Abuso edilizio: quando la multa al posto della demolizione?

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Scopri cos’è la parziale difformità edilizia e quando la legge (Art. 34 TUE) permette di pagare una sanzione invece di demolire tramite la fiscalizzazione dell’abuso edilizio.

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Realizzare un intervento edilizio senza rispettare le autorizzazioni comunali può avere gravi ripercussioni legali ed economiche. Quando viene accertata una difformità rispetto al titolo edilizio, la conseguenza più temuta è l’ordine di demolizione dell’opera, con tutto ciò che ne deriva in termini di costi, tempi, danni patrimoniali e “macchia” sulla fedina penale. Tuttavia, non sempre la ruspa è l’unica via. In alcune circostanze, infatti, la normativa consente di evitare l’abbattimento e sostituirlo con una sanzione pecuniaria. Esattamente, in caso di

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abuso edilizio, quando c’è la multa al posto della demolizione?

Tale meccanismo, noto come “fiscalizzazione dell’abuso”, è regolato da norme precise e non si applica indiscriminatamente. Nella seguente guida analizziamo quando, in presenza di un abuso edilizio, è possibile pagare una sanzione pecuniaria al posto della demolizione, chiarendo quali sono i presupposti richiesti, i limiti imposti dalla legge e le situazioni concrete in cui questa alternativa può essere invocata.

Parziale difformità edilizia: cosa significa?

Il concetto chiave per accedere alla possibilità di sostituire la demolizione con una sanzione pecuniaria è quello di “

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parziale difformità” dal permesso di costruire. Ma cosa intende la legge con questa espressione?

Si ha parziale difformità quando un’opera edilizia, pur essendo stata autorizzata nel suo complesso da un regolare permesso di costruire, viene realizzata presentando delle modifiche rispetto al progetto approvato che riguardano elementi particolari e non essenziali della costruzione. Queste variazioni, sia qualitative (ad esempio, materiali diversi) che quantitative (ad esempio, dimensioni leggermente differenti), non devono alterare le strutture portanti fondamentali dell’edificio, né la sua sagoma complessiva, i volumi principali o la destinazione d’uso per cui era stato concesso il permesso.

Come precisato da una consolidata giurisprudenza amministrativa (tra cui numerose sentenze del Consiglio di Stato, come la n. 1743/2021, n. 5079/2023, n. 7318/2019, e dei Tribunali Amministrativi Regionali), le divergenze devono essere tali da non snaturare l’opera originariamente assentita.

Se il permesso di costruire prevedeva la realizzazione di un balcone con una profondità di 1,5 metri e questo viene costruito con una profondità di 1,7 metri, senza alterare la struttura portante dell’edificio o la sua sagoma complessiva in modo significativo, potrebbe trattarsi di una parziale difformità.

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Abuso edilizio: quando si applica la sanzione pecuniaria invece della demolizione?

L’articolo 34 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico dell’Edilizia – TUE) è la norma di riferimento che disciplina gli interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire. Questo articolo stabilisce una gerarchia di sanzioni.

La regola generale è la rimozione o demolizione: gli interventi realizzati in parziale difformità devono essere rimossi o demoliti a cura e a spese del responsabile dell’abuso. L’obiettivo primario dell’ordinamento è, infatti, il ripristino della legalità e dello stato dei luoghi conforme al progetto approvato.

L’eccezione è la “multa” (fiscalizzazione). In particolare, secondo lo stesso articolo 34, quando la demolizione della parte difforme non può avvenire senza causare un pregiudizio (un danno) alla parte dell’edificio che è stata invece eseguita in piena conformità con il permesso di costruire, allora, e solo in questo caso, si applica una sanzione pecuniaria (di carattere amministrativo).

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A quanto ammonta la multa e quando si applica

A quanto ammonta l’importo? La sanzione è pari al doppio del costo di produzione della parte dell’opera realizzata in difformità (se l’opera è adibita a uso residenziale) oppure, per opere adibite ad usi diversi da quello residenziale, al doppio del loro valore venale.

È fondamentale sottolineare che la sanzione pecuniaria si applica esclusivamente in caso di parziale difformità. Non è una via d’uscita per opere realizzate in assenza totale di permesso di costruire, in totale difformità rispetto a quanto assentito, o che presentano variazioni essenziali rispetto al progetto approvato (come chiarito, ad esempio, dal T.A.R. Sicilia – Catania, sentenza n. 383 del 2025). In questi ultimi casi, la demolizione rimane, di norma, l’unica sanzione applicabile.

