Quando è obbligatorio motivare un versamento bancario?

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Versamenti in banca: quando devo giustificare l’origine dei soldi? Guida alla presunzione fiscale (art. 32 DPR 600/73) e agli obblighi antiriciclaggio. Come tutelarsi dai controlli.

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Effettuare un versamento sul proprio conto corrente bancario è un’operazione tanto semplice quanto pericolosa. La possibilità infatti che il fisco possa effettuare dei controlli, in caso di operazioni sospette, è tutt’altro che remota. Ecco perché, il più delle volte, il correntista cerca – anche a propria futura memoria – di giustificare il trasferimento di denaro con una adeguata causale. Ma ci siamo mai chiesti se sia sempre necessario specificare in dettaglio la provenienza di tali somme o fornire una “causale” formale per ogni accredito? E, in particolare,

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quando è obbligatorio motivare un versamento bancario? L’Agenzia delle Entrate può legittimamente chiedermi conto di ogni singolo versamento che appare sul mio estratto conto? E la mia banca, per rispettare la normativa antiriciclaggio, può farmi delle domande sulla provenienza dei fondi che deposito?

È fondamentale comprendere che le regole e gli obblighi di giustificazione dei versamenti bancari cambiano significativamente. Dipendono, infatti, dal contesto normativo di riferimento: quello fiscale, finalizzato all’accertamento dei redditi; e quello della prevenzione del riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo (la cosiddetta normativa AML – Anti-Money Laundering).

Questa guida si propone di analizzare in dettaglio i due principali scenari normativi; spiega il funzionamento della temuta “presunzione bancaria” in ambito fiscale; chiarisce gli obblighi di adeguata verifica e di segnalazione in capo agli intermediari finanziari per la normativa antiriciclaggio; fornisce indicazioni pratiche su come comportarsi per evitare problemi e tutelare i propri interessi.

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Devo scrivere la causale per ogni versamento per il Fisco?

In ambito strettamente tributario (cioè, per quanto riguarda i controlli dell’Agenzia delle Entrate finalizzati all’accertamento delle imposte sui redditi e dell’IVA), non esiste un obbligo generalizzato per il contribuente di motivare preventivamente ogni singolo versamento che effettua sul proprio conto corrente bancario o postale nel momento stesso in cui compie l’operazione. Non c’è, ad esempio, una legge che imponga di scrivere una causale dettagliata per ogni accredito ricevuto.

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Tuttavia, l’obbligo di fornire una giustificazione chiara, analitica e documentata sulla provenienza e sulla natura di tali versamenti sorge, invece, in un momento successivo. Sorge qualora l’Amministrazione Finanziaria (Agenzia delle Entrate o Guardia di Finanza) decida di procedere a un controllo fiscale e a un accertamento basato sull’analisi delle movimentazioni bancarie del contribuente.

La presunzione legale sui versamenti bancari

Il perno della disciplina fiscale in materia di accertamenti basati sui conti correnti è rappresentato dall’articolo 32, primo comma, numero 2, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (per quanto riguarda le imposte dirette, come l’IRPEF e l’IRES). Una norma analoga (l’articolo 51, secondo comma, numero 2, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633) si applica ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto (IVA).

Queste importantissime disposizioni normative stabiliscono una presunzione legale relativa. Secondo tale presunzione, i versamenti di qualsiasi natura effettuati sui conti correnti bancari (o postali) del contribuente sono considerati, fino a prova contraria, come ricavi (per le imprese) o compensi (per i professionisti) o, più in generale, come redditi imponibili non dichiarati

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. Questo a meno che il contribuente non sia in grado di dimostrare, in modo convincente e documentato, che di tali somme si è già tenuto conto nella determinazione del reddito soggetto a imposta (cioè, che sono già state regolarmente dichiarate e tassate); oppure che tali somme non hanno alcuna rilevanza reddituale (ad esempio, perché si tratta di restituzioni di prestiti, donazioni ricevute nei limiti di legge, risarcimenti danni non tassabili, semplici giroconti tra conti propri, ecc.) (Cass. Civ., Sez. 5, N. 6205 del 7 marzo 2024).

La legge, quindi, trae da un fatto noto e certo (il versamento o l’accredito di una somma sul conto corrente) una presunzione riguardo a un fatto ignoto e da accertare (l’eventuale occultamento di reddito imponibile). E, aspetto fondamentale, dispensa da qualunque ulteriore prova il Fisco, a favore del quale tale presunzione è stabilita.

