico o artistico, ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, la riduzione del canone è pari al 35% (quindi si tassa il 65% del canone).

Qualora il canone di locazione annuo, al netto della riduzione forfettaria applicabile, risulti

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inferiore alla rendita catastale rivalutata dell’immobile, il reddito da assoggettare a tassazione IRPEF sarà costituito da quest’ultima (cioè, si tassa sempre il valore più elevato tra il canone ridotto e la rendita catastale rivalutata).

L’IRPEF sui fabbricati locati è dovuta indipendentemente dalla circostanza che tali immobili siano anche soggetti a IMU. Il principio di alternatività IMU/IRPEF, come detto, si applica solo ai fabbricati sfitti (e con le eccezioni viste).

Per la corretta compilazione del Quadro B del Modello 730/2025 per gli immobili locati, occorre prestare attenzione a specifiche colonne:

  • Colonna 5 (“Utilizzo”): qui andrà indicato un codice specifico che corrisponde al tipo di tassazione cui l’immobile è assoggettato. I codici principali sono:

    • “1”: nel caso di applicazione della tassazione ordinaria IRPEF sul canone di locazione ridotto del 5% (cioè, tassazione del 95% del canone).
    • “2”: nel caso di applicazione della tassazione ordinaria IRPEF con la riduzione maggiorata del 25% (canone tassato al 75% – applicabile per gli immobili situati a Venezia centro, Giudecca, Murano e Burano).
    • “3”: nel caso in cui il locatore abbia esercitato l’opzione per il regime della cedolare secca. In questo caso, il canone di locazione non concorre al reddito complessivo IRPEF, ma è soggetto a un’imposta sostitutiva con aliquota fissa (10% o 21% a seconda dei casi) applicata sull’intero canone, senza riduzioni forfettarie.
    • “4”: nel caso di applicazione della tassazione ordinaria IRPEF con la riduzione maggiorata del 35% (canone tassato al 65% – applicabile per gli immobili di interesse storico o artistico).
  • Colonna 6 (“Canone di locazione”)

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    : qui va indicato l’intero ammontare del canone di locazione annuo lordo che è stato percepito dal proprietario o che sarebbe dovuto maturare in base al contratto di locazione per il periodo d’imposta 2024 (ad esempio, se il contratto prevede un canone di 500 euro al mese, si indicherà 6.000 euro se l’immobile è stato locato per tutto l’anno). È importante indicare il canone lordo, senza applicare le riduzioni forfettarie; queste verranno calcolate automaticamente dal software di compilazione o da chi presta l’assistenza fiscale per determinare la base imponibile IRPEF.

Il signor Rossi affitta un appartamento a Milano per 10.000 euro all’anno. Se non ha optato per la cedolare secca, nel Quadro B del suo 730/2025 indicherà, per quell’immobile: in colonna 5 (Utilizzo) il codice “1”; in colonna 6 (Canone di locazione) l’importo di 10.000 euro. Il suo reddito imponibile ai fini IRPEF per quell’immobile sarà pari al 95% di 10.000 euro, cioè 9.500 euro. Su questo immobile, il signor Rossi pagherà anche l’IMU, poiché per gli immobili locati non vale l’alternatività.

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Devo pagare le tasse sui canoni d’affitto che l’inquilino non mi ha pagato?

Una delle situazioni più spiacevoli per un proprietario è quella di avere un inquilino moroso che non paga i canoni di locazione. La regola generale dell’articolo 26 del TUIR, come accennato, prevede che i redditi fondiari (e quindi anche i canoni di locazione) concorrano alla formazione del reddito complessivo del proprietario indipendentemente dalla loro effettiva percezione. Questo, in linea di principio, significherebbe dover pagare le tasse anche su somme mai incassate.