Quali sono i casi più comuni di “parziale difformità”?

Identificare con certezza una “parziale difformità” richiede un’analisi tecnica caso per caso. Tuttavia, la giurisprudenza e la prassi amministrativa hanno delineato alcune categorie di interventi che più frequentemente possono rientrare in questa definizione. Il testo di riferimento fornito elenca alcuni esempi pratici:

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  • modifiche interne non strutturali: si tratta di cambiamenti nella distribuzione degli spazi interni di un’unità immobiliare (ad esempio, lo spostamento di tramezzi divisori non portanti) che non alterano la volumetria complessiva dell’edificio, la sua sagoma, né le sue strutture portanti;
    • Esempio pratico: un appartamento per cui era stata autorizzata una certa disposizione delle stanze viene realizzato con una camera leggermente più grande a scapito di un corridoio, senza toccare muri maestri o aumentare il volume totale;
  • variazioni di finiture o materiali: l’utilizzo di materiali di finitura (pavimenti, rivestimenti, intonaci esterni) diversi da quelli indicati nel progetto approvato, a condizione che tali variazioni non incidano sulle caratteristiche essenziali e sull’aspetto architettonico complessivo dell’opera in modo sostanziale, e non compromettano eventuali requisiti di sicurezza o prestazionali;
    • Esempio pratico: il progetto prevedeva piastrelle di un certo colore per il bagno e ne vengono usate di un colore diverso ma di qualità equivalente, senza alterare le dimensioni o la funzionalità del locale;
  • piccole modifiche dimensionali: differenze minime nelle dimensioni di elementi come porte o finestre rispetto a quanto previsto nel progetto, purché tali scostamenti non alterino in modo significativo la facciata dell’edificio, la sua luminosità o i rapporti aeroilluminanti prescritti, e rientrino eventualmente nelle “tolleranze costruttive” (vedi oltre);
    • Esempio pratico: una finestra autorizzata di 100×120 cm viene realizzata di 105×120 cm, senza impatti sulla stabilità o sull’estetica generale in modo rilevante;
  • aggiunta di elementi accessori di modesta entità: l’installazione di alcuni elementi accessori che non erano esplicitamente previsti nel progetto originario, come ad esempio una piccola tettoia a protezione di un ingresso o una veranda di dimensioni contenute, a condizione che questi non comportino un aumento della volumetria complessiva dell’edificio o una modifica della sua destinazione d’uso e siano compatibili con la normativa urbanistica. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 119 del 10 luglio 2024, ha toccato temi relativi a elementi accessori, confermando la complessità della materia. È sempre necessaria una valutazione specifica per capire se tali aggiunte rientrino nella parziale difformità o configurino un abuso più grave.

La fiscalizzazione è una sanatoria dell’abuso?

Come già accennato, è un errore comune pensare che la fiscalizzazione dell’abuso edilizio equivalga a una sua “sanatoria”. La giurisprudenza amministrativa è costante nel ribadire che la sanzione pecuniaria sostitutiva della demolizione

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non elimina il carattere abusivo dell’intervento e non lo regolarizza dal punto di vista urbanistico-edilizio. L’opera, per la parte difforme, rimane non conforme al titolo edilizio.

La fiscalizzazione è, piuttosto, il frutto di una valutazione di opportunità e di bilanciamento di interessi operata dal legislatore e applicata dalla Pubblica Amministrazione: si sceglie di “tollerare” la permanenza dell’abuso minore per non arrecare un danno sproporzionato (il pregiudizio alla parte conforme) che deriverebbe dalla sua rimozione fisica. L’obiettivo è salvaguardare la porzione di edificio legittimamente realizzata.

Quando e come si decide per la fiscalizzazione?

La possibilità di applicare la sanzione pecuniaria in luogo della demolizione non viene decisa, di norma, al momento dell’accertamento dell’abuso o dell’emissione dell’ordinanza di demolizione. Questa valutazione interviene tipicamente nella fase esecutiva del procedimento sanzionatorio, ossia dopo che l’ordine di demolire è stato impartito ed è divenuto inoppugnabile (Consiglio di Stato, sez. VI, sentenze n. 1743/2021 e n. 4049/2021).