Questa presunzione legale sui versamenti opera, secondo la giurisprudenza consolidata, nei confronti di tutti i tipi di contribuenti: non solo imprenditori e lavoratori autonomi, ma anche privati cittadini, lavoratori dipendenti e pensionati (Cass. Civ., n. 6205/2024).

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Per i prelevamenti effettuati dai conti correnti, invece, la presunzione che essi rappresentino costi non documentati (e quindi, a fronte di tali costi, ricavi o compensi non dichiarati per finanziarli) opera, dopo una pronuncia di incostituzionalità della Corte Costituzionale (sentenza n. 228 del 2014) che ne ha limitato l’ambito per i lavoratori autonomi, principalmente nei confronti dei soli titolari di reddito d’impresa.

A chi spetta provare l’origine dei versamenti contestati dal Fisco?

La conseguenza diretta e più significativa dell’applicazione della presunzione legale vista sopra è l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente (Cass. Civ., Sez. 5, N. 5195 del 27 febbraio 2024; Cass. Civ., Sez. 5, N. 32762 del 16 dicembre 2024).

Questo significa che:

  • non è l’Amministrazione Finanziaria a dover dimostrare che un determinato versamento sul conto corrente del contribuente costituisce un reddito evaso;
  • è, al contrario, il contribuente stesso a dover fornire la prova contraria. Deve cioè dimostrare, in modo analitico e documentato, che i versamenti contestatigli dall’Ufficio non sono affatto riferibili a operazioni imponibili; oppure che sono fiscalmente irrilevanti per altri motivi (Cass. Civ., Sez. 5, N. 5099 del 26 febbraio 2024).

Se il contribuente non riesce a fornire questa prova contraria in modo convincente, la presunzione legale rimane valida; i versamenti contestati possono essere legittimamente considerati come reddito imponibile e tassati di conseguenza.

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Che tipo di prova devo dare per superare la presunzione fiscale sui versamenti?

La prova che il contribuente è chiamato a fornire per vincere la presunzione legale di cui all’articolo 32 del D.P.R. n. 600/1973 deve possedere delle caratteristiche ben precise, come costantemente ribadito dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione e delle Corti di Giustizia Tributaria.

Deve essere analitica e specifica: Non è sufficiente una giustificazione generica, sommaria o complessiva per tutte le movimentazioni contestate. Il contribuente deve, invece, fornire la prova contraria per ogni singola operazione bancaria che gli viene specificamente addebitata dall’Agenzia delle Entrate. Deve, cioè, indicare in modo preciso la riferibilità di ogni singolo versamento; e dimostrare come ciascuna di quelle operazioni sia estranea a fatti imponibili o sia già stata correttamente considerata ai fini fiscali (CGT Caserta, n. 1529/2024; Cass. Civ., Sez. 6, N. 10387 del 12 aprile 2019).

Deve essere, di regola, prevalentemente documentale

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: La giurisprudenza è costante nel ritenere che la prova contraria debba essere fornita principalmente attraverso documentazione scritta, oggettiva e, possibilmente, con data certa. Esempi di prove documentali possono essere: contratti scritti (di prestito, di donazione, ecc.); contabili di bonifici ricevuti o effettuati con causali chiare e specifiche; mandati di pagamento con indicazione precisa del motivo; estratti conto di altri rapporti finanziari che dimostrino l’origine o la destinazione dei fondi (ad esempio, un prelievo da un conto di deposito e un successivo versamento di pari importo sul conto corrente oggetto di controllo); documentazione attestante vincite al gioco, eredità ricevute, risarcimenti danni non tassabili, ecc.

La prova testimoniale (cioè, la dichiarazione resa da terze persone), ad esempio per dimostrare che un versamento ricevuto era in realtà una semplice elargizione gratuita tra familiari (una donazione di modico valore), è generalmente considerata inammissibile o comunque insufficiente

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dalla giurisprudenza per vincere la presunzione legale stabilita dall’articolo 32 (CGT Caserta, n. 1529/2024). Questo perché la presunzione legale può essere superata solo da una prova altrettanto “forte” e oggettiva, e non da semplici dichiarazioni verbali che potrebbero essere di comodo.