Tuttavia, con specifico riferimento ai canoni derivanti dalla locazione di fabbricati a uso abitativo, lo stesso articolo 26 del TUIR detta una regola speciale di sollievo per il locatore. In base a questa norma, il proprietario-locatore può non dichiarare (e quindi non pagare le relative imposte su) i canoni di locazione non percepiti, a condizione che la mancata percezione sia comprovata dall’intimazione di sfratto per morosità o dall’ingiunzione di pagamento

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che è stata notificata all’inquilino inadempiente. È importante sottolineare che, ai fini di questa esclusione dalla tassazione, non è necessario attendere l’effettiva convalida dello sfratto o l’esito della procedura di recupero del credito; è sufficiente la prova dell’avvio formale della procedura legale (intimazione di sfratto o ingiunzione di pagamento).

In questo caso, nel Quadro B del Modello 730, occorre compilare la colonna 7 (“Casi particolari”) utilizzando il codice “4”. Questo codice segnala appunto la situazione di canoni non percepiti per i quali si è agito legalmente.

Se il canone di locazione è stato percepito solo per una parte dell’anno (ad esempio, l’inquilino ha pagato regolarmente i primi mesi e poi è diventato moroso, e il proprietario ha avviato la procedura di sfratto):

  • si compila un unico rigo per quell’immobile nel Quadro B;
  • nella colonna 6 (“Canone di locazione”) si riporta solo la quota di canone effettivamente percepitanell’anno d’imposta;
  • nella colonna 7 (“Casi particolari”) si indica comunque il codice “4”.

Credito d’imposta per canoni precedentemente tassati e non riscossi

Cosa succede se, in anni precedenti, il proprietario ha dovuto dichiarare e pagare le imposte su canoni di locazione che poi, di fatto, non sono mai stati riscossi (ad esempio, perché la procedura di sfratto non era stata ancora avviata o per altre ragioni)? Se, successivamente, il proprietario ottiene la

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convalida di sfratto per morosità da parte del giudice, la legge gli riconosce un credito d’imposta di pari ammontare alle maggiori imposte che aveva versato in passato per effetto di quei canoni di locazione che erano stati tassati ma che poi, come accertato nel procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto, non sono stati riscossi.

Questo credito d’imposta deve essere indicato nel rigo G2 (“Credito d’imposta per canoni di locazione non percepiti”) del Modello 730.

Per determinare l’ammontare esatto del credito d’imposta spettante, è necessario ricalcolare le imposte che sarebbero state dovute per ciascuno degli anni precedenti in cui i canoni non riscossi erano stati erroneamente tassati. Questo si fa idealmente riliquidando quelle vecchie dichiarazioni dei redditi escludendo dal reddito imponibile i canoni che, come accertato nel procedimento di convalida di sfratto, non sono stati effettivamente percepiti.

In alternativa alla fruizione del credito d’imposta direttamente in dichiarazione (utilizzandolo per ridurre le imposte dovute per l’anno corrente o chiedendone il rimborso se supera l’imposta), il contribuente può presentare un’

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apposita istanza di rimborso all’Agenzia delle Entrate per recuperare le maggiori imposte versate in passato.

Nel 2023, il signor Bianchi ha dichiarato nel suo Modello 730 (relativo al 2022) un canone di locazione annuo di 12.000 euro per un appartamento abitativo, pagando le relative imposte. Tuttavia, l’inquilino gli ha pagato solo i primi 3 mesi (3.000 euro) e poi è diventato moroso. Nel corso del 2023, il signor Bianchi ha notificato all’inquilino un’intimazione di sfratto per morosità. Nel Modello 730/2024 (redditi 2023): Per l’anno 2023, il signor Bianchi indicherà in colonna 6 del Quadro B solo i 3.000 euro effettivamente percepiti e in colonna 7 il codice “4”. Non pagherà quindi tasse sui 9.000 euro non incassati nel 2023. Se, nel corso del 2024, ottiene la convalida dello sfratto che accerta la morosità anche per i 9 mesi del 2022 (per un totale di 9.000 euro non riscossi nel 2022 ma tassati l’anno prima). Nel Modello 730/2025 (redditi 2024), il signor Bianchi potrà calcolare quante imposte in più ha pagato nella dichiarazione del 2023 (per i redditi 2022) a causa di quei 9.000 euro non riscossi e potrà indicare tale importo come credito d’imposta nel rigo G2, per recuperarlo.

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