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È in questa fase che il responsabile dell’abuso (o l’attuale proprietario) può far valere le proprie ragioni, dimostrando, come vedremo, l’impossibilità tecnica di procedere alla demolizione parziale senza compromettere la stabilità o la funzionalità della parte conforme. L’eventuale difficoltà o impossibilità di demolire senza pregiudizio non è, quindi, un motivo per ritenere illegittimo l’originario ordine di demolizione.

Chi deve provare il “pregiudizio alla parte conforme”?

L’onere della prova riguardo al fatto che la demolizione della parte abusiva causerebbe un danno irreparabile o sproporzionato alla parte legittima dell’edificio ricade interamente sull’interessato che invoca l’applicazione della fiscalizzazione (solitamente il proprietario).

Non è sufficiente una generica affermazione di difficoltà: occorre fornire una dimostrazione seria, concreta e idonea, spesso attraverso una perizia tecnica dettagliata. Come sottolineato dal Consiglio di Stato (sez. VI, sentenze n. 9572/2023 e n. 38/2022), chi ha realizzato l’opera e conosce il progetto è nella posizione migliore per documentare come la demolizione parziale potrebbe compromettere la struttura o l’utilizzo del bene residuo.

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Il proprietario che ha realizzato un ampliamento abusivo di una stanza, ma in modo tale che la parete esterna di tale ampliamento sia diventata strutturalmente integrata con il solaio della parte conforme dell’edificio, dovrà presentare una perizia ingegneristica che dimostri come la demolizione di quella parete comprometterebbe la stabilità del solaio sovrastante.

Cosa sono le tolleranze costruttive?

Il Testo Unico dell’Edilizia, all’articolo 34-bis, disciplina le cosiddette “tolleranze costruttive”. Si tratta di lievi scostamenti dalle misure indicate nel titolo abilitativo (generalmente entro il 2%) che, per legge, non costituiscono violazione edilizia.

È importante notare che queste tolleranze rilevano principalmente nei rapporti tra il privato costruttore e la Pubblica Amministrazione ai fini dell’applicazione di sanzioni, e non necessariamente sanano eventuali vizi nei rapporti tra privati (ad esempio, in una compravendita, come chiarito dalla Cassazione civile, ord. n. 30216/2023). La fiscalizzazione ex art. 34 interviene per difformità che eccedono queste tolleranze ma che rimangono “parziali”.

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Se l’abuso è del vecchio proprietario, chi paga la sanzione?

La sanzione pecuniaria sostitutiva della demolizione, così come l’ordine di demolizione stesso, ha natura reale. Ciò significa che “segue” l’immobile e può essere irrogata nei confronti dell’attuale proprietario, anche se quest’ultimo è incolpevole rispetto alla commissione dell’abuso (cioè non lo ha realizzato materialmente) ed era in buona fede al momento dell’acquisto (T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, n. 1290/2016).

L’attuale proprietario, una volta pagata la sanzione (o eseguita la demolizione, se non ricorrono i presupposti per la fiscalizzazione), avrà comunque la possibilità di rivalersi in regresso nei confronti del responsabile effettivo dell’abuso (ad esempio, il precedente proprietario-venditore o il costruttore), se ne ricorrono i presupposti legali (Cons. Stato, sez. VI, n. 6983/2018).

C’è la fiscalizzazione in zone vincolate?

Un’importante limitazione all’applicabilità della fiscalizzazione riguarda le opere realizzate abusivamente in

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zone sottoposte a vincolo (paesaggistico, ambientale, storico-artistico, ecc.). L’articolo 32, comma 3, del D.P.R. n. 380/2001 stabilisce che gli interventi eseguiti in queste aree in difformità dal titolo abilitativo sono da considerarsi sempre o “in totale difformità” o quali “variazioni essenziali”.

Di conseguenza, non potendo mai essere qualificate come “parziale difformità”, la procedura di fiscalizzazione prevista dall’articolo 34 non è applicabile in questi contesti (T.A.R. Lazio, Roma, sez. II stralcio, n. 289 del 8 gennaio 2025; T.A.R. Puglia, Bari, sez. III, n. 249/2023). In queste aree protette, la tutela del vincolo è prioritaria e la sanzione per abusi significativi è, di norma, la demolizione e il ripristino dello stato dei luoghi.

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