Il giudice tributario, in caso di contenzioso, ha l’obbligo di verificare con particolare rigore l’efficacia dimostrativa delle prove che vengono offerte dal contribuente per ciascuna operazione contestata; e deve darne conto espressamente e analiticamente nella motivazione della sua sentenza (Cass. Civ., Sez. 5, N. 7498 del 15 marzo 2023; CGT Sardegna, sentenza n. 206/2023).

È anche ammesso che il contribuente possa fornire la prova contraria attraverso presunzioni semplici (cioè, deducendo il fatto da provare da altri fatti noti e certi); purché tali presunzioni siano gravi, precise e concordanti tra loro, e il giudice deve analiticamente correlare ogni singolo indizio presuntivo ai movimenti bancari specificamente contestati (Cass. Civ., Sez. 5, N. 28044 del 9 dicembre 2020).

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L’Agenzia delle Entrate ti contesta un versamento di 5.000 euro sul tuo conto corrente, presumendo che sia un reddito non dichiarato. Per superare questa presunzione, potresti produrre, ad esempio: 1) un contratto di prestito infruttifero che avevi concesso a un amico, regolarmente scritto e con data certa (magari registrato o scambiato via PEC); 2) la contabile del bonifico con cui il tuo amico ti ha restituito quei 5.000 euro, indicando nella causale “Restituzione prestito Sig. [Tuo Nome]”; 3) una dichiarazione del tuo amico che conferma la restituzione del prestito. La combinazione di questi documenti potrebbe essere considerata una prova sufficiente.

La presunzione fiscale sui versamenti vale per tutti i contribuenti e per tutti i conti correnti?

La presunzione legale di cui all’articolo 32 del D.P.R. n. 600/1973, per quanto riguarda i versamenti effettuati sui conti correnti, opera nei confronti di tutti i tipi di contribuenti, e non solo nei confronti dei titolari di reddito d’impresa o di lavoro autonomo. Essa si applica quindi anche ai privati cittadini, ai lavoratori dipendenti, ai pensionati, ecc. (Cass. Civ., Sez. 5, N. 6205/2024).

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Inoltre, la presunzione può estendersi anche ai versamenti che sono stati effettuati su conti correnti formalmente intestati a soggetti terzi (ad esempio, familiari stretti come il coniuge o i figli, soci di società, amministratori, o presunti “prestanome”). Questo può avvenire qualora l’Amministrazione Finanziaria riesca a dimostrare, sulla base di elementi presuntivi gravi, precisi e concordanti, che tali conti erano, nella realtà dei fatti, nella disponibilità effettiva del contribuente sottoposto ad accertamento; o che esisteva una stretta cointeressenza economica tra il contribuente e l’intestatario formale del conto, tale da far ritenere che i versamenti fossero comunque riconducibili al contribuente accertato (Cass. Civ., Sez. 5, N. 34537 del 23 novembre 2022). Anche in questi casi, spetterà al contribuente (o al terzo intestatario del conto, se coinvolto nell’accertamento) fornire la prova contraria sulla natura e sulla provenienza di tali versamenti.

Il Fisco deve chiedermi chiarimenti prima di procedere all’accertamento basato sui conti? Il contraddittorio preventivo

La legittimità dell’utilizzazione dei dati bancari da parte dell’Amministrazione Finanziaria ai fini dell’accertamento non è condizionata alla previa instaurazione di un contraddittorio formale con il contribuente prima dell’emissione dell’avviso di accertamento.

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L’invito al contraddittorio preventivo, in questi casi, è considerato una facoltà e non un obbligo per l’Ufficio accertatore (Cass. Civ., Sez. 5, N. 23133 del 25 luglio 2022; Cass. Civ., Sez. 5, N. 34281 del 23 dicembre 2019). Il contribuente avrà comunque la possibilità di fornire tutte le sue giustificazioni e prove in sede di eventuale adesione all’accertamento o, successivamente, in sede di contenzioso tributario davanti alle Corti di Giustizia Tributaria.

Tuttavia, è da notare che la normativa sul contraddittorio preventivo è stata oggetto di recenti e importanti riforme, con l’introduzione di un obbligo più generalizzato di contraddittorio con lo Statuto dei Diritti del Contribuente. È quindi sempre opportuno verificare l’evoluzione normativa e giurisprudenziale su questo specifico aspetto procedurale.

La banca, invece, può chiedermi di motivare un versamento? Il diverso contesto della normativa Antiriciclaggio

Anche la banca può chiedere spiegazioni dell’operazione al proprio cliente, ma qui ci spostiamo in un contesto normativo completamente diverso da quello fiscale: quello della

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prevenzione dell’utilizzo del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo (la cosiddetta normativa AML – Anti-Money Laundering), disciplinata principalmente dal Decreto Legislativo 21 novembre 2007, n. 231.

In questo ambito, i soggetti obbligati (tra cui, in primo luogo, le banche e gli altri intermediari finanziari) hanno specifici e stringenti doveri di adeguata verifica della clientela. Tale verifica include, tra l’altro:

  • l’identificazione del cliente e del cosiddetto titolare effettivo dell’operazione o del rapporto;
  • l’acquisizione e la valutazione di informazioni sullo scopo e sulla natura del rapporto continuativo che il cliente intende instaurare o della singola prestazione professionale richiesta.

All’interno di questi obblighi di adeguata verifica, gli intermediari finanziari sono anche tenuti a inviare una Segnalazione di Operazione Sospetta (SOS) all’Unità di Informazione Finanziaria per l’Italia (UIF), che opera presso la Banca d’Italia. Questa segnalazione va fatta quando essi sanno, sospettano o hanno ragionevoli motivi per sospettare che siano in corso, o che siano state compiute o tentate, operazioni di riciclaggio di denaro “sporco” o di finanziamento di attività terroristiche (Corte d’Appello Roma, sez. 1, sentenza n. 6156/2021).

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Per agevolare l’individuazione delle operazioni sospette, la Banca d’Italia e altre autorità di vigilanza emanano periodicamente dei cosiddetti “indicatori di anomalia”. Si tratta di elenchi di situazioni o comportamenti che, se riscontrati, dovrebbero far scattare un campanello d’allarme presso l’intermediario. Tra questi indicatori di anomalia possono rientrare, ad esempio:

  • operazioni di importo particolarmente elevato, specialmente se effettuate in denaro contante (ad esempio, versamenti in contante di importo pari o superiore a 15.000 euro potrebbero essere un elemento da attenzionare, sebbene i limiti all’uso del contante siano variabili e soggetti a modifiche normative);
  • operazioni apparentemente frazionate, cioè una serie di versamenti o prelievi di importo inferiore alle soglie di registrazione o di adeguata verifica, che sembrano posti in essere al solo scopo di eludere tali soglie;
  • operazioni che appaiono palesemente incoerenti con il profilo economico-finanziario dichiarato o conosciuto del cliente (ad esempio, un pensionato con un reddito modesto che inizia a effettuare versamenti ingenti e frequenti sul proprio conto).

In presenza di tali circostanze anomale, o di altri elementi che possano indurre un legittimo sospetto sulla liceità dell’operazione, l’intermediario finanziario (la banca) può, e in certi casi deve, chiedere al cliente dei chiarimenti sulla provenienza dei fondi che intende versare o sulla natura e lo scopo dell’operazione che intende compiere (Cass. Civ., Sez. 2, N. 24396 del 11 settembre 2024).

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Non si tratta, quindi, di un “obbligo di motivare il versamento” imposto direttamente al cliente dalla legge in via generale per ogni singola operazione che effettua. Si tratta, piuttosto, di una facoltà (e talvolta di un dovere) della banca di acquisire informazioni e chiarimenti dal cliente per poter adempiere correttamente ai propri obblighi di vigilanza antiriciclaggio e, se del caso, per poter valutare se effettuare o meno una Segnalazione di Operazione Sospetta alla UIF.

La mancata o l’insoddisfacente risposta del cliente a tali richieste di chiarimento da parte della banca può certamente contribuire a rafforzare il sospetto di anomalia e può quindi indurre l’intermediario a procedere con la segnalazione. Come ha precisato la Cassazione, ad esonerare l’intermediario dall’obbligo di segnalazione non può essere ritenuta sufficiente la mera conoscenza dei soggetti coinvolti nell’operazione; occorre invece che l’intermediario abbia riscontrato – oltre all’effettiva cognizione della capacità economica del soggetto coinvolto – anche e soprattutto la liceità della provenienza del denaro utilizzato (Cass. Civ., n. 24396/2024).

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